Orange Is The New Black – Arriva la bomba? di Marco Villa
Entusiasmo vero
E quattro. Dopo House of Cards, Hemlock Grove e Arrested Development, Netflix arriva alla quarta serie distribuita da febbraio. Si tratta di Orange is the new black e ha tutta l’aria di volersi imporre come una delle cose più interessanti di quest’anno.
Orange is the new black ha un concept di quelli che ci piacciono tanto, in quanto semplici ed efficaci. Piper Chapman è una perfetta biondina americana che si ritrova a scontare quindici mesi di carcere per una cazzata commessa quando era giovane. Storia vera, libro omonimo di Piper Kerman. Ci sono tutte le premesse per piazzare il superdrama epocale e invece fin dal pilot il tono è quella della comedy nera (“This isn’t OZ“, dice una delle guardie). Sporca, amara, senza illusioni, aggiungete pure tutti i termini che volete, ma difficilmente riuscirete a definire con precisione l’atmosfera di Orange is the new black (no, dramedy mi fa schifo come definizione, quindi non la userò).
Si diceva: la tipica biondina americana che va in carcere. Il motivo risale a dieci anni prima, quando, innamorata di una donna narcotrafficante l’ha seguita in capo al mondo, aiutandola pure a trasportare del denaro sporco. Poi la storia con la tizia finisce, lei torna a casa, passa del tempo, si innamora del suo attuale fidanzato (interpretato da Jason Biggs), si fa una vita e bam, la sua ex racconta tutte le proprie malefatte e anche per Piper arriva il carcere. Tanti momenti da raccontare: l’effettiva vita in carcere, la storia di come Piper è rimasta invischiata nei traffici della sua ex fidanzata, il rapporto con il nuovo fidanzato e con la famiglia. Tanta roba, pure troppa se maneggiata male, eppure nella prima puntata di Orange is the new black funziona tutto bene: dalla sigla, con la bellissima “You’ve got time” di Regina Spektor montata su particolari di volti delle detenute, passando per recitazione e messa in scena.
Anche la scrittura scorre via liscia, con un continuo passaggio tra tempo presente e passato: flashback che vanno a ricostruire la storia di Piper Chapman e che si posizionano in momenti diversi della sua vita, dando così una struttura tutt’altro che scontata all’episodio. Questa complessità viene oliata in fase di sceneggiatura inserendo dei passaggi molto facilitati da una scena all’altra, con frasi e discorsi che si completano tra loro in tempi diversi del racconto. Lo so, l’ho spiegata da cani, ma appena lo vedete lo capite. Ecco, questo è forse l’unico momento in cui il pilot di Orange is the new black rallenta un attimo, sotto il peso di una artificiosità di scrittura, che viene inevitabilmente a galla.
Ma è davvero un particolare da nulla, perché con Orange is the new black siamo di fronte a qualcosa di potente. Dalla prima puntata si intuisce che Orange is the new black (geniale già dal titolo) potrebbe diventare quella bomba vera in grado di fare il tris con Utopia e la già citata House of Cards. Il pilot di Orange is the new black ha trama, personaggi, attori e – soprattutto – tono giusti. Perché il tono di una serie di questo tipo è difficile da trovare e difficilissimo da tarare già nel primo episodio. Certo, la creatrice Jenji Kohan ha dalla sua l’esperienza maturata con Weeds, ma replicare un prodotto con atmosfera così peculiare non era facile. L’impressione è che qui ci sia stato addirittura un miglioramento. Ripeto: forse è la bomba che aspettavamo da settembre.
Perché seguirlo: perché nel pilot funziona tutto. Ma proprio tutto, tutto, tutto.
Perché mollarlo: perché volete o drama o comedy, le vie di mezzo vi fanno schifo.