Game of Thrones 3 – Finale di una stagione bella e stronza di Diego Castelli
Tanto entusiasmo e un sassolino nella scarpa
ATTENZIONE! NON LEGGETE SE NON AVETE VISTO IL FINALE DELLA TERZA STAGIONE DI GAME OF THRONES
Succede anche con altre serie, ma con Game of Thrones di più: dieci episodi passano troppo in fretta. Facciamo appena in tempo ad esaltarci che siamo a già a discutere del finale e dei possibili scenari futuri.
Ed è bene dire una cosa: questa sorta di fastidio è anche colpa della stessa GoT, che ha una media di eventi rilevanti per puntata significativamente più bassa rispetto ad altri telefilm.
Ecco allora che si chiude una stagione bella, ma anche stronza. Bella perché Game of Thrones è sempre una figata colossale, per la cura dei dettagli, per la bravura degli attori, per i dialoghi calbrati al millimetro (pensiamo anche a personaggi non protagonisti come Varys, sublime maestro dell’intrigo e dell’oratoria). Ma non solo, anche per la capacità di gestire al meglio i pochi eventi davvero importanti, oltre il tappeto di chiacchiera che spesso pervade le puntate anche più di quanto ci si aspetterebbe.
In questo senso, questa terza stagione è stata comunque più frizzante della seconda, per lo meno se dalla seconda tiriamo via gli ultimi due episodi. Perché siamo tutti semi-svenuti alla nona puntata, ma prima erano successe tante cose degne di nota, come l’amputazione della mano di Jaime Lannister, il matrimonio tra Tyrion e Sansa, i momenti di eroismo di Sam, le Barriere scalate da Jon Snow e la sua storia con Ygritte (che come tante storie romantiche si conclude con lei che trafigge lui con delle frecce, più volte). Per non parlare di Daenerys (un urrà per la scena della vasca), dei suoi draghi, degli Immacolati.
Insomma, rispetto all’anno scorso c’è stato tanto movimento anche prima dei due episodi finali, cui è rimasto il compito di alzare di nuovo il tiro.
Qui urge una precisazione. Perché se sottolineiamo con piacere la maggiore presenza di eventi concreti, “action” mi verrebbe da dire, rischiamo di far passare un messaggio sbagliato, come se Game of Thrones fosse meritevole di elogio solo quando piazza i colpi potenti. Invece bisogna sempre ribadire che siamo di fronte a una serie in cui “fantasy” non fa sempre rima con battaglie, guerre e magie. Qui si punta moltissimo sulla politica, sui rapporti di forza, di amore e di odio tra i personaggi, introducendo le spade e il fuoco quando è necessario alla storia, e non solo per nascondere le potenziali parentesi di noia.
Ecco dunque che le parole e i pensieri dei personaggi assumono un valore e una forza di per sé, non solo come intermezzo tra uno scontro e l’altro: sentire Tywin confessare al figlio che l’avrebbe volentieri affogato in mare alla nascita, salvo poi cambiare idea solo per l’onore della famiglia, è un pugno allo stomaco tanto quanto una mano amputata o una freccia nel petto, e riesce a racchiudere in pochissime battute (scritte nel modo e nel tempo giusto) tutto ciò che le figure in campo rappresentano nell’ingranaggio della narrazione.
Detto questo – e precisato che Game of Thrones ci piace sia nella sua anima più sottile e arguta, sia in quella più sorprendente e scioccante – una tirata d’orecchi bisogna fargliela comunque. Perché se è vero che le grandi sorprese vengono piazzate in momenti di stanca proprio per aumentarne la forza (si pensi al matrimonio di sangue, che sembrava una roba iper-pacifica e poi è finita com’è finita), allo stesso tempo giocare troppo con la tensione dello spettatore senza poi farle trovare uno sbocco rischia di essere un’arma a doppio taglio.
Ed è qui che la stagione tre è diventata stronza, perché far finire la seconda con l’arrivo degli walkers salvo poi dimenticarsene quasi completamente per tutta la terza stagione, è proprio una vigliaccata. Una vigliaccata che immagino sia da imputare ai romanzi, più che alla serie, ma sempre una vigliaccata. L’ultima scena della stagione scorsa ci aveva lasciato con una precisa promessa di grandiosità, di epica militare, che quest’anno non si è concretizzata, perché l’unica volta che un walker è comparso si è fatto eliminare in modo abbastanza banale da Samwell “non-so-tagliarmi-le-unghie-ma-in-compenso-ammazzo-mostri” Tarly. Onestamente, prima della premiere di quest’anno pregustavo “l’arrivo dell’inverno”, con tutto quello che questo concetto significa nel mondo di Westeros. Invece no, un sacco di parole, un sacco di matrimoni, un sacco di arti amputati e scalate. Tutto realizzato più che egregiamente, ma non esattamente ciò che mi era stato promesso.
In questo senso, se la prima parte della stagione è stata superiore a quella scorsa, i due episodi finali sono nel complesso un po’ inferiori. Perché tutta la faccenda di Robb è devastante, clamorosa, da non dormirci la notte. Ma sono dieci minuti. Nel tempo restante, prima e dopo quella sequenza, non ci sono stati momenti grandiosi come la battaglia di Blackwater, l’arrivo di Tywin a King’s Landing o, appunto, la comparsa dei mostroni. Anche il finale-finale, con Daenerys circondata dai suoi nuovi adepti, è stato molto evocativo, ma non potente come il finale della prima, con la stessa Khaleesi sopravvissuta alle fiamme, e soprattutto della seconda.
Ovviamente stiamo parlando di peli nell’uovo (di drago). Game of Thrones rimane una serie di così ampio respiro, così stratificata e complessa e insieme così affascinante, che non ci si può arrabbiare sul serio anche se qualcosa di quello che uno si aspettava è mancato o è stato rimandato più del previsto. Nulla mi vieta, però, di sperare ancora in battaglie campali con migliaia di uomini e mostri.
Chiudiamo con Theon Greyjoy. E’ un personaggio che mi interessa poco, interpretato da un attore che non mi fa impazzire. Ma l’hanno torturato selvaggiamente, poi gli hanno tagliato il pisello e l’hanno messo in una scatola che hanno spedito alla sua famiglia. E come se non bastasse, quello che gliel’ha tagliato è il ragazzetto imbecille di Vicious. (il ragazzetto imbecille di Vicious? Ma è Simon di Misfits, maledetto Castelli! NdVilla)
Quindi, da maschio, dedico a Theon l’ultimo saluto, perché a lui è andata peggio di tutti.