Up the Women. Suffragette, ricamo e tanto, tanto umorismo inglese di Chiara Grizzaffi
Per una volta una serie brit che fallisce
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Non so voi, ma io se mi dicono “serie sulle suffragette nell’Inghilterra di inizio ´900” penso subito a un bel period drama di quelli che piacciono a me, con nobili signore emancipate, borghesi in ascesa e tutto il corollario di maggiordomi, segreti, intrighi e cappellini di varie fogge. La femminista che è in me poi, alimentata dai crime di vario genere che sulla condizione femminile riflettono moltissimo, e in modi spesso interessanti, ha fatto sì che mi infogassi ulteriormente. E niente, invece Up the Women è una comedy che dura 20 minuti scarsi a puntata (per fortuna!) e non ci sono patemi d’animo e lotte disperate, ma tanto humor inglese.
Scritta da Jennifer Hynes, che veste anche i panni della protagonista Margaret, si tratta di una comedy low budget piuttosto tradizionale: location fissa, risate in sottofondo (che, ammettiamolo, qui fanno comodo: sto umorismo inglese non è che si colga sempre…), nessun guizzo particolare dal punto di vista stilistico. Più interessante il cast, per lo più femminile e piuttosto nutrito, per dar vita a una galleria di personaggi variegata: si va dalla protagonista, intelligente ma che nasconde le sue doti agli uomini per non metterli in soggezione, all’anziana un po’ troppo vispa, soprattutto negli appetiti sessuali, alla religiosissima madre di n. figli – che manco a dirlo si chiama Eva –, fino alla freak per antonomasia, bruttina e stupidotta (mi pare di capire che quello dello scemo del villaggio sia un topos immancabile per gli inglesi). Questa cricca si riunisce ufficialmente come gruppo di ricamo, ma su invito di Margaret decide di costituirsi anche come gruppo a sostegno del diritto di voto alle donne.
Potremmo dire, per amore di sintesi, che nei suoi momenti migliori richiama i Monty Python – lo sketch dell’anzianotta che chiede notizie dei numerosissimi figli a Eva richiama quello della famiglia cattolica ne Il senso della vita – , con qualche gag più fisica alla Benny Hill, ma che non disdegna doppi sensi degni della peggiore commediaccia nostrana. Salvo che gli inglesi usano giochi di parole più o meno intraducibili, per cui le battute a sfondo sessuale ci arrivano dopo e ci fanno sentire comunque colti, che almeno sappiamo le lingue. Tanto per fare un esempio, la confusione fra peonies e penis, scatenata dalla scelta della scemotta Gwen di ricamare nel gonfalone del gruppo delle piante dall’inequivocabile forma fallica.
Ovviamente, l’ambientazione nel passato fornisce spunti per battute riuscite e divertenti anacronismi. E, personalmente, ho un debole per le comedian donne, anche perché credo che, restando in termini di parità tra i sessi, siano proprio loro ad aver dato una bella accelerata nello showbiz. Non siamo in ogni caso vicini agli esiti disastrosi di Plebs, però la sitcom ha un che di respingente: nessun elemento di novità, nessun personaggio davvero interessante o la cui caratterizzazione non sia già vista, un senso dell’umorismo meno immediato e cool delle comedy americane. Saranno anche l’ambientazione o la fotografia, ma se devo decidere fra “deliziosamente vintage” e “vecchio” opto più per la seconda. Insomma, ci vorrebbero degli ottimi motivi per seguire le vicende di uno sgangherato circolo del ricamo, e nel primo episodio non li ho trovati. Ma se l’umorismo inglese è il vostro pane quotidiano (non è il mio, mi pare si sia capito) e non vi lasciate scoraggiare facilmente da crinoline e punto croce fatevi sotto.