Skins 6 – Il primo episodio di Andrea Palla
Da Bristol al Marocco, il ritorno della terza generazione di Skins
ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER SULLA PUNTATA 6×01
Ormai lo sapete, Skins va a generazioni e il cambio radicale dei personaggi avviene ogni due stagioni. Ma a noi questo frega poco visto che dobbiamo parlare della stagione 6, che – non essendo la matematica un’opinione – è decisamente un numero pari e diviso per 2 fa 3: ovvero, siamo ancora alle prese con i ragazzacci della terza generazione.
L’avevamo già detto sul finire della stagione precedente: il folgorante format inglese creato da Jamie Brittain e Bryan Elsley è andato un po’ calando in originalità con l’andare del tempo, e per le nuove generazioni è stato difficile riproporre quella drammaticità e quell’innovazione che aveva caratterizzato i protagonisti degli esordi, quei protagonisti che molti ancora rimpiangono. Per questa ragione si parte un po’ scettici con il primo episodio della sesta stagione, non fosse altro perchè la quinta ha mostrato evidenti segni di noia e stanchezza, a causa anche dell’inadeguatezza della nuova gang, e dell’assenza di personaggi veramente forti, capaci di focalizzare su di sè l’energia narrativa necessaria a un prodotto di questo tipo. Dirò subito che trovo complicato prevedere se le nuove puntate sapranno quantomeno “salvare il salvabile”, perché basare un giudizio complessivo su questo singolo episodio è abbastanza complesso: in altri termini, faremo i conti alla fine, e per ora mi limiterò a fare alcune osservazioni su ciò che c’è di buono in questo nuovo inizio.
Il materiale è il solito: divertimento, droga, sesso, qualche limonata (intesa come: profondo bacio alla francese con intreccio di lingue) e tante parolacce pronunciate con accento di periferia. Questi elementi, sapientemente dosati nelle migliori puntate, hanno sempre avuto l’effetto di produrre situazioni disturbanti e al limite dell’inverosimile, il che è ovviamente il punto di forza di Skins.
In questo caso l’azione si sposta da Bristol al Marocco, mostrandoci la vacanza dei nostri personaggi (tutti quanti, nessuno escluso), impegnati al tempo stesso a risolvere alcuni conflitti interni e/o a creare nuove dinamiche sessuali (leggasi: a scopare con chi ancora non hanno scopato). I protagonisti partono con il freno a mano un po’ tirato, dando il meglio nelle scene comiche piuttosto che in quelle drammatiche. Ma questo loro basso profilo è tuttavia compensato dall’introduzione di nuovi bad boys, inglesi pure loro, che scombussoleranno le relazioni e l’evoluzione futura dei nostri. E siccome, manco a farlo apposta, i maggiori twist narrativi di Skins sono arrivati in conseguenza a tragici incidenti o morti improvvise, ecco che questo episodio non fa eccezione, tentando di introdurre con il coma di Grace e la fuga di Matt una serie di elementi forti che potranno servire nel prosieguo della serie.
Tolte queste cose che accadono sul finire di puntata, però, non succede molto altro durante i 48 minuti. Non è una puntata brutta, né tantomeno noiosa; molto semplicemente, non succede nulla di così potente da lasciarci a bocca aperta, né la storia è raccontata in maniera meravigliosamente drammatica, cosa che invece era accaduta per esempio con l’inizio della stagione 2 (ricordate Tony che doveva affrontare la sua nuova vita dopo l’incidente e i bellissimi dialoghi con Maxxie?).
C’è da dire che molte cose non sono state approfondite per la mancanza di tempo, e la speranza è che vengano riprese prossimamente, con le classiche puntate dedicate ai singoli. La sensazione, tuttavia, è che qualcosa nel meccanismo cominci a non funzionare più, e che ormai non basti costruire un gruppo di zoccolette e cannaioli per tenere alto il tono della serie. Per ora sembra mancare un fulcro narrativo, potremmo dire il “capitano della squadra” che impersoni un emblema, come per esempio fece Tony nella prima serie o Effy nella seconda. In questa terza generazione, purtroppo, non è sufficiente il fascino misterioso di Matt o l’ambigua timidezza di Franky per creare un simbolo, e se è vero che la tenera storia tra Rich e Grace o i siparietti comici tra lo sfigato Alo e la chicchissima Mini strappano lacrime e sorrisi, è anche doveroso osservare che il senso più profondo di Skins non può essere solo questo. Si può sperare che venga introdotto qualche personaggio nuovo, e che lo si faccia in fretta: per esempio il cattivissimo Luke, conosciuto in questo episodio, potrebbe verosimilmente tornare a far parlare di sè mettendo un po’ di pepe alla vicenda. La paura, però, è che questa operazione arriverà tardi, se non addirittura mai: il che trascinerebbe i personaggi verso una sorta di baratro, svuotandoli ulteriormente di qualsiasi interesse, e trasformando Skins 6 in un tragico rimpianto piuttosto che in una necessaria stagione di svolta.
Queste critiche, comunque, non rendono ancora Skins un prodotto inutile o detestabile. La serie si mantiene su livelli più che buoni, continuando a possedere quel tocco di originalità nelle riprese, nel montaggio, e nella scelta musicale che non si limita ad accompagnare le scene, ma piuttosto ne diventa parte integrante, sviscerando umori e sensazioni dei personaggi. Insomma, quella sottocultura generazionale raccontata e in qualche modo mutuata dalla serie stessa, continua a essere trasportata sullo schermo con carattere e dignità. Ma se un seguito ci sarà, dopo questa sesta stagione, occorrerà tornare alle origini: a quelle atmosfere, cioè, che avevano evidenziato il carattere innovativo di Skins, e che l’hanno resa prodotto di successo capace anche di varcare i confini americani, seppur con una trasposizione troppo snaturalizzata, subito agonizzante e cancellata dopo una sola stagione.
Gli stessi problemi che, ahimè, cominciano ad avvertirsi anche nell’originale inglese.