24 Marzo 2025

Severance 2 – Il bel finale di una stagione un po’ lunga di Diego Castelli

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ATTENZIONE! SPOILER SU TUTTA LA SECONDA STAGIONE!

Tanto tuonò che piovve, potremmo dire usando un proverbio che, a ben guardare, si applica a tante serie tv del passato e del presente, dove la forma episodica serve sì al divertimento momentaneo e alla fondazione di un’abitudine, ma anche alla costruzione progressiva di una tensione che, tipicamente, viene rilasciata in occasione dei finali di stagione o di serie.

Nonostante le sue molte originalità e bizzarrie, nemmeno Severance può fare a meno di questa impostazione, e ci ha regalato un finale pieno di molti pregi, suggestioni, risposte e nuove domande. Un finale che è riuscito a riscattare almeno in parte una stagione che, furbina, aveva menato un po’ troppo il can per l’aia.

Poi però basta proverbi e modi dire, ché la cosa sta diventando imbarazzate.

Che la seconda stagione di Severance non potesse suscitare lo stesso livello di sorpresa e stupore della prima, era da mettere in conto. Succede a tutte le serie di questo tipo, e non era nemmeno giusto chiederle troppo, in questo senso.

Detto questo, sarebbe anche difficile non ammettere che, dopo il finale “insurrezionale” della prima stagione, dove i nostri scoprivano diverse informazioni importanti sulla vita dei loro outies (non so in che lingua guardate Severance e non so come li chiamano in italiano, ma per me le versioni “fuori dall’ufficio” dei personaggi si chiamano “outies”, e quelle interne “innies”), la seconda ha fatto più o meno di tutto per giustificare il fatto che i protagonisti rimanessero ancora dentro la Lumon nonostante le cose che avevano già scoperto.

Per certi versi, fin dall’inizio la seconda stagione è un’altra storia negli stessi luoghi della prima, visto che Mark e compagnia non possono più guardare alle postazioni d’ufficio con la stessa ingenuità e leggerezza di tre anni fa.

Se guardiamo al complesso della stagione e al suo percorso informativo, la quantità di conoscenza che accumuliamo sulla condizione e sul destino dei personaggi è significativamente inferiore rispetto a quella della prima stagione, e per lo più condensata nel finale.

La mancanza di nuove informazioni, in una stagione pure più lunga della precedente di un episodio, è compensata da alcune storyline secondarie (a volte anche soddisfacenti) e da veri e propri riempitivi che invece non sempre riescono a tenere altissimo il livello.

Penso a tutto l’episodio sulle capre, che ha sì una rilevanza per il finale, ma che di per sé spende davvero tantissimo tempo in compagnia di animali da cortile ed ex guerriere di Game of Thrones (Gwendoline Christie), creando un’atmosfera stravagante, ma evidentemente poco densa.
Tutto sommato, si potrebbe dire la stessa cosa della gita in montagna dell’episodio quattro, o della puntata otto tutta dedicata alla Cobel, che aggiunge pochissimo alla storia complessiva.

Attenzione, non sto dicendo che non ci fosse modo di intrattenersi e divertirsi, né che fosse tutto tempo perso: nell’episodio della gita sulla neve, per esempio, ci spaventiamo per i simulacri digitali dei personaggi e ci fomentiamo per il sesso fra Mark e Helly, che poi si scoprirà essere Helena.

Come detto, poi, alcune storie secondarie sono state perfino toccanti: penso naturalmente al rapporto di Dylan (innie) con la moglie, raccontato come la riscoperta di un amore ormai appassito e funzionale all’approfondimento di un tema portante della serie, ovvero quello dell’identità e dei mattoni che la costruiscono. Ma penso anche alla parabola di Irving e Burt, che arrivano ad amarsi anche fuori dall’ufficio e ci regalano quel bel pezzo di televisione con la cena a casa di Burt, un palcoscenico dove avere tutta insieme gente del calibrio di Christopher Walkern, John Turturro e John Noble.
(Poi ecco, un po’ mi è spiaciuto che Irving non partecipasse in alcun modo al finale).

Però non mi sembra di fare chissà quale provocazione se dico che in più di un’occasione, durante questa stagione, ci è venuto l’istinto di dire “sì ok, ora però possiamo andare avanti?”.
A me è successo praticamente ogni volta in cui si parlava di reintegration senza mai portare a nulla (e quella faccenda rimane sospesa perfino dopo il finale).

E però poi al finale ci si arriva, ed è un finale ottimo, che funziona ad almeno tre livello diversi (narrativo, contenutistico, visivo), segno del fatto che c’erano sufficienti idee per portare avanti la storia di Severance, anche se non abbastanza per una seconda stagione che suonasse “piena” dall’inizio alla fine.

Ci arriviamo con un senso di smobilitazione imminente, con Irving fuggito in treno, con la Huang allontanata dopo la fine del suo tirocinio, con Dylan che ha firmato le sue dimissioni dopo che la moglie gli aveva detto che non sarebbe più andata a trovarlo.
L’impressione generale è che la Lumon, come ampiamente annunciato, stia solo attendendo il completamente di Cold Harbor da parte di Mark (qualunque cosa voglia dire) prima di passare a una qualche fase successiva.

Ed è qui che si inserisce una vera e propria “mission impossible”, con la Cobel che spiega a Mark il significato del suo lavoro fino a quel momento (!!!) e lo convince a infiltrarsi nuovamente alla Lumon nel tentativo di portare via Gemma, che nell’episodio sette (uno dei migliori) avevamo visto bloccata in una scissione perenne, con decine di personalità create ad hoc in singole stanze, in nome di misteriosi esperimenti dall’obiettivo sconosciuto.

Già solo il dialogo fra i due Mark, innie e outie, condotto attraverso registrazioni successive di una telecamera portatile, sulla soglia della baita in cui dentro c’è il Mark della Lumon, e fuori il Mark originale, vale il prezzo del biglietto.
Ottima l’interpretazione di Adam Scott, perfetta la sceneggiatura che, fin dal momento in cui il Mark outie sbaglia il nome di Helly (la chiama “Heleny”) crea un solco di sospetto e sfiducia fra le due anime dello stesso uomo, suggerendo che le cose non potranno andare esattamente come previsto (un solco che invece verrà ricomposto dai due Dylan, che amando la stessa donna possono convivere, al contrario dei due Mark che ne amano due diverse).

Cobel aveva spiegato a Mark che il suo lavoro in ufficio non era altro che un pezzo del lavoro informatico e cognitivo con cui venivano create le varie personalità di Gemma, la cui venticinquesima scissione (quella col nome “Cold Harbor”) avrebbe rappresentato la fine del lavoro.
Questo è un bello svelamento perché ci gratifica con una spiegazione reale del lavoro degli innies, riuscendo però a tenere aperte ancora numerose domande, due su tutte: ma se Mark si occupava delle scissioni di Gemma, gli altri che facevano? Anche loro sono collegati ad altre singole cavie? Ma soprattutto, a che serve tutta questa storia della scissione? Perché la Lumon considera così importante il completamente di Cold Harbor?

Su internet circola molto l’ipotesi commerciale, che cioè la Lumon stia ancora sperimentando la scissione per farla diventare un oggetto di consumo di massa, qualcosa che si possa vendere a un pubblico, con grande profitto e conseguenze imprevedibili sull’umanità.
E c’è poi la possibilità che l’azienda stia cercando di far resuscitare Kier, come sembra essere suggerito perfino da quella specie di assurdo animatronic con cui Milchick dialoga in occasione dei festeggiamenti per il completamente di Cold Harbor.
Ipotesi affascinanti, potenzialmente pure coesistenti, e coerenti con l’impostazione evidentemente anticapitalista e antisfruttamento di tutta la serie.
Ma non sono per forza le uniche, e su questo non resta che attendere.

Passata la fase di preparazione, l’infiltrazione effettiva ci regala altre gioie, anche molto “fisiche”.
Ci sono infatti due diverse situazioni di scontro concreto: da una parte Helly e Dylan che tentano di frenare Milchick nel mezzo della celebrazione totalmente surreale e grottesca per il completamento di Cold Harbor; dall’altra la sfida fra Mark e Drummond, con l’aiuto di Lorne, la pastora contraria al sacrificio rituale del povero capretto.

Sono due scene di grande impatto visivo e perfino di violenza esplicita, che culminano con una decisione presa letteralmente per scherzo: la morte di Drummond, ottenuta tramite uno spasmo muscolare che fa premere il grilletto della pistola a Mark nel momento in cui passa da innie a outie, è una battuta lanciata nella writer’s room di Severance e subito piaciuta al creatore Dan Erickson e al regista Ben Stiller, che l’hanno effettivamente inserita così nella puntata.

Si arriva così al vero e proprio finale, in cui Mark (innie) porta effettivamente a termine la missione di salvare Gemma, ma si trova poi a dover decidere cosa fare di sé: se esce dalla porta con Gemma, tornerà a essere Mark outie, con il concreto rischio che la vita dell’innie finisca lì (nonostante le promesse sulla reintegration, procedura che pone comunque alcune questioni non scontate sull’effettiva sopravvivenza di Mark Innie); se invece rimane dentro, sopravvive almeno per il momento e non deve rinunciare a Helly, anche se priva Gemma del marito appena ritrovato.

Naturalmente, in quello stesso istante compare proprio Helly, e la scelta diventa non-così-difficile: Mark innie sceglie di fregarsene del suo originale e rimane al di qua della porta, prendendo per mano Helly e cominciando a fuggire per un corridoio illuminato di bianco e rosso, in una scena che è sembrata richiamare certe estetiche da cinema anni Settanta, certi amori assoluti e non ancora venati di contemporeao cinismo.

E attenzione, se la scelta di Mark era a quel punto scontata, non significa che non si porti dietro un portato realmente tragico: l’amore fra Mark e Helly può esistere solo all’interno della Lumon, perché solo all’interno della Lumon possono esistere le due persone che si amano.
In pratica, per potersi amare Mark e Helly devono scegliere di restare all’interno dell’unico posto da cui vorrebbero fuggire, e che vorrebbero smantellare.
Sublime.

Severance è stata già rinnovata per una terza stagione, per la quale speriamo di non dover aspettare altri tre anni.
Se mi chiedete un giudizio secco, per me la prima è stata superiore, e non mi stupirei se rimanesse così da qui alla fine, per il semplice fatto che una serie come Severance, che trae così tanta forza dal suo essere straniante e alternativa, non potrà mai più essere “così” alternativa come la prima volta che si è presentata ai nostri occhi.

Detto questo, di possibilità per la prossima stagione ce ne sono parecchie, a partire dal fatto che, per quello che abbiamo visto, gli sceneggiatori si sono auto-costretti a fare qualche significativo passo avanti. Con tutto quello è accaduto in questo finale, non sarà più possibile avere Mark, Helly e gli altri seduti intorno a una scrivania, perché il lavoro è finito, la Lumon è in subbuglio, i protagonisti sono diventati soldati dietro le linee nemiche, bloccati in un ambiente ostile.

Sembra insomma che la terza stagione debba trovare direzioni ben più nuove rispetto alla seconda, che in questi dieci episodi ha mostrato qui e là la ritrosia a spingere su un acceleratore che rischiava di farla finire in testacoda, ma che allo stesso tempo ci ha rallentato la narrazione in modi talvolta frustranti.
L’accerelazione finale, però, è stata di quelle importanti, e ora siamo qui a bramare per un nuovo ciclo di episodi, molto più di quanto non sperassimo solo un paio di settimane fa.
Non fateci attendere troppo.



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