The Newsroom – Finale furbino, caro Aaron, pure troppo! di Diego Castelli
Quest’anno c’è proprio qualcosa che non ci torna
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ATTENZIONE! NON LEGGETE SE NON AVETE VISTO IL SEASON FINALE DI THE NEWSROOM!
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Vecchia volpe d’un Aaron Sorkin, stavolta l’hai fatta sporca. Hai piazzato il colpo gobbo mentre nessuno guardava, nascondendo la polvere sotto il tappeto dell’ammmore.
Io non ce l’ho con te per questo, perché siamo amici, perché in passato mi hai fatto provare tante emozioni, e perché zitto zitto un bel sorrisone in certi punti del finale l’ho piazzato.
Ma adesso è passato qualche giorno, abbiamo la mente fredda, e quindi vengo lì a prenderti per l’orecchio: perché tu sei un furbone, ma a noi non la si fa.
Partiamo dal fatto eclatante: alla fine di due puntate interamente dedicate alle elezioni americane (quanti ricordi da West Wing…), Sorkin piazza due inaspettate botte di romanticismo. Inaspettate perché, semplicemente, non è da Sorkin coronare così presto ben due storie d’amore (MacKenzie-Will e Sloan-Don). Voi direte “ma come presto, son passate due stagioni”. Avete ragione, ma per Aaron Sorkin due stagioni sono ben poca roba, quando si tratta di piazzare una trama romantica sotto chili e chili di altri impegni, lasciando che i piccioncini si guardino per anni senza combinare niente, spesso senza rendersi nemmeno conto di essere innamorati. Qui invece abbiamo avuto un bacio appassionato di quella stragnocca della Sloan, e addirittura una proposta di matrimonio da parte di Will, che in pratica conclude una lunga e dolorosa storia iniziata anni prima.
Un doppio episodio che, preso di per sé, ci ha dato buone soddisfazioni e una serie di sorrisetti puccettosi con gli occhietti a cuoricino.
Ok, però qui manca un pezzo.
Ve lo ricordate cosa dicevamo della premiere di quest’anno? Il tentativo di mettere in difficoltà i protagonisti, di farli sbagliare (e Genoa non è neanche uno sbaglio, è una catastrofe giornalistica), di fatto snaturava il concept della serie: uno dei tanti motivi per cui The Newsroom ci era piaciuto così tanto l’anno scorso era la sua forza epica, la capacità di mettere in campo degli eroi veri, senza macchia e senza paura, capaci di mostrarci quello che il giornalismo televisivo dovrebbe essere sempre, e che invece non quasi mai. Un intento addirittura educativo che ovviamente si era tirato addosso non poche polemiche e accuse di arroganza. Nemmeno troppo campate per aria, a pensarci, perché se sei uno sceneggiatore televisivo e scrivi uno show che dice ai giornalisti come devono fare il loro mestiere, ci sta che quelli si incazzano.
Ma a noi non importava, perché la forza del racconto era proprio quella: dipingere in maniera molto realistica un certo tipo di mondo (con tanto di molteplici riferimenti giornalistici reali), rendendolo però utopico, con tutta la potenza narrativa che un’utopia porta con sè.
In qualche modo, Genoa è un tradimento di quell’ideale. Non conosciamo fino in fondo i motivi della scelta: forse una risposta/difesa alle critiche, forse un semplice tentativo di dare spessore e realismo a personaggi che altrimenti rischiavano di rimanere dentro una posticcia cornice di semi-divinità. Magari l’hanno anche detto in qualche intervista, ma non c’ho voglia di cercarle.
A me il tentativo non è piaciuto fin dall’inizio, non mi interessava vederli sbagliare, volevo vedere Will & Co. tirare bordate assurde ai repubblicani cattivi o ai democratici pigroni. Il tutto nel loro brodo di perfetti giornalisti e pessimi amanti.
Se però vogliamo percorrere questa nuova strada, percorriamola fino in fondo. Ed è qui che il doppio finale inciampa in maniera abbastanza grossolana.
Pensiamoci bene. Togliamoci dalla testa le proposte di matrimonio, i baci delle stragnocche e le parentesi africane. Pensiamo a Genoa. Com’è finita quella storia? Semplice: a tarallucci e vino.
Una grossa percentuale degli episodi della stagione è andata dietro all’idea che l’errore su Genoa fosse una cosa devastante. E la puntata che ha descritto i dettagli di quell’errore è, semplicemente, un manuale di buona sceneggiatura.
Poi però che è successo? E’ successo che Will, Charlie e gli altri volevano dimettersi, e che Leona glielo ha impedito. E’ successo che la credibilità della rete era andata a puttane, così come i suoi ascolti. Ma poi? A cosa ha portato tutto questo? A niente, purtroppo. Charlie alla fine ha deciso di non dimettersi, perché loro si sono comportati bene e sono finiti nei casini solo perché uno stronzone venuto da fuori ha barato. Leona è rimasta della sua idea, e pure il figlio alla fine s’è convinto che non era il caso di mandare via nessuno. La diretta sulle presidenziali è stata funestata da piccoli problemi, ma non c’è stato praticamente alcuno strascico della faccenda-Genoa. Hanno fatto le loro dirette, hanno fatto i loro servizi, Will ha anche provato a fingere di volersene andare, in realtà rimanendo dove stava.
Quando Leona aveva rifiutato le dimissioni dell’allegra compagnia, Charlie le aveva detto che non potevano andare avanti perché avevano perso la fiducia del pubblico. La padrona della baracca, in uno dei momenti più entusiasmanti della stagione, gli aveva risposto: “Riprendetevela!”
Quell’urlo appassionato era (anzi, doveva essere) l’inizio di un percorso breve ma intenso in cui avremmo visto i nostri tornare in sella, riguadagnando il favore degli spettatori. Banalmente, questo processo non è avvenuto. Non abbiamo visto alcun evento, alcuno scoop, alcuna mossa particolare che portasse a compimento quel processo di guarigione. La ferita aperta da Genoa, che per molti episodi ci è stata descritta come insanabile, è stata rattoppata del semplice fatto di andare oltre, di proseguire il proprio lavoro.
Troppo poco, signori miei, decisamente troppo poco. Troppo poco per una serie che l’anno scorso era iniziata con una critica splendida e feroce alla tipica arroganza americana, e che era terminata con una luce di speranza (ve lo ricordate il “you do“?) radicata nelle tante persone ancora capaci di fare qualcosa di buono.
Quest’anno invece abbiamo avuto un grosso problema (la perdita di credibilità) mai realmente risolto, e alla fine annebbiato col fumo della proposta di matrimonio.
Lo stesso discorso di Charlie, quello con cui convince Will e se stesso che non devono dimettersi, suona un po’ come un’arrampicata sugli specchi, un’esplicitazione a parole di una decisione che, dal punto di vista drammaturgico, non ha granché senso.
E Will, invece di opporsi, accetta tutto senza preoccuparsi troppo, perché a quel punto ha già la testa a quando darà l’anello a MacKenzie. Che è un bel momento, per carità, ma a cui si poteva arrivare avendo fatto prima un sacco di altre cose fondamentali, che invece non ci sono.
Per questo ho il sospetto che la questione Genoa sia stata in qualche modo imposta a Sorkin (o imposta da Sorkin a se stesso in una forma di senso di colpa): perché è servita a umanizzare i personaggi, ma alla fine è risultata posticcia, una specie di intermezzo prima di riprendere la solita vita e brindare al fidanzamento con un po’ di champagne.
Il problema, deve essere molto chiaro, non è che improvvisamente The Newsroom è una serie brutta, o che non funziona. Ma l’anno scorso eravamo di fronte a un capolavoro che col season finale aveva lasciato una specie di vuoto clamoroso nei miei palinsesti personali. Quest’anno abbiamo visto una buona serie, priva però di buona parte dell’epica dello scorso anno, con buona fortuna dei vari Breaking Bad e Sons of Anarchy, che in queste settimane occupano il mio cervello in maniera ben più pressante.
Caro Aaron, devi stare tranquillo, l’anno prossimo sarò ancora con te. Però dai, non farti intimidire, fai quello che ti piace e basta, che noi ti seguiamo come bravi adepti!