Fringe – Il duello sul finale della quarta stagione di La Redazione di Serial Minds
Il finale di stagione di Fringe spacca Serial Minds
ATTENZIONE: SPOILER TOTALI SUL FINALE DELLA QUARTA STAGIONE
La quarta stagione di Fringe è finita, la quinta e ultima è stata annunciata e i fan hanno potuto tirare un sospiro di sollievo. Il season finale, però, non ha lasciato indifferenti e, come spesso accade, la redazione di Serial Minds si è spaccata.
I contendenti concordano su un paio di punti:
1. Questo era stato concepito come finale di serie, non di stagione. Se anche doveste trovare notizie certe che smentiscano questa tesi, noi ce ne fregheremo in virtù dei poteri conferitici da noi stessi. Il dialogo finale tra Walter e l’osservatore è palesemente un’aggiunta dell’ultimo minuto, un cliffhanger piazzato in fretta e furia dopo l’inaspettato rinnovo, con la serie pronta a finire sull’happy end tra Peter e Olivia.
2. L’episodio regge assai bene fino alla “morte” di Olivia.
E’ esattamente qui, nei minuti che passano dalla guarigione della protagonista al cliffhanger, che si concentra la sfida di oggi.
Marco Villa
Fino al minuto 36, il season finale di Fringe regge alla grande. Ovvio, bisogna contestualizzare “regge” nell’ambito Fringe, perché quei 36 minuti avrebbero mandato in vacca qualsiasi altra serie per la quantità di – diciamolo – cazzate che contengono. Però è Fringe, quindi va bene. Tutto un crescendo di plausibilissima implausibilità, che culmina con un ferro da maglia nel cervello della protagonista. Ripeto: un ferro da maglia del cervello della protagonista. Per salvarla, ovvio. Poi, però, iniziano le bestemmie. E non è un’espressione figurata, perché, dopo una serie di “no no no” a voce sempre più alta, è stata quella la mia reazione al fatidico “I’m pregnant” di Olivia. Ora, io non sono contrario all’happy ending, nemmeno a un happy ending generale e spinto fino a limiti quasi parossistici, in cui Broyles e Nina se ne vanno a braccetto verso il sol dell’avvenire, come due operai staliniani fiduciosi nel piano quinquennale. E mi va bene anche la telefonatissima chiusura di Walter e Astrid, con il primo che finalmente si ricorda il nome della seconda e fa uno sguardo sornione, interpretabile come “l’ho sempre saputo, non te l’aspettavi, eh? Adesso però ci uniamo carnalmente”. Quello che però non può andare giù è la gravidanza di Olivia. E non conta il fatto che nella puntata futuristica abbiamo conosciuto sua figlia: è un dettaglio trascurabile nella logica di questa puntata, mica siamo qui a contare le settimane che passano tra il concepimento e l’ingresso della pargola nella Fringe Division. Il problema di base è: un personaggio come Olivia, che è in grado di fermare proiettili, controlla a distanza qualsiasi cosa, è riuscita a scappare da un universo parallelo ed è stata sacrificata per salvare DUE universi (buon Gesù, tu ti sei fermato a uno: sconfitta secca e a casa) può trovare la massima soddisfazione e pace nel sapere di essere incinta? Assolutamente sì, se fossimo su Raiuno e al posto di John Noble ci fosse Lando Buzzanca. Assolutamente no, se fossimo dentro la serie che ha fatto del rilancio folle e assurdo il proprio marchio di fabbrica.
Nel momento più atteso (ricordiamoci che questo è stato concepito come finale di serie, non di stagione) ogni storyline viene normalizzata, anestetizzata: prego, smontate il set del laboratorio e allestite il Mulino Bianco, così salviamo anche la vacca. Olivia Dunham non è questo: non è l’eroina trascinata suo malgrado negli eventi, è lei che cavalca gli eventi. È Olivia Dunham, non la cazzo di Lucia Mondella. Olivia è sempre stata dipinta come un personaggio tutto dedito al lavoro, non ha alcun senso darle un finale in cui ciò che la caratterizza non viene nemmeno citato. Nessuno parla dell’Olivia agente, nemmeno Broyles. Nel giro di pochi minuti è stata trasformata in un personaggio anni ’50, di quelli che va bene l’emancipazione e l’intraprendenza, ma una famiglia è il vero sogno di ogni donna. E questo sarebbe Fringe? Ma per favore. Per fortuna è solo un finale di stagione: gli autori si sono giocato l’uber-happyending, tra tredici episodi non potremo assistere a una replica. Di nuovo: per fortuna.
Diego Castelli
Sbuff, io non la volevo fare sta sfida. C’era da parlare di un sacco di roba, di universi che collassano, di minchiatelle esageratissime (l’osservatore bloccato sulla runa sembra Naruto), di rivelazioni inaspettate (tipo che l’idea di giocare agli dèi è di Walter!!!!!!). E invece il malvagio Villa mi impone di parlare di uteri e feti, che non mi sarebbe manco venuto in mente. Ma visto che siamo in ballo, dirò senza mezzi termini che a me l’happy end sarebbe piaciuto. Evidentemente non ne avrei potuto elogiare l’originalità – perché originale non è – e non nego che la scena sia risultata un po’ troppo fredda. Quindi la cosa poteva essere meglio gestita, meglio girata, tutto quello che si vuole.
Ma a mio giudizio la sua legittimità è piena, altroché. In primis per questioni che riguardano la serialità in generale, più ancora che Fringe: molti spettatori, quando seguono per anni le vicende (e in particolare i problemi amorosi) di un gruppo di personaggi a cui si affezionano, sperano sempre in un finale felice e narrativamente completo, che cioè lasci i personaggi soddisfatti, pronti a una vita serena ma allo stesso tempo non troppo “importante” (non voglio sapere che i miei eroi vivranno avventure incredibili a cui io non potrò assistere). Ovviamente, un autore può ideare un finale molto più sorprendente, o amaro, o comico, o quello che volete voi (può darsi che tra qualche mese saremo qui a elogiare una conclusione drammaticissima). Ma la carta happy end non può essere bocciata in quanto tale, nemmeno in uno show “al limite” quale è Fringe.
Tanto più che, nel caso specifico, non mi sembra così contraddittorio: in più di una occasione Olivia e Peter hanno manifestato in maniera più o meno esplicita (soprattutto Peter) il desiderio di avere una vita relativamente “normale”. Il povero Bishop junior ha frignato per mesi perché voleva tornare nella sua timeline a metter su casa con la fidanzata. Questo non significa, caro il mio Villa, che da domani Olivia preparerà le lasagne mentre Peter leggerà il giornale in veranda. Né che Olivia consideri la gravidanza come l’apice del suo “essere donna”. Nessuno dice questa cosa, e nemmeno la fa intendere. Olivia non sostituisce il suo essere agente con l’essere madre e casalinga disperata. Più semplicemente, questa poveraccia ha avuto una vita di merda, l’hanno riempita di farmaci fantascientifici fin dalla scuola materna, ma adesso che ha salvato l’universo può concedersi un po’ di serenità, come tanti e tanti eroi prima di lei. Mica si sta licenziando, anzi, c’è da lavorare in una Divisione Fringe con i fondi potenziati, alla faccia della crisi. Ma almeno non sta per saltare in aria tutto. Insomma, non ci vedo tutta sta incoerenza totale, diciamo. E il fatto che la figlia fosse stata annunciata nell’episodio 19 è tutt’altro che un dettaglio trascurabile, perché annunciare la gravidanza partendo dal nulla più completo avrebbe reso la notizia molto meno pregnant-e.
Il vero “problema”, secondo me, sta altrove. Non è questione di felicità o riproduzione: quel finale, se davvero fosse stato quello definitivo, non avrebbe contemplato in nessun modo il futuro assai orrido descritto dal succitato episodio 19, ambientato nel 2036. Una mancanza che sarebbe diventata una delle classiche critiche a JJ Abrams: i temi che svluppi non sono neanche la metà di quelli che introduci.
Ma non è il caso di perderci il sonno: la quinta stagione ci sarà, e September ha detto che “stanno arrivando”. Per quanto mi riguarda, a posto così.