Agents of S.H.I.E.L.D. – La recensione della prima puntata senza spoiler! di Diego Castelli
Il mondo Marvel in una serie tv
Nella lista delle serie più attese da Serial Minds avevamo messo in cima Masters of Sex, perché noi siamo gente di spessore e anche un po’ perché vogliamo menarcela. Ma se dobbiamo guardare oltre il nostro sito, be’ allora la serie più attesa dell’autunno era sicuramente Agents of S.H.I.E.L.D.
Nuovo e importante tassello della strategia cross-mediale della Marvel (tra film, fumetti, cartoni animati, serie tv, videogiochi ecc), Agents of S.H.I.E.L.D. si porta dietro la responsabilità di essere un proseguimento diretto (benché laterale) di The Avengers, e in generale di tutti quei film megablockbuster che sbancano i botteghini e fanno sognare le platee di tutto il mondo. Mica poco, voglio dire, roba da nascondersi in bagno e piangere in preda allo stress. Ma l’abilità di Joss Whedon (che in ambito seriale ha poco da imparare da chiunque) e la solidità dell’accoppiata Marvel-ABC lasciava ben sperare.
Ebbene, il pilot di Agents of S.H.I.E.L.D. è un buon pilot, a tratti un ottimo pilot. No, non ho detto “eccezionale”, c’è una differenza.
La versione telefilmica del mondo Marvel vede protagonista il redivivo agente Coulson, messo a capo di una squadra speciale a rapidissimo intervento, con il compito di gestire il precario equilibrio di un mondo in cui i superuomini, gli alieni e un sacco di altra roba stramba sono usciti dal mondo della fantasia per entrare nella realtà della gente comune. Questo compito ha molteplici sfumature: non si tratta solo di catturare cattivi con superpoteri. Si tratta invece di capire quali informazioni è necessario proteggere dalla vista del pubblico, quali segreti è bene rivelare e quali, invece, usare a proprio vantaggio per proteggere ignari innocenti. Ogni riferimento metaforico all’antiterrorismo reale è puramente voluto, ma ci torniamo a breve.
Nella sua impresa il buon Coulson è affiancato da una valida squadra di persone normali (inteso come “senza poteri”). C’è Ward (Brett Dalton), classico soldato perfetto, bravo con le armi e nel corpo a corpo; Melinda May (Ming Na Wen), abile pilota, esperta di armi e con un passato traumatico; Skye (Chloe Bennet), giovane e bella hacker capace di penetrare ogni server e persino la tua sveglia sul comodino; Leo Fitz (Ian de Caestercker) e Jemma Simmons (Elizabeth Henstridge), coppia di scienziati un po’ buffi ma abilissimi nell’esame delle “scene del crimine”, nella gestione degli aggeggi fantascientifici ecc.
Un buon pilot, si diceva, anche se forse non eccezionale. Non è eccezionale perché non trasmette la sensazione di “oh mio Dio sto assistendo a una rivoluzione” che ci aspettiamo da quell’aggettivo. Ridotta all’osso, Agents of S.H.I.E.L.D. è una serie che parla di una squadra speciale di intervento, con spruzzate di NCIS e 007. Se unite questo semplice fatto alle aspettative altissime che circolavano intorno allo show (mutuate da un universo filmico impossibile da riprodurre coi mezzi tecnici di una serie tv), capite bene che era assai difficile rimanere completamente stupefatti.
Ma detto questo, Agents of S.H.I.E.L.D. fa la sua porca figura. Prima di tutto perché è un bello spettacolo, pieno di ritmo, girato molto bene, con effetti speciali che, se non possono essere “da cinema”, sono comunque superiori alla media televisiva a cui siamo abituati (anche perché centellinati con intelligenza e discrezione).
Soprattutto, questo pilot non si prende troppo sul serio, e adotta la stessa tecnica dei film Marvel, una tecnica che Joss Whedon usa benissimo già dai tempi di Buffy: va bene l’azione, va bene anche la partecipazione emotiva, ma non dimentichiamo che siamo una serie tra la fantascienza e il fantasy, e quindi una buona dose di (auto)ironia è dovuta e apprezzata. E’ anche per questa leggerezza di fondo che possiamo accettare di buon grado tutta una serie di esagerazioni fantascientifiche che magari in un altro contesto vivremmo meno bene, ma che qui si sposano benissimo con l’atmosfera che attraversa tutta la produzione.
Ovviamente non mancano dettagli più seri, come ad esempio il recente passato di Coulson, sconosciuto anche a lui, ma fa tutto parte di una storia che vuole essere appassionante, non pesante, tragica o cupa. Non c’è Breaking Bad qui, non cercatelo neanche o rischiate di rimanere delusi. Godetevi invece una storia semplice ma ben scritta e fatta per divertire.
Ovviamente non è tutto qui. Non si può giudicare (forse nemmeno guardare?) una serie del genere senza pensare al contesto in cui è inserita. Agents of S.H.I.E.L.D. ha un’identità narrativa ben precisa, e in linea di principio può essere seguita benissimo anche da chi non ha alcuna dimestichezza con l’universo Marvel, coi vari film di Iron Man e Thor, ecc. Cosa che i produttori si sono premurati di dire in molteplici occasioni.
Va da sé, però, che questo è vero solo in parte: tutto il pilot è percorso da una lunga serie di riferimenti più o meno diretti al mondo Marvel, che se non sono diretti a un pubblico “esperto” cercano almeno di raggiungerne uno “consapevole”. Alla domanda “se non capisco i riferimenti non capisco la storia?” rispondo “Fortunatamente no”. Ma se non cogliete nulla del sottotesto e dei rimandi incrociati, be’, vi perdete una bella fetta del gusto offerto da questa serie.
Non si tratta solo di citare la vedova nera per nome, o di sapere che Cobie Smulder è Maria Hill e non solo Robin di How I Met Your Mother (tra parentesi, la Smulder apparirà poco in questa stagione proprio a causa dei suoi impegni con How I Met, inutile dire che speriamo che la fine della sitcom la lasci più libera di venire a giocare con gli agenti di Coulson). L’inserimento di Agents of S.H.I.E.L.D. nel più grande universo Marvel non comporta solo la condivisione di linee narrative e guest star. Significa condividere un certo tipo di tematiche e di discorso che la Marvel porta avanti da decenni, su media diversi.
Nel caso specifico, il pilot di AoS (ebbasta scrivere sto cazzo di SHIELD con tutti quei punti) inizia quasi subito a riflettere su come e fin dove i “buoni” possano agire per raggiungere il “bene”, su quanto il fine possa giustificare i mezzi, quando i mezzi sono la segretezza, il lasciare all’oscuro le persone del mondo che li circonda, senza avere la certezza che quella sia davvero la strada migliore per raggiungere il loro benessere.
E la riflessione raggiunge vette interessenti proprio sul finale (di cui non vi dico nulla): come ci dicevamo anche tempo fa, uno dei più temi più importanti di questa serie sarà l’approfondimento del punto di vista “umano” in un mondo fumettistico dove gli umani hanno sempre poco spazio, se non come vittime casuali dei cattivi o come fidanzate da proteggere. La vera specificità di AoS può essere proprio questa: diventare la costola umana (e per questo a noi più vicina) di un universo in cui l’umano è accessorio, superfluo.
E come dovrebbero reagire i normali esseri umani, alla scoperta che non sono più il gradino più alto della scala evolutiva, ma probabilmente neanche il secondo? Questa è solo una delle interessanti domande poste da questo pilot, che accanto a un intrattenimento di buon livello proverà a inserire quella profondità che i fan dei fumetti conoscono bene, e che Joss Whedon dovrebbe conoscere ancora meglio.
La partenza è buona, vai Joss che siamo tutti con te!
PS se volete a tutti i costi il pelo nell’uovo, vi dico che per ora la cosa che mi convince meno è il casting. Bravi attori, in verità, ma facce un po’ anonime, poco carismatiche. Ma immagino che con un po’ di abitudine queste nuove star potranno diventare quelle che riconosceremo nelle serie di domani, dicendo “questa è quella di S.H.I.E.L.D., guarda com’è invecchiata!”
Perché guardarla: l’intrattenimento c’è, i gustosi riferimenti nerd pure, e le possibilità di crescere e migliorare sono pressoché infinite.
Perché mollarla: se il mondo Marvel non vi interessa, e se per voi Joss Whedon è solo un tizio che aveva fatto una serie sui vampiri, avete già perso due terzi dei motivi per vedere questa serie.
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