Breaking Bad – Arriva la tragedia di Marco Villa
Una quinta stagione potentissima
SPOILER ALERT: SI PARLA (TANTO) DEL FINALE DELLA QUINTA STAGIONE
Iniziamo dalla fine. Iniziamo dall’unico finale che avrebbe potuto avere questa semistagione di Breaking Bad. L’eroe buono che, nella posizione meno eroica che possa esserci, capisce di non aver capito nulla fino a quel momento. Hank c’è e lotta insieme a noi. O contro di noi, ma vabbè. È questo il finale di stagione di Breaking Bad, quello che spiana la strada delle ultime otto puntate e mette dei paletti importanti. Se il finale lascia aperta la (lunghissima) attesa, è quello che viene prima a certificare per la millesima volta la forza di questa serie.
Quello che viene prima è l’uccisione in due minuti di dieci persone, raccontata quasi di passaggio, come un ostacolo che andava rimosso per proseguire. Una formalità risolta con grande qualità, ma niente più di un passaggio come tanti, che in qualsiasi serie avrebbe rivestito importanza fondamentale e avrebbe richiesto preparazione e attenzione per puntate e puntate. E forse sarebbe stato così anche nelle altre stagioni di Breaking Bad, tutte caratterizzate da andamenti e ritmi diversi da questa quinta. Perché è stata una stagione strana, che ha messo da parte il ritmo lentissimo delle altre annate per infilare, uno dopo l’altro, una serie di momenti enormi, da ricordare. Non solo le uccisioni e i momenti di svolta, ma anche eventi più o meno grandi e di fatto slegati dalla progressione orizzontale. Qualche esempio? Il Jesse geniale dei magneti alla prima puntata, la parentesi western con l’assalto al treno, di nuovo Jesse in versione bimbo a cena tra mamma Skyler e papà Walt.
Ma non è nemmeno il massacro in prigione a rendere grande l’ultima puntata di Breaking Bad e a mettere un sigillo importante e definitivo a sei stagioni, aprendo un’ultima tornata di otto puntate. Il punto fondamentale è il fatto che Walter si è fermato, si è chiamato fuori. È vero, non è la prima volta che giura a Skyler di essersi tirato fuori dal giro, questa volta, però, non ci sono dubbi che sia vero. Il motivo è semplice: Walter non sta rinunciando in modo forzato per garantire la sicurezza di qualcuno o per paura di qualcosa. Walter si ferma perché si sta annoiando. Qualche puntata fa l’aveva detto, a un dubbioso Jesse: non gli interessava il business dei soldi o della droga, lui era nell’empire business. E adesso, grazie ai voli verso la Repubblica Ceca (buttata lì questa cosa, ma è funzionale e ci sta, dai), il suo impero ce l’ha. Il metodico e scientifico prof. Walter White ha raggiunto il suo obiettivo. Ora non gli interessa più nulla: voleva tagliare un traguardo, anche solo per vedere l’effetto che faceva. L’ha fatto e la sua curiosità è stata appagata.
Adesso tutta l’escalation che l’ha portato a diventare Heisenberg, a trasformarsi in un signore del narcotraffico che ordina omicidi nelle prigioni, a tenere sua moglie nel terrore, a spaventare a morte l’unica persona che gli è stata veramente vicina, fino a spingerla ad aprirgli la porta con una pistola in tasca, adesso tutta l’escalation si è compiuta. E lo scienziato ha perso ogni interesse in quello che stava facendo.
La sfida non c’è più, non c’è più il divertimento. L’ultima scena, nel bagno di casa sua, promette un nuovo confronto. Ma non ci sarà divertimento. Nel momento in cui Hank ha (finalmente, dio santo) capito qualcosa, Walter si è trasformato in una bomba. Tutto quello che ha intorno è vicino alla distruzione. Walter è da sempre un personaggio tragico, ma ora, senza nessuna motivazione per andare avanti, senza più l’ego che lo tiene a galla per dover dimostrare ancora qualcosa in più, ora può solo cadere, travolgendo tutto, o facendosi scudo umano per ciò che lo circonda. Parlando del finale della scorsa stagione, scrissi che Walter era diventato il villain del racconto. È arrivato il momento di pagare.