The Following – E’ tornato il più trash tra tutti i crime di Diego Castelli
Torna quel gran zuzzurellone di Ryan Hardy per nuove divertentissime indagini
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ATTENZIONE! NON LEGGETE SE NON AVETE VISTO LA 2X01 DI THE FOLLOWING!
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L’anno scorso The Following è stata una delle serie più controverse della stagione, capace di attirarsi addosso una varietà invidiabile di interpretazioni e giudizi: da “crime finalmente diverso” a “cacofonica accozzaglia di vaccate”, “da piacevole intrattenimento sciocchino” a “irritante fogna a cielo aperto”.
Voi sapete che io sono stato un difensore di The Following, perché ne ho apprezzato certe volontà di sperimentazione più di quanto non mi siano piaciute alcune mancanze e difetti comunque innegabili.
Ora, dopo aver visto la première, e dopo molti mesi di tranquillità in cui la serie ha potuto sedimentare per benino nel cervello, mi sono reso conto di un particolare che avevo pur riconosciuto, ma che all’epoca avevo considerato marginale, mentre ora mi sembra la chiave principale dei problemi passati e probabilmente futuri di The Following.
Andiamo con ordine. Prima di tutto mi preme dire che è stato un bell’episodio. Sia come costruzione e messa in scena pura e semplice – grazie a un ritmo concitato, una scrittura semplice ma godibile, una gustosa crudezza e un Kevin Bacon che comunque la si voglia vedere buca lo schermo come pochi – sia per certe puntuali scelte narrative. Non me l’aspettavo la morte di Claire, e me ne compiaccio, perché il triangolo Ryan-Joe-Claire stava già diventando stucchevole e il pensiero che una dinamica del genere avrebbe fatto da filo conduttore fino al termine della serie creava un po’ di pesantezza e di prevedibilità.
E invece via, tabula rasa: è passato un anno, Claire non c’è più, il figlio di Carroll è nascosto chissà dove, e Ryan è riuscito ad andare avanti, pur portandosi dietro le sue molte ferite (fisiche e non). Talmente avanti che anche quando sembra che i seguaci di Carroll siano usciti dai loro nascondigli, lui vorrebbe solo andare a casa a vedere Maria De Filippi (questo, ovviamente, solo in apparenza…).
E’ una bella svolta, una spinta verso nuovi territori e nuovi personaggi che non possiamo che accogliere piacevolmente.
Non è nemmeno finita qui, perché alcune scene hanno il piacevole sapore del serial moment: penso agli omicidi in metropolitana, così freddi, crudi, persino fastidiosi da ascoltare (con quel continuo rumore di coltello che penetra nella carne), e impreziositi da quelle inquietanti maschere di Carroll (ben più efficaci degli Edgar Allan Poe dell’anno scorso). Ma penso anche ai due gemelli, il cui ruolo da capi nella nuova setta è ancora un po’ fumoso, ma che trasmette una gradevole tensione tipo villain da fumetto: sono dei bei cattivi, probabilmente eccessivi per il genere crime tradizionale, ma pienamente coerenti con l’atmosfera un po’ esagerata che da sempre è cifra stilistica della serie.
E sono proprio loro lo spunto per tornare alla riflessione iniziale: guardando questa puntata, partecipando con buona voglia alle peripezie di Ryan, conoscendo i nuovi cattivi e riscoprendo i vecchi membri della setta sotto nuove pettinature e piercing, ci si accorge che fila tutto così bene da non sentire la mancanza di niente, anche se effettivamente qualcosa manca: Joe Carroll.
L’anno scorso ce l’eravamo detto che James Purefoy, pur essendo un buon attore, non era riuscito a dare a Carroll il carisma e il fascino che ci si aspettava da lui. The Following continuava a prometterci un cattivo alla Hannibal Lecter, un malvagio totale, di quelli indimenticabili. Tanto più che si tratta di un personaggio capace di attirare a sé una gran massa di folli seguaci, come solo i più famigerati (e per questo famosi e interessanti) serial killer hanno saputo fare. Ebbene, questa potenza, questo fascino persino difficile da descrivere, non l’abbiamo mai visto veramente. Colpa degli autori, delle parole messe in bocca a Carroll, e infine di Purefoy stesso, che non è mai riuscito a lasciare il segno con la sua voce, i suoi sguardi e i suoi gesti.
Per questo, paradossalmente, Carroll funziona meglio quando non c’è, quando “si parla di lui”, perché il confronto tra la leggenda e la realtà risulta sempre perdente per quest’ultima.
Alla fine, tra tutti i difetti di The Following, questo mi pare il peggiore, e ce lo ritroveremo ancora, specie ora che ci sono anche dei nuovi seguaci che rischiano di essere, ironia della sorte, migliori dell’originale.
Oh, poi ci sono anche le cazzate specifiche eh, tipo che ci avevano assicurato che Carroll era morto, avevano trovato il DNA e raccolto persino le impronte dentali (cosa che fa presupporre un cadavere) mentre in questa première ci hanno detto che Joe è fuggito da un buco prima che il faro esplodesse, senza poi darci alcuna spiegazione plausibile di quel famoso DNA. Immagino che i puristi del giallo stiano bestemmiando in cinese stretto.
Che vi devo dire, io me lo vedo The Following. Sarà la voglia di vedere quanta gente può far morire Rayn Hardy con la sua dabbenaggine, sarà che la faccia barbuta di Carroll alla fine dell’episodio mi ha fatto tenerezza (“ah ma dai, c’è ancora in giro gente che mi vuole bene?”), sarà che è stato un episodio violento, svelto e capace di dare qualche sorpresa inaspettata (vedi Claire che muore sul serio, e non solo nel breve spazio di un cliffhanger di fine stagione).
Poi non è la serie della vita ed è piena di difetti, talmente tanti che c’è un sacco di gente che si incazza sul serio per il fatto che qualcuno la veda ancora.
Che ve devo di’, c’abbiamo sto gusto per le trashate…
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