The Newsroom – Una difesa con il coltello tra i denti di Marco Villa
Ok, The West Wing era meglio. Ma The Newsroom resta una bomba
L’abbiamo detto da subito, l’abbiamo ribadito in tutti i modi possibili. The Newsroom ci piace. La nuova serie di Aaron Sorkin è qualcosa di grosso e di importante. Non tutti sono d’accordo, anzi. The Newsroom ha beccato una raffica di stroncature e critiche di una ferocia quantomeno sospetta, in cui si questiona scendendo a una profondità mille volte maggiore rispetto a quella a cui si arriva quando si parla di serie.
In giro si è letto parecchio e male su The Newsroom. Per dimostrarlo, sfrutto questo post di Matteo Bordone, che si è impegnato a mettere i linkini agli articoli seri e quindi va stimato. Il discorso di molti detrattori è semplice: rispetto agli altri lavori di Sorkin, The Newsroom fa schifo.
Ecco, io ho visto gli altri lavori televisivi fatti dall’Aaron prima di The Newsroom e credo di aver abbondantemente rotto le palle su questo sito con la mia monomania per il biondo occhialuto. Ed è vero: The West Wing è tre spanne sopra The Newsroom. Non è tanto una questione di storia o ambientazione, quanto di tono. Una misura diversa in quasi tutto, dagli spiegoni alla lunghezza delle scene, alla brillantezza dei dialoghi (eh sì, quelli di The Newsroom sono comunque brillantissimi, valutate un po’ se è il caso di recuperare o meno le sette stagioni dell’ala ovest). Ciononostante, non ce la faccio proprio a fare il discorso del tipo “questa serie è brutta, è un fallimento”. Perché? Perché ho visto talmente tante serie orrende in questi due anni di Serial Minds (sì, abbiamo compiuto due anni e non li abbiamo nemmeno festeggiati) che so bene quale sia il significato dell’aggettivo “brutto” in relazione ai prodotti a puntate trasmessi nel televisore. Non sto quindi dicendo “c’è di peggio”. No, col cazzo. Sto dicendo: “c’è ben poco di meglio”. Che è diverso.
Il principale motivo delle critiche, in fondo, l’ha descritto bene Guia Soncini: prima eravamo in pochi a idolatrare Sorkin, chi sono adesso questi barbari che ne parlano, senza nemmeno sapere perché iniziamo a sorridere quando pensiamo a CJ che fa The Jackal? E ci sta, peccato che sia una reazione che personalmente trovo piuttosto odiosa. E si tratta di un reazione che conosco benissimo, visto che, nella musica, di cui scrivo da un po’ di anni, la regola d’oro dell’indie-guy è la sempiterna”era meglio il demo”. Ovvero: “eh, ma adesso sono diventati mainstream, vuoi mettere la b-side dell’ep uscito solo su cassetta e in vendita ai banchetti dei concerti dei giorni dispari durante le targhe alterne?”. Ovvero: è tutta una questione affettiva. E si sa che le questioni affettive fanno saltare livelli e riferimenti, portando sempre e solo agli estremi.
In più, giusto per darmi una mano in questa argomentazione, The Newsroom ha sfornato con la quinta puntata una storia e uno sviluppo che più westwinghiano non si sarebbe potuto. Certo, qui lo spiegone su cos’è Rudy arriva dopo pochissimi minuti, mentre in The West Wing il riferimento sarebbe stato palleggiato molto più a lungo tra i personaggi, torturando lo spettatore, ma l’idea di base del gruppo di lavoro come famiglia arriva diritta dalla serie della Casa Bianca. E funziona. E colpisce. Così come in questa puntata decolla il rapporto tra Jim e Maggie (a.k.a. Josh e Donna di The West Wing) e assume forza il personaggio di Don. Adesso la redazione di News Night è un gruppo, è quello che nelle altre serie di Sorkin (escluso Studio 60, non a caso colato a picco, non avendo avuto una HBO alle spalle a dare carta bianca) si percepiva fin dalle prime battute.
La sensazione è che la serie stia per iniziare a girare davvero al massimo. E provateci, poi, a dire che è un fallimento o un figlio degenere dell’Aaron.