Dai creatori di How I Met Your Mother: The Goodwin Games di Diego Castelli
Dopo aver creato una serie di culto uno deve anche prendersi una pausa, ehm…
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Puntuali come le rondini e le allergie ai pioppi, le serie estive stanno arrivando a colmare il vuoto lasciato da quelle invernali, molte delle quali sono andate in vacanza, se non in pensione.
Oggi parliamo di The Goodwin Games, comedy FOX creata e scritta nientepopodimeno che da Carter Bays e Craig Thomas, ovvero i padri fondatori di How I met Your Mother. Per la serie “l’altra sta finendo, vediamo di non trovarci senza lavoro”.
The Goodwin Games ha per protagonisti Henry, chirurgo pieno di sè; Chloe, ex bambina prodigio finita a lavorare in un bar; e Jimmy, simpatico perdigiorno con una figlia e una discreta passione per la galera. A interpretare i tre troviamo vecchie conoscenze del mondo telefilmico, in ordine Scott Foley, Becki Newton (che abbiamo visto di recente proprio in How I Met) e T.J. Miller.
Henry, Chloe e Jimmy sono fratelli, ognuno con la propria vita, ma sono costretti a tornare nella loro vecchia casa quando il padre che non vedono da anni muore lasciando un testamento. L’eredità del vecchio Benjamin Goodwin (interpretato dal mitico Beau Bridges) è sorprendentemente cospicua (23 milioni di dollari), ma i figli non toccheranno un centesimo a meno di superare le mille prove che il padre ha preparato per loro, prove che hanno un obiettivo specifico: trasformare i giovani Goodwin in ciò che il padre sperava diventassero. Che nello specifico sarebbe “brave persone, con una vita felice” ecc.
A questo quadretto di base bisogna (per ora) aggiungere April, che gestisce l’eredità di Benjamin, Lucinda, ex di Henry, e Elija, il quarto concorrente all’eredità, uno che i figli di Goodwin non conoscono e di cui nel pilot non si viene a sapere praticamente nulla (non ho nemmeno capito se ci sarà ancora, bah…).
La mano di Bays e Thomas, almeno se paragoniamo The Goodwin Games ad HIMYM, è evidentissima. Al di là che stavolta si tratta di una comedy single camera (quindi niente risate di sottofondo ecc), ritroviamo facilmente diversi temi e tecniche narrative con cui i due autori hanno riempito la vita di Ted Mosby e soci.
Benjamin Goodwin è di fatto un Barney Stinson invecchiato, uno con la passione per gli indovinelli e le fantasiose macchinazioni, che mette in scena un complicato meccanismo fatto di giochini, indizi e tormentoni verbali con lo scopo di guidare i figli in questa sorta di viaggio spirituale bonariamente imbecille. Del vero Barney gli manca solo la componente donnaiola (che non è poco), ma ha davvero lo stesso gusto per il teatrale e la stupefazione.
Poi abbiamo l’uso elastico del tempo e del modo della narrazione, con una grande quantità di flashback a ricordare l’infanzia dei protagonisti e un piacere esplicito nei confronti dei rimandi interni e delle autocitazioni. Non si arriva all’estremo di How I Met, che è un racconto tutto in flashback, e tutto filtrato (e modificato) attraverso il punto di vista di un narratore-personaggio. Ma comunque si nota la palese idiosincrasia di Bays e Thomas nei confronti dei racconti completamente lineari e senza deviazioni.
Terzo punto di comunione col loro successo più famoso è la spinta della serie verso un finale in qualche modo già annunciato e posto idealmente in un punto visibile dell’orizzonte. Se in How I Met questo punto d’arrivo era l’incontro tra Ted e la Madre, in The Goodwin Games si naviga verso la consegna dell’eredità, che arriverà quando i giochi di Benjamin saranno finiti e quando i figli saranno riusciti a compiere quel percorso di crescita personale che il padre si aspetta da loro.
Quanto debba durare questo percorso e quanta strada (reale e/o metaforica) debbano compiere i personaggi è lasciato alla fantasia degli autori e, molto più cinicamente, ai dati d’ascolto.
Dati che, almeno per il primo episodio, non sono stati clamorosi, a riprova di una vita non semplice per un telefilm che è stato rimandato più volte, che si è visto modificare il cast in più di un membro, e di cui è stato ridotto a sette l’iniziale ordine di tredici episodi, segno che forse il network era preplesso già in partenza.
Quello che qui possiamo dire, ahimè, è che questo parziale insuccesso non ci lascia basiti. The Goodwin Games funziona solo a tratti, affiancando buone trovate a momenti più scialbi e privi di mordente. Soprattutto, e questo gli autori lo devono tenere in conto, il confronto con How I Met rischia di lasciare Goodwin in un angolo. Sanguinante.
L’idea di per sé può funzionare, anche se non ci lascia curiosi come l’inizio della storia di Ted Mosby, e alcuni passaggi sono davvero divertenti: penso al ruolo completamente “a caso” di Elija, ma anche a certe botte di idiozia di Jimmy, tipico personaggio a cui sono affidati quei classici momenti di stupidità che funzionano sempre. Allo stesso tempo, però, ci sono altri passaggi molto meno riusciti, vuoi per la recitazione troppo caricata della Newton (sembra che lei stessa non si diverta a pronunciare le sue battute e voglia compensare facendo il pagliaccio), vuoi per gag che molto semplicemente non fanno ridere.
I problemi più grossi sembrano comunque altri due. In primo luogo un buonismo familiare eccessivamente zuccheroso, che il pubblico di FOX ha già dimostrato altre volte di non apprezzare troppo (e che quest’anno ha già fatto fallire Ben & Kate). E in secondo luogo, anche se qui l’ipotesi è più azzardata, una struttura narrativa che in questo momento appare troppo pesante. Cioè, sapendo quanto hanno tirato in lungo How I Met Your Mother (nel bene e nel male), vedendo questo pilot viene un po’ d’ansia al pensiero che noi si possa essere qui tra sei anni a guardare questi tre fratelli ancora alle prese con i giochetti messi in piedi dal padre ormai decomposto. E siccome il pilot è già bello pieno di informazioni e dettagli potenzialmente importanti per il futuro, allo spettatore può venire un piccolo moto di rifiuto, considerando che da una comedy vorrebbe prima di tutto leggero intrattenimento, e non una struttura complicata alla Game of Thrones.
E’ un po’ quello che era successo con Lost, dopo il quale qualunque serie fantasy-mistery troppo intricata sembrava uno sbattimento davvero eccessivo e comunque non paragonabile all’originale.
Detto questo, il pilot di The Goodwin Games ha abbastanza buone idee da guadagnarsi la visione del secondo episodio, ma è importante che aumenti il livello della qualità comica e che, se deve creare una sua mitologia, lo faccia in fretta, perché è estate e d’estate uno vuole pensare di meno.
Perché seguirla: la storia è piacevole, e lo stile di Bays e Thomas ci fa sentire a casa.
Perché mollarla: perché avete ceduto alla tentazione di fare un paragone con l’inizio di How I Met Your Mother, e al momento non c’è proprio storia.