Watson – Quando l’amico di Sherlock Holmes divenne il dottor House di Diego Castelli
Ormai da un paio d’anni sono scaduti i diritti d’autore su Sherlock Holmes, una vicenda lunga un secolo e piuttosto intricata, ma che arriva a una conclusione abbastanza semplice: già oggi produrre storie ambientate nel mondo e con i personaggi inventati da Sir Arthur Conan Doyle è molto più semplice e meno dispendioso.
Fra i primi ad approfittarne nel mondo seriale è CBS, la rete generalista americana ben nota per i suoi procedural, che pochi giorni fa ha presentato al suo pubblico Watson (non ancora disponibile in Italia), sorta di spinoff del mondo sherlockiano il cui protagonista è il dottor Watson, ovvero l’amico “normale” dell’investigatore di Baker Street.
E se già vi sembra strano che Watson diventi protagonista, lui che per definizione è uno che racconta la storia degli altri più che la sua, aspettate che vi dica che si è trasformato nel dottor House.
Ora sì che potrebbe colarvi fuori il cervello dal naso.

Creata da Craig Sweeny, che ha già lavorato su Sherlock Holmes perché è stato fra gli sceneggiatori e produttori di Elementary, Watson prende il famoso dottore, gli fa assistere alla morte “canonica” di Holmes sulle cascate Reichenbach insieme a Moriarty (che sia morte vera… vedremo), e poi lo mette a capo di una clinica privata fondata e finanziata dallo stesso Holmes, che aveva risparmi nascosti di cui Watson non sapeva nulla.
In qualche modo, quindi, il medico Watson torna effettivamente a… fare il medico, ma la questione si complica, perché una serie ambientata nel mondo di Sherlock Holmes (per quanto uno Sherlock Holmes dei giorni nostri), non può prescidendere dalla detection.
E infatti questo Watson, interpretato da Morris Chestnut, diventa effettivamente un investigatore, ma in campo medico: in ogni puntata si troverà di fronte un caso clinico particolarmente difficile, per il quale dovrà cercare indizi, raccogliere prove, fare ipotesi e testarle, con l’aiuto di un piccolo team di giovani brillanti appositamente assunti allo scopo.
Se questa vi sembra la trama di House MD, beh, non è mica un caso.

Di fatto, il famosissimo diagnosta interpretato da Hugh Laurie non era altro che una rivisitazione medical del mito di Sherlock Holmes.
Un parallelo che non c’entrava solo con l’investigazione e il metodo deduttivo, ma anche con altri dettagli più piccoli ma significativi, come la tossicodipendenza di House, l’assoluta fiducia nella propria mente e nella razionalità (con aggiunta di un po’ di spregio della mente altrui), fino ad arrivare al rapporto con un amico in gamba ma molto più normale di lui, chiamato con le iniziali J.W. (James Wilson invece di John Watson).
Insomma, il riferimento era palese e dichiarato, e quello shift di genere unito all’irresistibile ironia e cinismo del personaggio creato da David Shore (forse dovremmo dire adattato, a questo punto), ha reso House un’icona della serialità di ogni tempo.

A fronte di ciò, l’idea di un Watson che diventa investigatore della medicina rende l’avvicinamento ad House quasi scontato, se non fosse per un piccolo problema (solo il primo): che Watson non è Holmes.
Con tutta la buona volontà, Watson non è mai stato il protagonista. E questo anche considerando che del personaggio abbiamo già visto diverse rivisitazioni negli ultimi anni (da Martin Freeman in Sherlock alla versione femminile di Lucy Liu in Elementary, passando per il Jude Law dei film con Robert Downy Jr.), che hanno dato a Watson più peso e intelligenza rispetto all’uomo normalissimo degli scritti di Conan Doyle. Ma protagonista no, non lo è mai stato, e la sua forza stava proprio nel fatto di essere una spalla.
Anche senza essere dei puristi di Sherlock Holmes, e io non lo sono, cambiare in modo così feroce la dinamica narrativa dell’originale non può che suonare strano e stiracchiato, tanto più che, permettetemi questo spoiler, alla fine della puntata Moriarty rispunta, lasciandoci intendere che ora Watson dovrà vedersela anche con lui oltre che con i tumori.
Qualcosa non torna, qualcosa stride, qualcosa sembra solo il parto di una riunione di gente incravattata che dice “ragazzi ci serve un’idea diversa”, mettendo poi il sigillo sulla prima che è venuta.

Naturalmente, se fossimo di fronte a un pilot clamoroso, creativo, sorprendente, potremmo passarci sopra, accettando la forzatura in nome di un disegno più grande e più bello.
Il problema, però, è che appunto Watson sembra un clone di House, copiato perfino nello sviluppo narrativo delle puntate, in cui una prima diagnosi arriva a metà episodio mascherata da risoluzione del caso, salvo poi sciogliersi di fronte a un peggioramento del paziente di turno.
E come se non bastasse, in questa sensazione non propriamente gradevole di deja vu storpiato, manca pure l’elemento essenziale di House che citavamo prima: il Watson di Morris Chestnut ha certamente molti più muscoli di Hugh Laurie, e li mostra con una scioltezza che, se fosse un personaggio femminile, si parlerebbe di inutile sessualizzazione, ma in compenso gli manca l’ironia, il gusto per la battuta, il puro e semplice carisma strafottente del buon Gregory.

Non è che quello di Watson sia un pilot “brutto”, anche se la sua collocazione generalista lo spinge verso vette piuttosto alte di didascalico (a momenti tirano fuori i cartelli per spiegare benissimo agli spettatori quello che stanno dicendo).
In termini di pura e semplice ideazione e risoluzione del caso, può pure offrire un intrattenimento godibile, anche a fronte del fatto che i medical così investigativi erano e restano pochissimi.
È che davvero non c’è niente di nuovo o sorprendente, come raramente c’è qualcosa di nuovo e sorprendente nei procedural di CBS (spesso di successo ma tutti uguali, almeno dal post CSI). Anzi no, qualcosa di nuovo c’è, ma è un nuovo che, come detto, va a storpiare una lunga tradizione senza che quel cambiamento ci suoni davvero necessario o di per sé interessante.
Insomma, un po’ “boh”, un po’ “perché?”.
Perché seguire Watson: se siete orfani dell’investigazione medica tipo dottor House, qui c’è.
Perché mollare Watson: mancano tutte le altre cose che hanno fatto grande House, ma mancano pure un tot di cose che hanno reso grande Sherlock Holmes (fra cui… ehm… Sherlock Holmes)
