Il risveglio di Grey’s Anatomy di Diego Castelli
Che la settima stagione sia stata solo un malessere temporaneo?
Signori, c’è stata una ripresa. Cardiogramma quasi piatto, paziente in grave insufficienza respiratoria: eravamo quasi pronti a dichiarare l’ora del decesso. Ma alla fine, chissà come, gli abili chirurghi telefilmici hanno scoperto cosa rimuovere e dove suturare, evitando il peggio.
Un paio di mesi fa ho dovuto parlare male di Grey’s Anatomy. E l’ho fatto con un certo peso sullo stomaco, perché dover assistere al declino di una serie che hai apprezzato fa sempre male. Ma la puntata musical e il finale privo di interesse della settima stagione avevano lasciato un violento amaro in bocca, che andava denunciato.
Molti di voi avevano apprezzato l’analisi, ma più probabilmente erano solo contenti di vedermi insultare un telefilm che odiano da sempre. Ebbene, cari miei, mettetevi il cuore in pace perché stavolta di Grey’s Anatomy si parla bene!
Nonostante le delusioni estive (se ricordate, mi ero rimesso in pari ad agosto), ho voluto iniziare anche l’ottava stagione. E il motivo l’ho spiegato anche nei commenti di quell’articolo: quando una serie ti ha dato tanto, bisogna sostenerla nel momento del bisogno. Non oltre un certo limite di sfracellamento di balle, ovviamente…
Avrete già capito dove sto andando a parare: l’ottava stagione è risalita, e in alcuni casi pure parecchio. Siamo tornati a livelli pre-musical, e visto l’andazzo non era affatto scontato.
Non è nemmeno semplicissimo da spiegare a parole. Quando sei fan di un telefilm, lo senti a pelle: a volte le cose girano, altre volte si ammosciano. L’anno scorso ero rimasto indietro perché gli episodi, pur dignitosi, risultavano fiacchi, senza mordente. Quest’anno, la qualità della scrittura si è irrobustita, il ritmo è cresciuto, e c’è di nuovo quella sensazione di essere di fronte a un prodotto curato in ogni aspetto. Possiamo ovviamente discutere di ogni singola scelta narrativa (per esempio, della bambina adottata da Derek e Meredith continua a non fregarmene una emerita sega), ma è proprio il tono complessivo a sembrare più fresco a divertente.
Poi signori, intendiamoci: son sempre medici che parlano di sesso mentre aprono la gente, mica c’è niente di nuovo. Ma ogni storia, anche la più banale e conosciuta, può essere sceneggiata e messa in scena in mille modi diversi, e in questi primi due mesi lo si è fatto nella maniera giusta, come avevamo imparato ad apprezzare ormai otto anni fa.
Fin qui, comunque, niente di clamoroso. Poi arriva l’episodio nove. E’ qui che vedi il salto vero, ed è qui che ti viene voglia di scrivere un post. Perché l’episodio nove, finale di midseason (la serie va in pausa per qualche settimana), è tra le 77 e le 79 volte meglio della chiusura della stagione sette. Proprio un’altra categoria.
E’ un vero finale alla Grey’s Anatomy, dove una quantità di spunti e situazioni descritte e approfondite nel corso delle puntate precedenti trova un apice narrativo invariabilmente caricato a mille, in termini di tensione, emozione, dramma.
Occhio che da qui lo spoiler è senza ritegno.
Il marito della Altman sotto i ferri, la scelta di farlo operare da Cristina senza dirle chi è il paziente, il modo in cui la stessa Cristina reagisce alla tristezza dei colleghi quando lo stesso poverino passa a miglior vita: tutto viene gestito con un’attenzione maniacale ai tempi e ai dettagli, in modo che nessuna inquadratura e nessuna linea di dialogo venga sprecata. Questa è la scena principale, ma non dobbiamo dimenticare i problemi di Callie con la paziente da poco operata e subito tornata sotto i ferri per colpa (indirettamente) sua, e soprattutto il difficile trasporto della neonata nell’ambulanza in cui Meredith e Alex finiscono con l’essere protagonisti di un grave incidente.
Insomma, in questo episodio c’è tutto il meglio che Grey’s Anatomy ha sempre offerto ai suoi estimatori: scrittura brillante, messa in scena pressoché perfetta, una morte più o meno inaspettata (non alla O’Malley o alla Denny, ma comunque pensavamo che Henry sarebbe durato ancora un po’), situazioni mediche al limite, e soprattutto i personaggi spinti al limite dell’umana sopportazione, che sia la paura di sbagliare, l’amore strappato con violenza, o il terrore per la sorte di una persona cara.
Attenzione. Non sto dicendo che questo episodio – e questa prima metà di stagione – sia “meglio” di ciò che la serie abbia offerto finora. Ma se non “meglio”, è almeno “allo stesso livello di”. Dopo otto anni mi sembra abbastanza.
Se Grey’s Anatomy vi ha sempre fatto cagare continuate pure a schivarla, non c’è motivo per cui vi facciate venire dei dubbi. Ma se per caso l’avete mollata a maggio scorso, allora vi dico: rimettetevi in pari.
Se Dio vuole, Meredith che canta è stato solo un momento di criminale follia…