The Mill – Il super drama inglese che più drama non potrebbe essere di Marco Villa
Ci vorrebbe l’antidoping per i livelli di drammaticità
Prima delle vacanze vi ho parlato di Run, una serie che vi avevo presentato come in stile Ken Loach. Il Ken Loach delle periferie inglese e della working class con infiniti problemi famigliari e – spesso – di alcolismo. Ecco, oggi vi parlo di un’altra serie che è debitrice al regista inglese, ma nella sua versione in costume, quella di film come Il vento che accarezza l’erba. Oggi vi parlo di The Mill, serie di quattro puntate, in onda dal 28 luglio su Channel 4 (i sottotitoli li trovate qui).
“Mill” in inglese significa mulino, ma anche fabbrica e The Mill racconta le storie che ruotano intorno a un filatoio della prima metà dell’ottocento. Immensi macchinari tenuti in azione da donne e – soprattutto – bambini. Proprio la situazione dei bambini-operai è una delle questioni di base di The Mill, ambientata in un periodo storico in cui le forze a difesa dei lavoratori stanno insistendo per ridurre da 12 a 10 le ore di lavoro quotidiane dei bambini. Sì, avete capito bene. Da 12 a 10 ore. Bambini.
Argomento peso? Pesissimo, fin troppo vien da dire. The Mill è ispirato a eventi realmente accaduti e quindi non si mette in dubbio che situazioni tremende come quelle raccontate siano effettivamente verosimili. Il problema è che The Mill butta in faccia tutto fin da subito: dalle prime sequenze la situazione degli operai-schiavi è pressoché identica a quella dei detenuti di un lager. Impostare in questo modo la partenza fa sì che ogni cosa che avviene diventi una piccola parte drama di un gigantesco drama superiore. Ovvero: non c’è respiro.
E in questi casi il rischio parossismo è sempre presente. Nel primo episodio The Mill riesce a stare a distanza di sicurezza, ma il prosieguo, in questo senso, un po’ spaventa. In fondo The Village (ricordate? L’autodichiarato Heimat inglese) non è poi così lontano come impostazione, ma non ha l’ansia di costringere lo spettatore a sentirsi male e in colpa per quanto accade.
Intendiamoci: The Mill ha un bel pilot, capace di colpire e di mettere in piedi diverse storyline. Facce convincenti, ottima recitazione e una dinamica più che interessante che contrappone poveri a ricchi. Non siamo però dalle parti di Downton Abbey, con un’aristocrazia tutto sommato illuminata. Qui siamo nel pieno della formazione di una borghesia industriale spietata e anche i più bravi e sensibili tra i padroni sono pur sempre persone che si oppongono a quella lotta sindacale di cui sopra, per ridurre l’orario di lavoro dei bambini.
Sì, ripeto: bambini. Vedete, il punto è proprio qui: si fosse parlato di adulti, sarebbe stata una serie in grado di contrapporre grandi scontri e di creare tensione, emozione. Mettere al centro di tutto i bambini è come giocare sporco. Come arrivare con un bazooka in mezzo a gente armata di fionda. Se vuoi trattare un argomento del genere, devi tenerti a una distanza mille volte maggiore, altrimenti finisci per fare un quadretto ricattatorio e compiaciuto. E questo in The Mill non avviene, anzi. Stesso discorso per la parte visiva: la regia è come sempre di qualità, ma la fotografia cupissima è un ulteriore carico di drama a una situazione già portata all’estremo.
Tutto questo, però, non va a formare una stroncatura, piuttosto un disclaimer: o tu che ti avvicini a The Mill, sappi che troverai fame, disperazione, schiavitù e toni oscuri. No, non ci sarà nemmeno un momento di quiete e gli autori giocheranno con i tuoi sentimenti e ti ricatteranno emotivamente. Se accetti questi accordi, avrai una serie intensa e piena di contenuti importanti. Ma devi stare ai patti.
Perché seguirlo: per l’ambientazione interessante e per l’ottima scelta degli attori
Perché mollarlo: perché tutto è portato all’estremo e il drama rischia il parossismo