Ray Donovan – Finale di stagione di una bella serie di Diego Castelli
Era iniziato bene ed è finito meglio
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OCCHIO CHE E’ PIENO DI SPOILER!
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E’ vero che il periodo è denso di pilot, e che il ritmo delle novità supera addirittura le fantascientifiche capacità mie e del Villa (e dei nostri più fidi collaboratori). Ma non posso proprio esimermi dallo spendere qualche parola finale per la prima stagione di Ray Donovan.
Se Siberia (insieme a Camp) è stata la più grossa sorpresa dell’estate – nel senso di “pensavo fosse una merda e invece no” – Ray Donovan è stata la più gustosa conferma.
Lo sapevamo che poteva essere una buona serie: per il concept, per i nomi coinvolti, per la credibilità che Showtime si è costruita ormai da anni in campo seriale.
Però si sa, quello che funziona sulla carta non necessariamente funziona sullo schermo, e ci sarebbe stato più di un modo per finire fuori rotta. Fortunatamente, Ray Donovan ha tenuto il timone bello dritto per tutti i suoi dodici episodi, con una partenza solida fatta di facce segnate dal tempo, dalla sfiga e dal carisma, e uno sviluppo che ha rifiutato eccessive complessità in favore di un dramma che punta alla meta senza troppi ghirigori.
E dico “dramma” non a caso. Rispetto al pilot, che sembrava suggerire un andamento un po’ più verticale e concessioni abbastanza robuste a una certa maschia comicità, il resto della stagione è stato bello peso. Certo, lo straordinario Mickey Donovan interpretato da Jon Voight, e anche il cattivissimo Sully impersonato da James Woods, hanno avuto più di un momento per mettere in mostra una certa vena comica, o quantomeno grottesca, ma il succo della serie non è lì. Il punto focale è il dramma familiare di tre ragazzi, cresciuti senza un padre e costretti a fronteggiare difficoltà che non si augurano a nessun bambino.
Ecco allora che Ray Donovan (inteso come la serie, ma anche come il protagonista) è diventato una specie di nuovla di pioggia irlandese stabilitasi permanentemente a Los Angeles, doveil grigio muro dei ricordi impediva di lasciar passare il sole caldo della California.
la differenza, in una storia come detto piuttosto dritta e senza incredibili sorprese, l’hanno fatta i personaggi e gli attori che li interpretano. Oltre ai già citati Voight e Woods, i tre fratelli sono venuti fuori benissimo, se mi passate questo gergo altamente specialistico, e paradossalmente ray è quello che spicca meno, mentre Bounchy e Terry (soprattutto quest’ultimo) sono già nel mio pantheon di personaggi preferiti.
E se la stagione è corsa via tra complotti, rancori, manifestazioni di virilità e una certa dose di sangue sparso sui muri, c’era un dettaglio che mi mancava, una sfumatura che non riusciva ad andarmi giù. Il tutto era legato alla precisa volontà omicida di Ray nei confronti del padre, una volontà le cui motivazioni non apparivano sempre solidissime: un po’ perché Mickey è (volutamente) un personaggio divertente, “simpatico”, costruito apposta per aggiungere sfumature a una lotta padre-figlio che altrimenti sarebbe stata troppo netta. Una polarità Ray-buono vs Mickey-cattivo, senza ombre e dubbi, sarebbe stata utile a un certo tipo di racconto, ma evidentemente non adatta alla faida familiare che gli autori avevano in mente. Ma non era solo questo, perché malgrado Mickey fosse stato un padre assente e un dichiarato delinquente, non riuscivamo a capire fino in fondo l’odio di Ray, considerando tra l’altro che Mickey i suoi anni di galera se li era fatti anche perché incastrato dallo stesso figlio.
ebbene, finalmente l’episodio finale ha tolto il velo che nascondeva le vere motivazioni di Ray. In un dialogo di grande intensità, veniamo a sapere che le molestie subite da dai tre ragazzi Donovan erano ben conosciute allo stesso Mickey, che però aveva voltato la testa dall’altra parte, forse perché preso da altre faccende, forse perché non abbastanza uomo da difendere i suoi figli di fronte a un nemico così subdolo e pericoloso come un prete pedofilo, forse semplicemente per quieto vivere.
Ecco dunque la vera motivazione di Ray, l’oscuro segreto che lo portava a odiare fino alla morte un uomo non certo degno di santità, ma che non riuscivamo a percepire come Male Assoluto.
Alla fine il proposito omicida di Ray non arriva a compimento, e molti altri piccoli dettagli arrivano a confondere le acque: la lotta contro un nemico comune; una certa serenità raggiunta da Bounchy dopo la morte del prete (sfumature non secondaria, visto che siamo da sempre abituati a vedere la vendetta come un rimedio tutt’altro che efficace al dolore, e invece qui Bounchy ne esce rafforzato); lo stesso dialogo tra Ray e il padre, dove le vecchie questioni vengono ributtate sul tavolo a creare una sorta di chiusura che Ray pensava di raggiungere con la violenza, e che invece, forse aveva solo bisogno dello sguardo pentito di un padre inadeguato.
E’ stato un finale piuttosto completo, senza un cliffhanger tiratissimo. Vedremo nella seconda stagione (già ordinata) quali altri problemi e fantasmi arriveranno a tormentare i sonni della scalcinata famiglia Donovan.
Intanto, però, io mi ritengo pienamente soddisfatto.