E Hostages scivolò nell’oblio… di Diego Castelli
Host che?
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E così, nell’indifferenza abbastanza generale, si spegne una delle serie più ambiziose dello scorso autunno. Ambiziosa per il cast, per il produttore, e anche per la rete, quella CBS che negli ultimi anni ha sbagliato molto poco. A parte Hostages, evidentemente…
Dopo il pilot, che a conti fatti rimane l’episodio migliore (o il meno peggio) di tutta la stagione, ce l’eravamo detto: questa è una serie che non dura. Ma non per la faccia da pesce di Dylan McDermott, o per chissà quale difetto inaccettabile. Semplicemente, era difficile pensare che una storia del genere – famiglia presa in ostaggio per costringere un suo membro a svolgere un certo compito criminoso – potesse andare avanti per più di un anno.
Certo, gli autori ci hanno messo del loro: invece che concepire Hostages come una miniserie, che tutto sommato avrebbe avuto senso, hanno cercato di creare un prodotto di più ampio respiro, che potesse sopravvivere ai propri stessi limiti. Per fare questo, l’unico modo era allargare il campo, spostare all’indietro il punto di vista per mostrare quanto era grande la cospirazione dietro l’assassinio del presidente, una cospirazione in cui, per forza di cose, anche i sequestratori sono “un po’ vittime”, piccoli ingranaggi di un meccanismo molto complesso.
Peccato che questa complessità, unico strumento possibile per allungare il brodo, sia stata gestita spesso male, a volte semplicemente di merda. Molte delle sorprese e dei twist di Hostages ci sono sembrati particolarmente forzati, a volte troppo improvvisi e a volte troppo facili.
E dire che, in fondo, l’idea di trasformare lentamente il cattivo in un buono, o meglio di svelare che il cattivo aveva motivazioni in fondo condivisibili o quanto meno scusabili, non era neanche male. Non nuovissima, certo, ma potenzialmente efficace. Ma quello che abbiamo visto non ci ha quasi mai soddisfatto. McDermott ha sempre quella faccia lì, che stia per sparare a un ragazzino o che si strugga per la moglie malata, mentre certi passaggi, come il bacio con Ellen, sono risultati puramente ridicoli.
In questo senso, Hostages è riuscita a fallire in due modi diversi: si è presentata con un concept che ci sembrava istintivamente più adatto a una miniserie, se non a un film, facendoci subito sospettare della fragilità dell’operazione. Poi, con l’andare degli episodi, è stata capace di farci provare il fastidio contrario, accelerando sviluppi che a quel punto ci sono sembrati troppo rapidi e forzati.
Il tutto incorniciato da una regia piatta e priva di qualunque guizzo e da dialoghi da scuola media, in cui lo spiegone è sempre dietro l’angolo e dove qualunque emozione o ragionamento viene sempre espresso nel modo più lineare possibile.
Guardate, non voglio neanche fare spoiler, basti dire che col doppio finale ci si rende mestamente conto di quanti dialoghi siano costruiti su modalità ipersemplificate tipo:
-Ora che facciamo?
-Facciamo questo e questo.
-E come ci sentiamo a questo riguardo?
-Ci sentiamo così e così.
Insomma, un discreto deserto di creatività, culminato in un finale forse scritto e girato in fretta per dare ultimo sollievo a una serie già morta, col risulato che il pathos è solo una incomprensibile parola greca.
Peccato, peccato davvero, perché a prescindere delle perplessità sorte ancora prima del pilot, da una produzione così importante ci si aspettava proprio qualcosa di più. Tanto vale tenersi The Blacklist allora, che al netto di un’idea più sempliciotta e di una protagonista femminile cagna maledetta, almeno è girato molto meglio e può contare su un attore della madonna.