Fringe 5 – Ritorno al futuro di Diego Castelli
Dai, fuori dall’ambra e tutti pronti!
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DIREI DI NON LEGGERE SE NON AVETE VISTO LA 5X01
Qualunque cosa tu faccia, se dici “la prossima sarà l’ultima” alzi a palla le aspettative. Che tu sia un musicista pronto per il concerto d’addio, o un romanziere che chiude una saga di successo (magari con un maghetto ipovedente e depresso), quando annunci il gran finale devi sapere che ti esponi una forte pressione.
E’ questa la situazione attuale di Fringe, la serie che per quattro anni ha diviso, appassionato, confuso e interessato i fan della fantascienza (nonché gli orfani di Lost e i nostalgici di Dawson’s Creek). Sul finire della stagione scorsa, che pareva/doveva essere l’ultima, è arrivato l’annuncio di un ultimo ciclo di tredici episodi, che evidentemente ha influenzato la quarta stagione nei modi che conosciamo (e su cui abbiamo battagliato qualche mese fa): dopo il finale allegrotto e zuccheroso post-salvataggio dell’universo, l’osservatore September spezza la gioia annunciando il prossimo arrivo dei suoi colleghi incazzati, che avrebbero gettato il mondo nel cupo autoritarismo già intravisto in un episodio speciale ambientato nel futuro.
Oggi parliamo della premiere della quinta stagione, e lo facciamo con un certo sollievo: Fringe è ripartita forte.
L’idea migliore è tanto semplice quanto importante: prendere baracca e burattini e traslocare nel 2036. Esaurita la spinta narrativa dei giorni nostri, la sfida è quella di raccontare ciò che nella scorsa stagione era stato solo accennato, cioè la lotta dell’umanità di oggi contro gli invasori del domani. Era ovviamente prevedibile che si tornasse nel futuro, ma non mi aspettavo una scelta così netta e perentoria. Il passato (cioè il nostro presente) viene relegato a qualche flashback con la fotografia luccicosa, mentre quello che conta è riunire la squadra per mazzuolare i pelatoni. Inutile dire che gli eroi sono sempre gli stessi, debitamente conservati nell’ambra e per questo ancora giovani e gagliardi, anche se con discreti problemi di genitorialità per Peter e Olivia, che si ritrovano con una figlia loro coetanea.
Questo primo episodio pone le basi per l’intera stagione, con precise missioni da compiere (recuperare la memoria di Walter, nella cui mente è nascosto il piano per sconfiggere i cattivi), dinamiche relazionali da ricostruire (veniamo a sapere che Peter e Olivia si erano allontanati), una serie di intrighi tutti da dipanare, e un’atmosfera postapocalittica di grande effetto, benché basata su pochi elementi attentamente calibrati (tipo il dettaglio che gli osservatori non riescono a respirare se c’è troppo ossigeno, come se fossero una versione mutata e adattata di noi inquinatori del 2000). E il carisma dei personaggi è sempre lo stesso, con Walter Bishop-John Noble che giganteggia in una scena di interrogatorio che ricorda fin troppo il primo Matrix, ma mozza comunque il fiato in gola (lo vogliamo dare o no un Emmy a sto povero cristo? O lo lasciamo così, a regalare perle ai porci?).
Una premiere del genere, solida nella struttura e appassionante nello svolgimento, lascia sperare in 3-4 mesi che potrebbero fare (bella) storia a sé, un racconto unitario e compiuto basato su personaggi che ben conosciamo, ma del cui agire passato ci interessa solo fino a un certo punto.
Ed è proprio qui che si annida l’unica nota stonata. Per quanto il salto nel futuro sia motivato e coerente (e probabilmente necessario), rimane appunto un “salto”, un passaggio forzoso e per questo evidente nella sua fragilità drammaturgica. Come ammesso dagli stessi autori dello show, tutta la storia legata agli universi paralleli, a Bolivia e Walternate, è conclusa, archiviata, non più utile. Noi spettatori ne prendiamo atto, ma sorge spontanea la perplessità sull’importanza di quanto abbiamo visto finora: concentrare tutta l’attenzione finale sulla lotta agli osservatori toglie inevitabilmente valore a tutto quanto è stato fatto prima, come se le enormi fatiche per salvare l’universo fossero solo una scusa per presentare la figura degli uomini del futuro.
In pratica, la quinta stagione di Fringe è uno spinoff. Coerente, interessante, potenzialmente esplosivo, ma sempre spinoff, che sembra dire “ehi voi, buttate il passato nel cesso, quello che conta è qui, non state a guardarvi indietro”. Ecco, a me spiace non guardarmi più indietro. Spiace che gli ultimi quattro anni siano stati archiviati come una cosa “finita”, mentre avrei preferito portarmeli avanti fino all’ultimo, magari con un nuovo universo parallelo in cui l’amore tra Olivia e Peter viene minacciato dal fascino biondo di Dawson Leery.
Detto questo, non voglio finire in amarezza. La quinta stagione è iniziata bene, a tratti benissimo, con una storia forte e grandi potenzialità. Spero di poter scrivere un post entusiastico per il finale invernale, ma un consiglio è facile darlo: godiamoci quest’ultima stagione, perché un altro Fringe non arriverà tanto presto.