Spartacus 3 – Quando Cesare divenne Thor di Diego Castelli
Cesare e Crasso salveranno la serie?
C’è stato un tempo in cui Spartacus era una serie figa, violenta, tamarra, scritta benissimo, girata ancora meglio, guidata da un attore pieno di carisma. Adesso è ancora una serie tutto sommato figa (anche se i concetti di “tutto sommato” e “figa” non stanno molto bene insieme), ma scritta un po’ meno bene e incentrata su un ragioniere che chissà come è finito a capo di una rivolta di schiavi incazzati.
Spartacus – War of the Damned è la terza stagione dedicata al temibile trace, la quarta se consideriamo lo spinoff/prequel Gods of the Arena, pensato per dare tempo al vero protagonista di riprendersi da una malattia molto reale che purtroppo non è riuscito a sconfiggere.
Su Serial Minds abbiamo già affrontato la questione: Liam McIntyre, l’attore che ha sostituito lo sfortunato Andy Whitfield, non ci piace. Ed è ovvio che c’è tanto pregiudizio, perché “nessuno sarà mai come l’originale”.
Ma dopo parecchi mesi non siamo ancora riusciti a farci l’abitudine, perché il McIntyre può impegnarsi finché vuole, ma con quelle gambette da impiegato, quella testa enorme rispetto al corpo e la faccia da tv movie di ABC Family, fa davvero fatica a essere credibile nei panni di un ex schiavo desideroso di vendetta. Non ce l’ha proprio dentro, tende sempre a sfigurare accanto al prode Crixus, che pure quest’anno ha una pettinatura da completo imbecille.
Ma se tralasciamo ogni componente emotiva legata al protagonista, è facile anche vedere un problema che forse nemmeno gli autori si erano immaginati alla vigilia. Con Blood & Sand, Spartacus aveva trovato la sua dimensione perfetta. Una dimensione chiusa, se vogliamo, limitata all’arena e alla casa di Batiatus, che riusciva a contenere e ordinare tutti i vari elementi della narrazione: la schiavitù e la voglia di riscatto, il desiderio di vendetta per la moglie uccisa, le dinamiche tra i gladiatori, il gusto per gli incontri simil-wrestling, le trame e gli intrighi tra i romani. Il tutto, ovviamente, con la forza della novità e della freschezza.
Spezzate le catene e messosi a capo dei ribelli, Spartacus ha guadagnato forza militare, ma perso potenza telefilmica, perché in breve tempo tutte le questioni più importanti, e soprattutto tutti i nemici migliori, sono stati risolte e uccisi.
Quello che fa sorridere è che in realtà la vita gladiatoria di Spartacus è quella meno famosa, meno importante dal punto di vista storico, eppure era perfetta per una serie. Finita quella fase, e perso il protagonista, è andato un po’ tutto a puttane, tanto che questa stagione dovrebbe essere già l’ultima, a completamento di un percorso che tutti credevano più lungo e ricco di successi, e che purtroppo finirà prima del previsto.
Con War of the Damned la sfida era particolarmente ardua, perché andava trovato un nuovo antagonista dopo la morte di Glaber (che già di suo era un personaggio meno interessante di Batiatus). In questo senso, l’operazione sembra sorprendentemente riuscita con Crasso (diciamola all’italiana, va…), politico e guerriero di alta caratura intellettuale e persino morale (vedere il rispetto verso lo schiavo-allenatore), segnato dall’ambizione, dal desiderio di gloria e dalle difficoltà di avere un figlio pirla.
Crasso è un bel cattivo, introdotto bene, a cui ci si può subito affezionare. Parecchi problemi in più, nel secondo episodio, li ha dati Cesare. Perché da Spartacus non pretendiamo chissà quale coerenza storica, per carità, ma vedere spuntare Cesare – proprio quel Cesare – e rendersi conto che praticamente è Thor più basso e senza martello, onestamente ci fa un po’ ridere.
Da italiani, e da europei, lo sappiamo qual era il volto di Cesare: mica perché facciamo i fighi e andiamo nei musei a vedere i busti in marmo, ma semplicemente perché vedevamo il suo nasone nei cartoni di Asterix. Invece qui gli americani hanno pensato bene di raffigurare il giovane Cesare come un Dio del tuono ovviamente bravissimo nel combattimento, che insieme a Crasso sembra pronto a formare una coppia d’attacco che darà parecchio filo da torcere al duo Spartacus-Gannicus. Tutto comprensibile in ottica megascontro da power ranger, un po’ eccessivo per gli spettatori dello Stivale.
Comunque queste possono essere inezie. Quello che rimane è un effetto nostalgia difficile da spezzare. Sì, Spartacus e i suoi conquistano città e uccidono romani, il sangue scorre sempre abbondante e le donne si spogliano con irrisoria facilità. Tutto concorre a episodi comunque piacevoli, che passano in fretta e divertono, senza nemmeno far mancare qualche apprezzabile approfondimento psicologico (vedi Spartacus che comincia a rendersi conto che la ribellione va bene, ma se per farla bisogna ammazzare un casino di innocenti, forse qualche problemino c’è).
Ma qualcosa si era perso già l’anno scorso, e non l’abbiamo ancora ritrovato. Probabilmente non lo ritroveremo più. Quella magia, quel furore, quelle profonde e dilanianti motivazioni personali che andavano oltre il semplice “ammazziamo tutti i romani perché è giusto così”. Ci troviamo, noi spettatori, a seguire Spartacus come un gladiatore che ha già vissuto – e passato – il proprio momento di massima gloria. Ok, per carità, combattiamo ancora, ci prendiamo anche gli applausi, ma vuoi mettere?
Speriamo che Cesare e Crasso, uniti insieme come una sorta di versione malvagia degli Avengers, riescano con la loro fama a ridare alla serie quell’epica e quell’emozione che purtroppo è rimasta nell’arena ormai tanto tempo fa. Anche perché comunque l’idea che il nostro eroe possa avvicinarsi a Roma per lo scontro decisivo può dare ancora qualche brivido.
E dai dai dai.