True Blood 5 – E col secondo si ingrana! di Diego Castelli
Dopo un inizio tiepido, la quinta stagione decolla
ATTENZIONE SPOILER: NON LEGGETE SE NON AVETE VISTO I PRIMI DUE EPISODI DELLA QUINTA STAGIONE
Le serie estive sono corte, e qui a Serial Minds tendiamo a scriverne subito, perché se aspetti troppo finisce che fai un articolo sulla nuova stagione, e dopo due giorni ne fai un altro sul finale.
Ma dopo il primo episodio della quinta stagione di True Blood, che pure avevo avvicinato con un discreto entusiasmo (grazie al finale dell’anno scorso, con il ritorno annunciato del Reverendo e di Russell Edgington), non avevo proprio voglia di scrivere niente. L’ho trovato moscetto, trattenuto, con idee buone per il futuro ma poco accattivanti in quei cinquanta minuti: Tara trasformata in vampiro va bene, ma l’avevano tirata molto in lungo senza farcela vedere; l’Autorità aveva fatto mostrato i muscoli, ma lasciandoci fuori dai centri del potere che “dovevano” essere pieni di personaggi fighi; la storiella del Reverendo è stata divertente (“sono un vampiro gay americano”), ma ancora acerba, e infine Russell non si è visto. Insomma, non un brutto episodio, ma un inizio comunque un po’ loffio.
Fortunatamente, qualunque tipo di nube o preoccupazione è stata spazzata via dalla seconda puntata, questa sì meritevole di approfondimento.
La resurrezione vampiresca di Tara è andata meglio di quanto mi aspettassi, con la ragazza ancora incapace di controllare le sue pulsioni e i suoi poteri, e diventata perciò una specie di trottola impazzita distruggi-tutto, sotto lo sguardo preoccupato di Sookie e quello terrorizzato di Lafayette (poveraccio, in cinque stagioni è passato da fascinoso e carismatico cuoco gay a donnetta sempre sull’orlo del panico… non che io reagirei diversamente a tutta la merda in cui si trova immerso, sia chiaro…). Insomma, un esito un po’ grottesco, che presto lascerà il passo a passi più drammatici, ma che per ora è risultato molto divertente.
Discorso simile per il Reverendo: l’ottima idea è stata quella di non cambiarlo per niente. Il vampirismo non ha stravolto le sue credenze, trasformandolo nell’opposto di sé stesso. No, i denti aguzzi hanno semplicemente spostato il fuoco delle sue parole: è rimasto un predicatore tale e quale a prima, solo che invece di parlare del pericolo rappresentato dai vampiri, ora sproloquia di amore universale, di Dio che ha creato tutti e a tutti vuole bene, e via dicendo. Non serve nemmeno sottolineare l’ironia della situazione.
E poi c’è l’Authority. Quello che mancava nell’episodio precedente, qui è presente oltre le mie più rosee previsioni. Attraverso gli occhi di Eric e Bill, catturati e torturati, incontriamo un mondo nuovo e tutto da scoprire, che aggiunge ulteriori sfumature politiche e religiose a un quadro che si era già complicato oltremodo rispetto ai primissimi episodi, in cui ci si concentrava sull’amore difficile tra una ragazza di provincia e un antico vampiro gentiluomo.
Veniamo ad esempio a sapere che anche i non-morti hanno una loro religione, persino una loro bibbia, che racconto di un Dio Vampiro che ha modellato i succhiasangue a sua immagine e somiglianza, creando solo successivamente Adamo ed Eva come primi esemplari di una specie destinata a essere semplice cibo.
Non deve sfuggire il portato filosofico di questa riflessione. Al di là della sorpresa e del compiacimento per chi, come me, prova un istintivo apprezzamento per tutto ciò che è anti-religioso, con questa mossa True Blood approfondisce ancora una volta lo status sociale dei vampiri, dotandoli di una loro cultura e di loro credenze, elementi che ne fanno una vera e propria società a sé stante, forse più delle gerarchie e delle aspirazioni politiche: il Sanguinismo trasforma l’essenza stessa dei vampiri, che da “umani trasformati” diventano la prima vera specie della Terra, con il relegamento dei mortali ad animali da allevamento.
Ovviamente questo cambio di paradigma, che all’occhio degli spettatori umani può sembrare un semplice “errore”, una mistificazione della realtà da parte dei vampiri, porta con sé un riflessione che meriterebbe ben più che mezzo post: le credenze dei vampiri finiscono con l’avere lo stesso valore di quelle degli umani, perché basate sulle stesse, scricchiolanti basi: vecchi libri scritti da gente vissuta migliaia di anni fa.
Dal mio punto di vista – e mi rendo conto di toccare un tasto delicato – mostrare le similitudini tra alcune “nostre” convinzioni filosofico-religiose e quelle dei vampiri, permette di analizzare quello stesso materiale culturale con un distacco che spesso la nostra società non permette, così attenta com’è a non toccare poteri forti che poco si prestano al dialogo e alla razionalizzazione.
Ve la dico fuori da qualunque metafora: temo che il tizio enorme, buono buono e con la barba bianca che dovrebbe stare tra le nuvolette, ce lo siamo inventati noi, e questo episodio di True Blood sviluppa la stessa tesi con arguzia, creatività e un’ironia sottile e mai troppo esplicita, inserendo anche tutto un livello di macchinazioni squisitamente dialettiche e strategiche che starebbero bene in una serie alla West Wing o alla Boss (anche i vampiri, al loro interno, devono combattere il fondamentalismo integralista).
Bisogna essere bravi a scrivere così, e poco mi importa che il merito sia degli sceneggiatori televisivi o della scrittrice dei romanzi (che non ho letto): bravi tutti.
E per finire, al di là delle pippe filosofiche da tesi di laurea, per noi appassionati di telefilm l’Authority ha ancora altro da dare: perché quando Eric e Bill si trovano in ginocchio di fronte ai vampiri più influenti del mondo, scopriamo che questi tizi vengono tutti da altre serie! Il capo è Christopher Meloni, volto storico di Law & Order SVU; poi c’è Peter Mensah, Enomao in Spartacus; Christopher Heyerdahl, il mitico Svedese di Hell on Wheels; non parliamo di Carolyn Hennesy, volto ben noto ai fan di Cougar Town.
E infine, sorvolando sulla presenza di un vampiro bambino (figura sempre affascinante sin dai tempi di Intervista col Vampiro), troviamo la nostra Valentina Cervi che, udite udite, parla con un accento dignitoso! Siamo abituati a vedere attrici italiane che vanno all’estero e sembrano Alberto Sordi o Totò – non parlo di Elisabetta Canalis, ho detto “attrici” – mentre qui abbiamo una che almeno si impegna per essere credibile, e miracolosamente ci riesce. Poi a me non è mai piaciuta granché, ma almeno non ci dobbiamo vergognare, è già qualcosa.
La puntata si chiude, finalmente, sull’agognato Russell, uno dei personaggi migliori mai presentati nella serie, che sembra davvero pronto a tornare in tutta la sua meravigliosa follia. E’ temuto praticamente da tutti i personaggi, e per questo adorato da tutti gli spettatori.
Insomma, questa annata di True Blood si presenta sotto ottimi auspici, dopo una stagione (la quarta) che non era stata in grado di trovare un cattivo all’altezza dei capitoli precedenti, e che era perciò sembrata un po’ meno ficcante di altre.
Ci risentiamo alla fine, e stasera prima di dormire tutti a recitare le preghierine per il Dio Vampiro, mi raccomando.
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