Downton Abbey: la terza stagione di Chiara Grizzaffi
Tra eredità inattese (maddai!) e guest star da urlo
Premessa: l’estate è stata dura, durissima. Sì, ci sono i recuperoni (nel mio caso The Killing, Luther, Black Mirror, Dead Set, e poco altro), c’è stato lo strazio di vedermi tutto The Newsroom (ma non apro qui una parentesi che scatenerebbe la Terza Guerra Mondiale), c’è stato il ritorno di Boss… Ma iniziavo ad avere troppo tempo libero, e siamo onesti: chi vuole avere una vita quando si possono vivere quelle altrui comodamente sbragati sul proprio divano?
Per fortuna, è tornato Downton Abbey con tutto il suo aggregato di servitù, campanelli, guanti, crinoline e gente che da sola non si allaccia nemmeno le scarpe, l’ideale per lavare via le vergogne dell’estate (vedi alla voce Pulcino Pio). Fidatevi, di questi tempi in cui vanno di moda toga party a caso, centurioni che si imbucano a feste che hanno per tema l’Odissea e ancelle coi tacchi a spillo, sentirete il bisogno di fare dell’ora del tè il massimo momento di trasgressione della giornata.
Li avevamo lasciati (e da qui in poi, vado di spoiler) tutti felici e contenti sotto Natale: la guerra era finita, l’erede Matthew si era miracolosamente alzato dalla sedia a rotelle e, come nei migliori feuilleton, aveva visto convenientemente morire la promessa sposa per malattia proprio quando si era reso conto di amare Lady Mary, Lady Sybil era scappata con l’autista… insomma, a parte il povero Bates ingiustamente accusato di omicidio, le cose a Downton avevano ricominciato a girare per il verso giusto.
In effetti, questo inizio di stagione è perfettamente in linea con la chiusura della serie precedente: tutti i membri della servitù sono al loro posto, con la sola aggiunta di un nuovo cameriere; il matrimonio di Mary e Matthew è imminente, Bates è sempre in prigione e finalmente anche Lady Edith, comunemente nota come la sorella cozza (che poi, non è veramente brutta dai!) ha ripreso la sua frequentazione con l’attempato amico di famiglia. Insomma, non è un inizio destabilizzante come il precedente, se non fosse per un piccolo dettaglio: i Crawley stanno per finire sul lastrico. Il che significa niente Downton, niente Carson (dico, ma siamo pazzi!), niente di niente.
Ora, si tratta di un espediente tutto sommato prevedibile, in linea con quello che dovrebbe essere uno dei temi della serie: l’aristocrazia inglese e le differenze di classe raccontate nella fase storica del loro declino. Un segnale forte, in questo senso, era già stato dato dal matrimonio fra Sybil e l’autista, Branson, che non a caso per tutta la puntata inneggia all’indipendenza irlandese e si rifiuta di indossare il tight a cena. D’altra parte, la stessa famiglia è un’unione, fin qui riuscita, fra le antiche tradizioni inglesi e la mentalità capitalista statunitense. Insomma, sarebbe facile ipotizzare che i futuri sviluppi della serie riguardino proprio la difficoltà di adeguarsi al cambiamento, anche a fronte della perdita di denaro e di privilegi.
Ma c’è un ma: pare che la fidanzata morta di Matthew gli abbia lasciato un bel po’ di soldi. Non si può fare a meno di sottolineare come Matthew sembri essere l’erede di chiunque in Inghilterra, e quindi come l’espediente risulti un filino ripetitivo. Per giunta, anche in questo caso Matthew eredita a seguito della tragica e misteriosa scomparsa di chi era prima di lui in linea di successione. Sa un po’ di déjà-vu, ma staremo a vedere come verrà sviluppato successivamente questo spunto.
Una puntata, quindi, più utile a gettare le basi di quello che verrà che non caratterizzata da grandi svolte narrative, e senza i troppi colpi di scena drammatici a cui Downton Abbey ci aveva abituati. Quello che non cambia è la cura nella scrittura: anche in questo caso, ci sono alcuni scambi memorabili che, inutile dirlo, hanno quasi sempre per protagonista Maggie Smith. E se non ci sono molte scene madri, ci sono tante piccole sequenze davvero ben costruite: Branson che, divenuto ormai un membro della famiglia Crawley, entra nella sala da pranzo della servitù e i suoi ex compagni di lavoro si alzano in piedi, tra l’ossequioso e l’imbarazzato; la madre di Mary che tenta di spiegarle i doveri coniugali, ma Mary ironicamente le fa osservare che, in fondo, lei è abbastanza informata sui fatti della vita (vedi alla voce Mr. Pamuk).
Menzione a parte merita la guest star per eccellenza, Shirley MacLaine: è talmente meravigliosa che, personalmente, mi auguro che un giorno qualcuno faccia uno spin off dedicato solo a lei e Maggie Smith che prendono un tè servito da Carson. Purtroppo, a furia di vedere attrici anche brave ridotte alla modalità cinofila facciadacucciolo/canedaborsettaimpazzito (sì, Sorkin, parlo con te) ci si dimentica che si può anche recitare da dio, ogni tanto.
Per tirare le somme: troppo presto per capire che piega prenderà questa terza stagione, e se sarà all’altezza delle precedenti, ma certo molti degli elementi di successo della serie mi sembra siano confermati, per cui vale la pena vedere come proseguirà.