E ciao ciao anche a Desperate Housewives di Diego Castelli
Dopo House, le housewives….
OCCHIO, CI SONO SPOILER SUL FINALE!
Solo una settimana dopo l’addio al dottor House (che era andato in onda dopo, a dir la verità), oggi ci tocca salutare le casalinghe disperate. Bel maggio di merda, se volete la mia opinione…
Benché il finale di Desperate sia stato qualitativamente inferiore rispetto al coetaneo medical, ci dà comunque la possibilità di riflettere su un grande potere intrinseco alla serialità: la capacità di creare emozione per il solo fatto di rimanere presente nella nostra vita per un periodo più lungo di una sera, di una settimana o di un mese.
Prima di tutto ricordiamo con cosa abbiamo a che fare, perché il progressivo allontanamento della serie dai riflettori più luminosi non deve farci dimenticare ciò che Desperate ha rappresentato nel mondo telefilmico.
Lo show di Marc Cherry è nato lo stesso anno del già citato House e di Lost. Quest’ultimo è stato un prodotto di rottura vera, di cambiamento culturale, che ha quindi interessato prima di tutto un pubblico più giovane, più attento alle esigenze della contemporaneità. House ha lavorato mescolando in modo originale il medical e l’investigativo, dandosi una struttura più solida e ripetitiva (senza alcuna accezione negativa del termine), ma ancora una volta cercando di stare (o forse non potendo fare a meno di stare) in una fascia di pubblico consapevole e preparata.
Con Desperate il discorso è diverso. Le casalinghe disperate sono protagoniste di uno show realmente popolare, capace di attirare un pubblico vasto non solo numericamente, ma anche sociodemograficamente. Eppure, nonostante questo, non siamo di fronte a una semplice trashata, non è Twilight, né Maria De Filippi.
No, Desperate Housewives s’impose anche all’attenzione della critica più intransigente, perché aveva raggiunto un livello di perfezione formale che le altre serie dedicate alla stessa audience neanche si sognavano.
È tutto qui il valore della serie. Una cura maniacale dei dettagli, dei colori, delle scenografie, del casting, capace di settare un nuovo standard visivo e narrativo – con la sua commistione precisissima di drama, comedy e mistery – che risultasse evidentemente “nuovo”, pur lavorando su temi e caratteri decisamente “classici”. Perché lo svelamento dei sordidi segreti della provincia, oltre gli steccati bianchi e i prati perfettamente verdi, non era di per sè una novità, ma nessuno aveva mai messo segreti “così” sordidi dietro prati “così” verdi.
Col passare degli anni, la forza della serie si è affievolita. O meglio, il rimanere sempre uguale a sè stessa, nella riproposizione del solito mistero di stagione, e nella volontà di tenere caparbiamente fede agli assunti di base – Bree rimane fino all’ultimo precisina e perfettina, pur avendo scopato tutto lo scopabile e bevuto tutto il bevibile – ha tolto allo show parte del fascino che esercitava all’inizio.
E potremmo anche muovere qualche seria critica al finale: bene o male si limita a concludere la lunga questione della morte di Alejandro, sacrificando l’unico personaggio che ancora si poteva sacrificare (la McCluskey) e scegliendo la chiusura più banale del mondo, con le protagoniste che lasciano Wisteria Lane per iniziare una vita separata. Non manca nemmeno la carrellata di morti in abito bianco (Morti. In. Abito. Bianco.), questa sì una trashata abbastanza importante, peraltro sporcata dalla mancanza di Edie (Nicolette Sheridan è tuttora in causa con Marc Cherry per presunte molestie), che ha avuto più o meno l’effetto della mancanza della Cuddy in House: ha reso fastidiosamente palese il fatto che stavamo guardando una finzione.
Eppure, nonostante questi intoppi, l’emozione c’è stata. Siamo persino arrivati a sentire già la mancanza di quella scema di Susan, che per quasi una decade ha fatto solo scelte sbagliate, sempre guidate dal buonismo più zuccheroso, risultando uno dei personaggi più irritanti di sempre. E però in fondo vogliamo bene anche a lei.
E’ quello che dicevamo all’inizio: puoi anche incorrere in qualche passo falso, puoi aver perso la forza che avevi all’inizio, e ci possono essere stati momenti in cui volevo abbandonarti al tuo destino. Ma se alla fine sei riuscito a starmi attaccato a cozza per otto lunghi anni, quando te ne vai la metaforica lacrimuccia mi scende.
Ah, ultima annotazione sul finale, stavolta positiva: ottima l’idea di chiudere l’episodio con l’arrivo di una nuova casalinga a Wisteria Lane, anche lei coinvolta in chissà quale mistero che non scopriremo mai. Prima o poi dovranno fare un tv movie, uno speciale o che so io, dove finalmente si ammetta che Wisteria Lane è una pura manifestazione del demonio. Non c’è altra spiegazione.
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