Game of Thrones 3×09 – Un episodio devastante (SPOILER!) di Diego Castelli
Siamo ancora sotto shock
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NON LEGGETE QUESTO POST SE NON AVETE VISTO LA 3X09 DI GAME OF THRONES. SUL SERIO, SE NON SIETE SUL PEZZO ANDATE VIA E TORNATE NEI PROSSIMI GIORNI.
AH, E UN’ALTRA COSA: SE SPOILERATE NEI COMMENTI (QUI O SU FACEBOOK) SEGNALATELO IN MANIERA EVIDENTE, ALTRIMENTI NON LI APPROVO. ALMENO PER QUALCHE GIORNO.
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Oggi non era previsto un post su Game of Thrones. Non a una settimana dal finale, non quando abbiamo una rubrica apposita per tenere conto delle scene più belle.
Ma immagino sarete d’accordo con me: lunedì è troppo lontano.
Mentre scrivo queste righe è circa l’una del mattino, e avevo appena iniziato a guardare la season premiere di The Killing, di cui parleremo nei prossimi giorni. Ma nei primi minuti del pur glorioso crime di AMC continuavo a pensare a quel figlio di puttana di George Martin, e quindi non aveva senso continuare. Bisogna fermarsi un momento a riflettere.
Non è tanto dello shock che dobbiamo discutere, anche se condividere con voi lo strazio devastante di quel finale ha certamente un valore terapeutico.
Ma la scena l’abbiamo vista tutti, e il libro l’hanno letto in molti, dubito che le parole di un misero blogger italiano potrebbero restituire quelle emozioni, quindi mi pare inutile anche solo provarci.
L’oggetto del discorso non è nemmeno il valore di quei minuti all’interno della poetica di Martin, che pure trova qui una compiutezza che non avevamo visto nemmeno con la decapitazione di Ned Stark. No, solo ora capiamo davvero cosa significa, per questo paffuto romanziere, considerare la Storia di Westeros ben superiore alle piccole storie dei suoi abitanti, siano essi umili contadini o guerrieri di sangue reale. L’avevamo già capito che con Game of Thrones era meglio non affezionarsi a nessuno, ma lo dicevamo con un sorriso, quasi come una battuta di spirito, mentre ora siamo qui tremolanti, scossi, di fronte a un evento di cui prima o poi riusciremo anche a fare ironia. Ma non ora, non adesso.
Quello di cui dobbiamo parlare, noi che siamo serialminder, è il valore delle immagini.
Io non ho letto i libri di Martin, dubito anche che lo farò in futuro, ma sono certo che la morte di Robb e della madre, e il modo in cui è avvenuta, fosse un duro colpo anche su carta.
Ma sono convinto che anche i lettori dei romanzi, pur sapendo quello che stava per succedere, siano rimasti colpiti dall’impressionante forza visiva di questa sequenza.
Una sequenza che arriva quasi dal niente, in momento di gioia imposta e un po’ volgare, ma pur sempre leggera e divertente. Un momento in cui l’unico elemento di fastidio potevano essere gli apprezzamenti un po’ forti di un vecchio bavoso, o le usanze triviali di un popolo un po’ rozzo.
Poi vedi lo sguardo di Catelyn Stark. E ascolti la musica che cambia sotto quello sguardo. Capisci che qualcosa non va, e non importa che tu abbia letto qualcosa su facebook o altrove, che tu sappia che sei di fronte a un episodio diverso e più importante di quelli delle settimane passate. Quello sguardo da solo ghiaccia il sangue nelle neve. La cotta di maglia nascosta sotto i vestiti di Bolton è una solenne promessa di morte, così come i suoi occhi obliqui.
E tutto questo non è niente. Da questo momento, da quando la madre di Robb si alza in piedi per gridare l’allarme, è un susseguirsi di immagini che non dimenticheremo mai. E non è una frase fatta, un’iperbole retorica: non ci usciranno mai più dalla testa.
I colpi inferti all’addome di Talisa, a uccidere con violenza inaudita un figlio non ancora nato ma che aveva appena ricevuto un nome. Le frecce conficcate nel corpo di Robb e della madre. Gli sguardi avidi di Walden, che osserva famelico la carneficina da lui stesso orchestrata. Il terrore negli occhi di Arya, che credeva di essere ormai in salvo. L’uccisione vigliacca del lupo, simbolo della caduta degli Stark. Il volto stralunato di Catelyn quando ancora crede di poter salvare qualcuno usando la moglie di Walden come ostaggio. La risposta dello stesso Walder, fredda e cinica, che tronca anche gli ultimi fili di speranza a cui desideravamo poterci aggrappare. La rassegnazione di Robb, a cui non viene nemmeno permesso di pronunciare qualche ultima parola da vero re. L’urlo finale di Catelyn, che uccide l’innocente moglie di Walden come ultimo, inutile atto di una donna a cui non è rimasto più nulla, se non la certezza di stare per morire.
Questo triste elenco non serve a rimpolpare la vecchia polemica tra libri e trasposizioni cine-televisive. Non siamo qui a dire che un libro è meglio di una serie, o viceversa. Siamo qui a dire, più semplicemente, che ogni singolo frammento di questa sequenza è stato girato, montato, musicato e recitato in maniera eccelsa, e che a prescindere da quanto fosse buono il materiale di partenza, non siamo semplicemente di fronte alla buona resa di un grande romanzo, bensì al cospetto di una serie che è semplicemente grande, grandissima televisione.
E ora vado a dormire, ammesso che ci riesca.