The Mentalist: basta il pensiero… di Diego Castelli
ATTENZIONE
SI PARLA DEGLI AVVENIMENTI DELLE PRIME DUE STAGIONI (PERO’ POCO…)
Con CSI, il mondo della detection televisiva venne sconvolto dalla Scienza. Che meraviglia le impronte, le provette, la balistica, i calchi dentali e il liquido seminale mescolato al luminol. Ma dopo anni di CSI Vegas, CSI Miami e CSI New York, può verificarsi quel fenomeno narrativo che la ricerca semiologica più recente ha definito “rompimento di coglioni”.
A giudizio di molti, il grande successo di The Mentalist – la serie di Bruno Heller debuttata nel 2008, pronta per la terza stagione americana dal 23 settembre e la seconda da stasera su Italia 1 – è simbolo del desiderio di un ritorno al classico, all’investigazione fatta di intuito e osservazione sul campo, più che di vetrini e microscopi.
Il concept, peraltro, è di una semplicità disarmante: un ex sensitivo, acutissimo osservatore e un po’ psicologo, usa le sue abilità per aiutare la legge nella caccia ai criminali. Niente di così nuovo.
La differenza, allora, la fanno personaggi e attori. Patrick Jane è una figura dal fascino incredibile. Pur senza arrivare a Lie to me, che è un “CSI del linguaggio non verbale”, Jane continua a ripetere che quello che fa non ha nulla di magico, ma vedendolo all’opera nel cogliere la verità sepolta sotto l’inganno, viene da pensare che abbia davvero qualche superpotere. Non ci interessa mai “chi è il colpevole”, bensì “come farà Patrick a smascherarlo e a prendersi gioco di lui” (il tenente Colombo osserva e approva…).
Più che una persona, Jane è una forma pura, quasi un concetto. Interpretato magistralmente dall’affabile ma enigmatico Simon Baker, è si un bell’uomo, ma non è un “maschio”. Non prova a essere sessualmente affascinante. E’ anzi pigro, egocentrico e un po’ vigliacco, nel suo gilerino precisino. Non è un caso che il suo nome completo sia l’unione di un nome maschile e uno femminile: narrativamente asessuato. E’ tutto istinto, fanciullesca curiosità, ironico genio. Dove CSI ci mostra ogni molecola del mondo, in The Mentalist il luogo della verità è nascosto, è la mente del protagonista, dimora di meccanismi insondabili e prodigiosi.
Ma se Patrick è il 90%, conta anche il restante 10%, cioè quelli in cui più ci identifichiamo, le persone normali che sgranano gli occhi di fronte alle sue trovate. Theresa Lisbon (Rubin Tunney) è un buon contraltare, donna affascinante ma assai più mascolina del suo biondo collega. Cho (Tim Kang) è taciturno e chiuso, ma ha una mimica eccezionale che lo fa sembrare il più sveglio di tutti. E poi ci sono Rigbsy (Owain Yeoman, che nome impronunciabile…), alto, coraggioso e un filino babbeo, e Van Pelt (Amanda Righetti), supertopolona magicamente graziosa come un fiorellino. A questi due è affidata la (bella) linea romantica del telefilm, visto che per ora Patrick è single-per-scelta (le regole della serialità sembrano avere dei piani a tal proposito, ma c’è tempo…). E a tagliargli il metaforico pisellino è stato Red John, malvagio serial killer sorridente, che gli ha strappato moglie e prole ma almeno gli ha lasciato una bella trama orizzontale, giusto per tirare fuori dei finali mozzafiato.
Una serie strana, nella sua semplicità. Talvolta perfino sonnacchiosa, lo riconosco. Però ipnotizza, e lascia il sorrisino compiaciuto sulla faccia. Sarà forse un trucco da mentalisti…
Solo 1 commento a The Mentalist: basta il pensiero…
Concordo quando dici strana nella sua semplicità, e a volte sonnacchiosa. Ma il bello di questa serie, a mio parere, sta proprio nel personaggio di Patrick, nel suo modo di agire per incastrare il colpevole, e nei colpi di scena che avvengono proprio quando stai per crollare dalla quasi noia. Io sono arrivata fino alla 4 stagione e ora aspetto la 5, e beh speriamo arrivi presto…