30 Settembre 2013

The Goldbergs – Per ricordare gli anni Ottanta di Francesco Martino

Una famiglia senza twitter ma con le musicassette

Copertina Pilot, Pilot

Goldbergs (3)

Nella lista di fatti e fattori che fanno parte del famoso “orgoglio americano” trova spazio, senza dubbio, il mito degli anni ’80 e la loro continua rievocazione. Puntuale come l’influenza, che sia un film o una nuova serie, non si perde mai occasione di inventare nuovi giochi di parole su Obi-Wan Kenobi o di costruire un nuovo fenomeno su una band dell’epoca ampiamente ignorata già trent’anni fa. Spesso i risultati di questa operazione possono essere sorprendentemente piacevoli – mi viene in mente la pellicola di qualche anno fa Take Me Home Tonight – mentre altre volte possono dare vita a incubi ben peggiori della suddetta influenza.

Goldbergs (2)The Goldbergs racconta le vicissitudini di una tipica famiglia americana degli anni ’80 attraverso l’occhio di Adam, il più piccolo dei tre figli, che, in un’operazione molto simile a quella di Everybody Hates Chris, racconta la sua folle infanzia all’interno del suo ingarbugliatissimo nucleo familiare. Adam Goldberg, adesso scrittore televisivo e produttore dello show, ci porta nella sua casa d’infanzia facendoci conoscere, come in un tour casalingo, la sua famiglia: Beverly, madre iperprotettiva e ridicolmente vestita, Murray, un padre con problemi di empatia, Barry, fratello un po’ impacciato e sfigato ed Erica, la sorella attenta più alla sua spuma per capelli che al resto.
A tutto questo si aggiunge la classica “wild card” della comedy, il personaggio esterno al gruppo principale ma in grado di stravolgerne gli equilibri e qui rappresentato da nonno Albert, un attempato gentiluomo in eterna lotta con la sua carta d’identità. Il pilot, diretto da Seth Gordon – Horrible Bosses tra i suoi lavori più recenti – si apre con un voice over (la voce è di Patton Oswald) dedito a ricordarci la bellezza degli anni ’80 e la loro totale assenza di tecnologia, e a regalarci un montaggio dei cult dell’epoca – Karate Kid, Ghostbusters, Il mio amico Arnold e chi ne ha più ne metta – per poi subito gettarci nelle dinamiche dei Goldberg e della loro follia collettiva.

Goldbergs (4)L’evento principale della puntata, il compleanno di Barry e la sua spasmodica attesa per una macchina, permette agli autori di focalizzarsi sulla caratterizzazione dei personaggi e del modo in cui questi interagiscono tra di loro. Le potenzialità si vedono e sono buone, sicuramente al di sopra della media di molte comedy presentateci in questo periodo – chi scrive ha dovuto sopportare Welcome To The Family – ma, come spesso accade in questo genere, la variabile più grande per il successo o il fallimento di uno show è la varietà di situazioni che gli autori riusciranno a costruire e sfruttare nel corso della stagione, soprattutto alla luce dell’ottimo cast assemblato per l’occasione (Jeff Garlin, George Segal e Wendi Mclendon-Covey tra i tanti). In questo senso, The Goldbergs è una serie classica, e le previsioni sul suo futuro sono altrettanto “classiche”: se gag e personaggi buffi non funzioneranno, la serie andrà a far parte della lunga lista di comedy morte alla prima stagione.

Perché seguirla: il buon cast e il continuo citazionismo verso i cult degli anni ’80.

Perché mollarla: alla lunga, se priva di spunti aggiuntivi al concept di base, potrebbe diventare solo una delle tante comedy.
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