25 Febbraio 2025

Zero Day su Netflix – Tra complottismo, suspense e confusione di Diego Castelli

Pilot

Alle volte, ci sono singoli dettagli di una serie tv che, in fase di promozione, si mangiano tutto il resto.
La trama, l’ambientazione, gli autori, la scrittura, ogni singolo parametro messo in ombra da un unico faro che ti viene sparato in faccia e su cui è impossibile non focalizzare l’attenzione.

Nel caso di Zero Day, miniserie di Netflix creata da Eric Newman, Noah Oppenheim e Michael Schmidt, quel faro ha un nome e un cognome piuttosto altisonanti: Robert De Niro.

Zero Day è la prima serie tv con protagonista il leggendario attore italo-americano, e per questo si è giustamente presa le prime pagine, anche se poi avrebbe anche altro da raccontare, e pure qualcosa da farsi perdonare.

Il concept è relativamente semplice: gli Stati Uniti subiscono un pesante cyberattacco che blocca il funzionamento di migliaia di dispositivi, dai semplici smartphone a sistemi di controllo aereo e ferroviario, causando alcune migliaia di morti. Una sorta di secondo 11 settembre tutto informatico, che viene ribattezzato “Zero Day”.
Nessun paese/organizzazione terroristica rivendica l’attacco, causando un’ulteriore ondata di sgomento e paura, mentre la gente piange i propri morti.

Nel tentativo di metterci una pezza, e non sapendo bene di chi fidarsi all’interno della sua stessa amministrazione, la presidente Evelyn Mitchell (Angela Bassett) istituisce una commissione di inchiesta con poteri speciali (altrimenti detti “arrestiamo e interroghiamo chi ci pare, e la Costituzione muta”) e la affida all’ex Presidente George Mullen (De Niro), che un paio di decenni fa si ritirò dopo il primo mandato a causa di un problema personale, ed è rimasto nel ricordo degli americani come persona integerrima e degna di fiducia.

Mullen non vorrebbe accettare, è da tempo fuori dalla politica e l’età comincia a farsi sentire, ma il senso del dovere è troppo forte e torna in campo, per affrontare una sfida particolarmente complicata, che imporrà decisioni difficili e una mente saldissima, pure quando potrebbe non esserlo.

Al netto di un cast realmente d’eccezione (oltre a De Niro e Bassett ci sono anche Matthew Modine, Lizzy Caplan, Connie Britton, Joan Allen, Dan Stevens), Zero Day ha il pregio di porsi degli obiettivi di riflessione e di intrattenimento che complessivamente raggiunge.

Più che sull’indagine in sé e per sé, la miniserie sembra focalizzarsi sulla fragilità delle istituzioni e della società statunitense, che ci viene raccontata come a un passo (o a un clic, a un virus, a una paranoia) di distanza dall’abisso del caos.
La democrazia a stelle e strisce, a cui piace raccontarsi nella sua purezza costantemente assediata dai cattivi, è essa stessa venata da un marciume per il quale basta una corruzione qui e un favore là, per mandare zampe all’aria l’intero carrozzone, spingere i cari e vecchi valori liberali verso l’estremismo, e lasciare la popolazione nello sgomento.

Un approccio complottista e piuttosto cinico che consente alla miniserie di trovare un ritmo sempre elevato, in cui l’indagine si mescola ai problemi e segreti personali dei protagonisti, che a loro volta esondano nella funzione pubblica, in un casino bestiale in cui trovare il bandolo delle varie matasse diventa una vera sfida per praticamente tutti i personaggi, ognuno nella sua dimensione.

Se si vuole leggere Zero Day come una metafora delle criticità del presente, ci si può anche aggrappare ad alcuni parallelismi probabilmente voluti, anche se concretamente scentrati, o perfino ucronici: il fatto che a capo dello Stato ci sia una donna nera (verosilmente la prima in quel ruolo) che richiama in servizio un ex Presidente ancora amato ma forse troppo vecchio, sa un po’ troppo di Harris-Biden per non vederci un’intenzione, anche se poi l’effettiva storia delle ultime elezioni è andata da un’altra parte.

(E fra parentesi possiamo già inserire uno dei problemi della serie, cioè l’impressione che la realtà vera, extraseriale, sia già adesso più stramba e surreale di quella raccontata sullo schermo, con un inevitabile depotenziamento della sua forza narrativa)

Zero Day, che pure riprende certi temi che avevamo già visto più di vent’anni fa in 24 (con le torture semi-legalizzate e la caccia ai traditori interni), non ci fornisce la certezza di un macho granitico come Jack Bauer, e riesce a farci vivere il caos di un’indagine in cui la verità scappa da tutte le parti, e in cui l’America si interroga su quali possano essere gli estremi rimedi ai mali estremi della sfiducia, della paura, della polarizzazione estrema, della sostanziale disgregazione di un tessuto culturale, economico, sociale, che ai tempi del post-11 settembre era parso sì ferito, ma anche molto coeso e desideroso di riscatto.

Il problema più grosso di Zero Day, quello che le impedisce di passare da una serie semplicemente godibile (che pure è) allo step successivo della grandezza, è che il caos che vuole raccontare finisce con il contagiare anche la scrittura.

Il gusto degli autori per il twist, per il ritmo, per la rapidità, finisce col rendere dozzinali o prevedibili alcune scelte e sorprese, così come a non rifinire, smussare, arrotondare lo sviluppo di certi personaggi, che restano delle macchiette facilmente leggibili, oppure delle figure schizofreniche che saltano troppo velocemente da un punto all’altro dello spettro.

Le motivazioni dei cattivi, quando le veniamo a sapere, sono troppo semplicistiche e fumettose per una serie che vorrebbe essere molto più concreta, senza contare che ci sono alcuni elementi, chiamiamoli “semi narrativi”, a cui viene semplicemente impedito di germogliare: non vorrei fare troppi spoiler, ma se dico “Proteus”, beh, siamo dalle parti del puro e semplice pretesto per aggiungere un po’ di ulteriore carne al fuoco, con il problema che la carne non c’è e rimane solo il fumo.

Perfino il tema dell’eroismo, che inevitabilmente fa capolino in una serie come questa, finisce con l’essere d’intralcio: è come se Zero Day a un certo punto si spaventasse delle proprie ardite speculazioni, preferendo ricordarci che l’eroismo americano esiste ancora e ancora può essere decisivo, anche se magari al momento ci appare appannato.
Molto più memorabile, invece, sarebbe stato provare a percorrere fino in fondo la strada dell’abisso, lasciandoci con più inquietudine e spaesamento di quanto in realtà non succeda.

Funestata da inciampi e timidezze di scrittura, e superata a destra da una realtà che è già di per sé una fiction dalle conseguenze imprevedibili, Zero Day è arrivata apposta per polarizzare.
Dopo averne fatto un video su Tiktok sulla pagina di Serial Minds, ho visto accumularsi i classi commenti “bellissima” vs “merda”. Per carità, è la base di qualunque discussione sui social, ma che di certo non stupisce parlando di una serie che mette sul piatto un cast della madonna e un intrattenimento molto accessibile, ma anche la probabile difficoltà a rimanere a lungo nelle coscienze.

Io credo che ci dimenticheremo abbastanza presto di Zero Day, e questo è un peccato. Poi però ci si può anche divertire per sei ore, specie se ci si vuole far cullare dalla bravura di tutti questi mostri sacri del piccolo e grande schermo. Va anche bene così, anche se un certo rimpianto rimane.

Perché seguire Zero Day: Ragiona su temi importanti del contemporaneo con un thriller divertente e pieno di nomi amatissimi.
Perché mollare Zero Day: La sua scrittura mostra diverse fragilità e ingenuità, più di quanto fosse lecito aspettarsi.



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