Animal Practice – Quando non basta la scimmietta di Diego Castelli
Troppi animali e poche idee nella nuova comedy di NBC
Essendo ormai una verità conclamata che internet è stato creato per soddisfare il bisogno mondiale di foto di gattini (e di porno), verrebbe spontaneo aspettarsi un congruo numero di cuccioli di varia specie e pelliccia anche in televisione (al porno ci pensa Spartacus). Invece, curiosamente, i piccoli amici animali sono abbastanza bistrattati dal mondo seriale recente, se escludiamo i teneri mutaforma di True Blood.
Sia chiaro, esiste una lunga storia telefilmica fatta di cani, gatti, pappagalli, delfini e centauri, ma non ho memoria personale di un bel telefilm recente pieno di faccette pelose. A colmare l’orrenda lacuna ci prova NBC, che con Animal Practice unisce il medical al mondo animale, frullando il tutto in salsa comedy.
Protagonista è il dottor George Coleman, star di una prestigiosa clinica veterinaria. Amante degli animali tanto quanto è infastidito dalle persone, Coleman ha un po’ del dottor House: geniale nel lavoro, cinico e sarcastico con il prossimo, sempre pronto a fare la prima donna. Le somiglianze però si fermano qui, perché Animal Practice è una comedy pura, dove alcune sfumature edificanti e/o romantiche sono largamente superate dai momenti demenziali legati alla pratica veterinaria. In questo senso, molto del lavoro comico è affidato ai colleghi di Coleman, un bestiario che comprende figure abbastanza classiche come l’asiatico piccolo e sfigato e la cessa inquietante.
Purtroppo, a fronte di elementi da risultato (apparentemente) sicuro, Animal Practice zoppica parecchio. La sceneggiatura è solo decente, senza particolari picchi o invenzioni. Ma il problema più grave va cercato nel casting: il protagonista Justin Kirk è subito antipatico, e la faccenda non cambia più di tanto nemmeno quando, trama alla mano, dovrebbe diventare più gradevole. E’ proprio un problema fisionomico e di recitazione, che ritroviamo anche in molti dei comprimari: Bobby Lee, l’interprete del dottor Yamamoto, è lontano anni luce da altri “buffi asiatici” della tv, come Ken Yeong di Community o Matthew Moy di 2 Broke Girls; stesso discorso per Betsy Sodaro, che dovrebbe essere la bruttona allucinante ma che ispira simpatia, e che invece soffocheresti col Baygon dopo due scene. Qualcuno alla produzione deve aver pensato che in una serie sugli animali sarebbero stati benissimo degli attori cani…
Sapete però qual è il dettaglio che fa cascare le braccia? La scimmietta. Il migliore amico di Coleman è il classico primate pensato per fare grandi sorrisi, dare il cinque, mostrare un acume del tutto incompatibile con il cervello di una scimmia vera. Ed è una scelta di una banalità sconcertante, soprattutto perché non accompagnata da un trattamento originale che possa in qualche modo rinfrescarla. E’ proprio la scimmietta simpatica, esattamente come te l’aspetteresti.
Insomma, non sono qui ad aspettare con ansia il secondo episodio, soprattutto considerando che non siamo a inizio estate, ma sulla linea di partenza di un autunno particolarmente carico di novità. Poi io ho il cuore tenero e magari un’altra chance gliela do, ma deve impegnarsi di più, altrimenti ciao.
Perché seguirlo: volete tanto bene agli animali, e Alle falde del Kilimangiaro non vi basta più.
Perché mollarlo: sta per iniziare un periodo serialmente pienissimo, e bisogna essere spietati.
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