Dope Thief su Apple Tv+ – La solidità fatta serie di Diego Castelli
Un’idea che funziona, una storia che funziona, un protagonista che funziona. Non è che ci serva molto più di questo.
Presi come siamo a cercare nei prodotti culturali le grandi verità della vita, o i collegamenti definitivi fra tv, cinema e letteratura, o le chiavi politiche per interpretare i nostri tempi e scegliere le nostre battaglie, spesso ci dimentichiamo che la prima cosa che chiediamo (o che dovremmo chiedere) a un racconto, è la sua capacità di prenderci di peso e infilarci dentro con mondo che ci affascini, che sia coerente, che ci faccia vivere una qualche bella avventura.
Ecco, dopo i gattopardi, i super eroi e le ardite denunce sociali, mi ha fatto piacere immergermi in una storia che magari i suoi significati plus ce li avrà pure, ma è prima di tutto un racconto che ti prende e non ti molla più, dal primo minuto.
Oggi parliamo di Dope Thief.

Disponibile su Apple Tv+, tratta dal romanzo di Dennis Tafoya, e prima serie creata da Peter Craig (che, a proposito di storie grosse, è lo sceneggiatore di The Batman e Top Gun: Maverick), Dope Thief ha per protagonista Brian Tyree Henry (mitico Paper Boi di Atlanta) insieme a Wagner Moura (altrettanto mitico Pablo Escobar di Narcos), nei panni di due ladri molto particolari.
Invece di rapinare banche, negozi o vecchiette, Ray e Manny sono rapinatori di spacciatori: indossano un finto distintivo della DEA, l’agenzia statunitense per la lotta al narcotraffico, con tanto di giubbotto antriproiettile e altri dettagli per rendere più credibile la scena, e poi si gettano sui “pesci piccoli”, i cuochi di metanfetamine, i Walter White non ancora diventati Eisenberg, per fare un guadagno facile con qualche urlo e spavento, ma senza ammazzare nessuno.
Ovviamente, però, l’ambizione finisce per metterci lo zampino: segnati anche da necessità personali (come la volontà di Ray di aiutare finanziariamente la sua matrigna Theresa, interpretata da Kate Mulgrew), i due decidono di tirare un po’ la corda, finendo per pestare i piedi alla gente sbagliata. Dopo aver rapinato (con in più un sanguinoso casino) gente affiliata a criminali potenti, i nostri si trasformano da predatori a prede, oggetto di una caccia all’uomo da cui sarà molto difficile uscire vivi.

Già dal titolo parlavamo di solidità. Dope Thief esordisce con un pilot diretto da un maestro come Ridley Scott, mette immediatamente due protagonisti di comprovato talento in una situazione calda, pressante, e fondamentale per capire i tratti fondamentali della loro vita, e poi li conduce in un percorso abbastanza rapido che, mentre ci racconta delle loro motivazioni, problemi, sogni, li porta al patatrac che segnerà la loro esistenza da lì alla fine della serie.
L’impressione netta, guardando questi due primi episodi, è che non ci sia una virgola fuori posto, una parola sprecata, un’azione o inciampo che non sia perfettamente calibrato dalla sceneggiatura e/o dalla regia.
Soprattutto, Peter Craig riesce a trovare un ritmo eccellente e un perfetto equilibrio fra le varie componenti. Le scene di azione e suspense, alcune quasi venate di horror (come nel caso del cattivo misterioso che parla attraverso il walkie-talkie), trovano perfetto contrappeso in tutti quei dialoghi familiari e di amicizia che servono a umanizzare i protagonisti, la cui caratteristica principale è il contrasto fra la posa da gangster navigati e una vita personale tutto sommato semplice, con i problemi e le paure della gente comune.

E se l’impianto è solido, se non c’è nemmeno per un momento l’impressione che si stia perdendo tempo, poi diventa “facile” incastrare nella struttura tanti piccoli dettagli e bravure.
Brian Tyree Henry, che risulta anche fra i produttori, risulta perfetto per interpretare un criminale che sa mettere su la maschera del duro, ma che può trasformarsi facilmente in una preda leggermente sovrappeso le cui fughe precipitose diventano una scusa per piccoli momenti di quasi-comicità.
Kate Mulgrew, con la sua faccia dura da carcerata russa che usava bene anche in Orange is the New Black, è più che credibile come matrigna dalle regole ferree, ma anche bisognosa di una protezione frustrata che Ray prova a fornirle senza rivelarle niente della sua identità (e questo segreto è, per esempio, uno degli altri generatori di tensione oltre la trama principale).
Quando poi arriva una faccia da cinema come Ving Rhames, nei panni del padre carcerato di Ray, nuovi strati di storia e background vengono aggiunti, dandoci l’impressione di assistere alle vicende di persone vere, concrete, con un proprio spessore (vale soprattutto per Ray, che di fatto è il vero protagonista della vicenda, mentre Manny suona più come una spalla interpretata da un attore molto amato).

Bisogna dirsi che non c’è niente di davvero nuovo in Dope Thief. Anzi, i pregi che ho finora elencato dovrebbero essere, in un mondo ideale, la base di qualunque buona serie tv.
Siccome però non viviamo nel mondo ideale, e ci capita fin troppo spesso di imbatterci in prodotti che fanno bene una cosa e male due, ecco che Dope Thief riesce a spiccare non per chissà quale originalità del concept e dello sviluppo (per quanto i ladri pasticcioni siano un classico del cinema più che delle serie tv), ma semplicemente perché non ha una virgola fuori posto.
Almeno per ora, naturalmente.
Poi certo, abbiamo visto solo due episodi, e nei prossimi Dope Thief potrebbe perdersi per strada, oppure aggiungere addirittura nuovi strati di spessore, nell’articolazione del suo thriller criminoso o nelle pieghe del suo drama sociale e di provincia.
Naturalmente, se riuscite pure a infilarci qualche feticismo personale, meglio ancora: dopo Atlanta, io a Brian Tyree Henry farei fare qualunque cosa, gli farei fare l’Uomo Ragno e l’Ulisse di Nolan, la prossima Breaking Bad ma anche la prossima Mamma per Amica. Sono certo che la sua faccia da cane bastonato e un po’ scocciato, tipo Bud Spencer che non ne può più delle minchiate di Terence Hill, starebbe bene su tutto.
Perché seguire Dope Thief: è una serie solida, precisa, concepita e sviluppata con cura e professionalità, e pure con ottimi interpreti.
Perché mollare Dope Thief: se per voi gli eroi possono essere solo i poliziotti e mai i ladri (che interpretano poliziotti)
