È finita L’Amica Geniale di Diego Castelli
Con la quarta stagione, forse la più debole, si chiude una serie che in ogni caso ricorderemo a lungo
ATTENZIONE! SPOILER SU TUTTA LA SERIE!
E finalmente, con oggi, posso smettere di elogiare fiction di Rai Uno, pur lavorando a Mediaset.
Intendiamoci, in quindici anni di Serial Minds nessuno dell’azienda è mai venuto a dirmi niente, anzi, ho diversi dirigenti fra i fan, però capite che un conto è recensire ed eventualmente elogiare serie che vanno su piattaforme di streaming o a pagamento con cui Mediaset non ha una concorrenza così diretta, e un altro paio di maniche è parlare di prodotti che vanno sull’ammiraglia, in prime serate che sono direttamente contrapposte alle “nostre”.
Ebbene, questo problema smetterà di porsi, almeno per un po’, perché ieri sera sono andate in onda le ultime due puntate de L’Amica Geniale, che al netto della co-produzione con HBO è a tutti gli effetti una fiction di Rai Uno.
Mi prendo dunque un ultimo spazio per salutare quella che giudicherei senza dubbio come una delle migliori serie italiane degli ultimi anni, nonostante un’ultima stagione che, probabilmente, non è allo stesso livello delle precedenti.
Ma non importa, l’importante è che a nessuno venga in mente di licenziarmi, che io a Cologno Monzese ci sto tanto bene.
La quarta stagione de L’Amica Geniale è stata probabilmente la meno efficace delle quattro, così come il quarto libro era il peggiore della saga. Da questo punto di vista, coerenza estrema.
La sensazione istintiva è abbastanza netta, ma potrebbe essere più difficile spiegarne le ragioni.
Il Villa, nelle nostre chat, punta il dito sulla pura e semplice crescita dei personaggi: nel momento in cui non si parla più di ragazzi, si fa più forte l’impressione di trovarsi di fronte alla “normale” vita borghese e disagiata, con melodrammi annessi e soappate varie di derivazioni mucciniana.
Una spiegazione squisitamente audiovisiva (e quindi più legata alla serie tv che ai romanzi) che trova ulteriore conforto in alcune scelte di cast: se Alba Rohrwacher, pur molto brava, ci sembra avere il viso troppo puntuto e arcigno per il personaggio di Elena, Irene Maiorino riesce più facilmente a sembrarci “Lila da grande”, risultando comunque più ordinaria di quanto vorremmo.
E questo senza contare un Fabrizio Gifuni troppo anziano per interpretare Nino (si vede che non ha la stessa età delle protagoniste, teoricamente coetanee), per quanto gli abbia dato una buona patina di saccenza e viscidume, che il personaggio si porta dietro soprattutto dopo la crescita.
L’impressione, però, è che Margherita Mazzucco e Gaia Girace abbiano settato uno standard che la quarta stagione non è stata in grado di replicare.
C’è però anche qualcosa in più che si è perso, e che si era perso anche nei romanzi, a parziale alibi per la serie tv.
Con l’andare del tempo, il passare degli anni verso epoche più vicine alla nostra, e l’incancrenirsi dei problemi rigorosamente personali della protagonista (la relazione con Nino, ma non solo), a essersi diluito è il valore de L’Amica Geniale in quanto affresco di un’epoca.
Questo è uno dei dettagli più difficili da spiegare, perché le paranoie di Elena c’erano fin dall’inizio. Ma a cambiare, a farsi più rarefatto, è uno sfondo di personaggi ed epoche quasi leggendarie, che trasformavano la narrazione in una grande storia italiana, o di una porzione di Italia per lo meno, mentre l’ultima stagione suona molto di più come la storia di una singola persona.
Per dirla come potrebbe dirla Lila, con il passare degli anni e dei libri/stagioni, L’Amica Geniale si smargina, perde i suoi contorni definiti, si dimentica quasi del rione, che era un protagonista vero degli inizi.
È anche così che emerge con più forza l’impressione di trovarsi di fronte una normale fiction Rai, perché si perde il senso del grandioso, del millenario, di una storia che possa in qualche modo unirci tutti, a fronte di uno sviluppo che invece pian piano si stringe. Senza mai diventare completamente personalistico (per esempio, L’Amica Geniale continua a essere un’importante racconto della condizione femminile), ma indebolendosi rispetto alla magnificenza degli esordi.
C’entra anche il cambiamento del rapporto fra le protagoniste. Come sappiamo, il titolo stesso, “L’amica Geniale”, è volutamente ambiguo: per motivi diversi può indicare Elena guardata da Lila, ma anche Lila guardata da Elena.
Questa struttura a specchio crea e rafforza la tensione in quasi tutta la serie, che pure è seguita solo dagli occhi di Elena (che poi, come scopriamo alla fine, sta scrivendo il libro che stiamo “leggendo”): buona parte delle scelte di Lenù dipendono e sono influenzate da quelle di Lila, o dalla sua sola presenza, e dalla capacità dell’amica di essere sempre qualcosa in più degli altri.
Nella quarta stagione Lila è un po’ meno presente ma, soprattutto, subisce grandi dolori verso la fine, a causa della sparizione della piccola Tina.
Quella vicenda, legata all’intercambiabilità delle bambine delle protagoniste e all’esilio finale di Lila, ha naturalmente il senso di spingere Elena verso una definitiva maturazione: è quando Lila viene a mancare, prima metaforicamente e poi fisicamente, che Elena riesce a emanciparsi completamente e, così, a riscoprire anche il senso vero dell’amicizia.
Allo stesso tempo, però, il prezzo da pagare è proprio la perdita di quell’antica tensione, che finisce con lasciare solo un’amica geniale invece che due.
E ora guardate con che abilità paracula ho messo all’inizio tutti i problemi della stagione, per lasciare un finale ottimista che ne trovi i pregi, allargati poi al resto della serie.
L’Amica Geniale, nel suo complesso, è e rimarrà un pezzo di storia della televisione italiana, memorabile nel senso effettivo del termine, che verrà ricordato, perché fin dalle prime scene della prima stagione era più che evidente il respiro internazionale e letterario della sua produzione, a fronte dell’apparente localismo del suo racconto.
Apparente perché L’Amica Geniale è stata sì l’affresco di un periodo storico e di una specifica porzione d’Italia, ma è ovvio che il suo portato metaforico e simbolico va ben oltre ogni specifico riferimento geografico e cronologico.
Il rione de L’Amica Geniale non è solo un generico quartiere di Napoli, è un luogo dell’anima, una casa a cui tornare e insieme una gabbia da cui scappare. Nella sua infanzia e nella sua amicizia con Lila, Elena vive una vita di ambizioni e sensi di colpa, amori puri e invidie meschine, grandi afflati filosofici e dolorose zoppie degli arti e del cuore.
Il motivo per cui Elena suona abbastanza odiosa a un sacco di gente (me compreso), è perché la reiterazione ossessiva delle sue paranoie, gelosie, bisogni di approvazione mascherati da desideri artistici, ci tocca da vicino in quanto esseri umani. Chi più chi meno, chiunque di noi ha provato quel genere di sentimenti, ha sperimentato quei freni e ostacoli. Guardare la difficoltà di Elena a scansarli ci ricorda quanto anche noi siamo sempre a rischio, sempre sull’orlo del precipizio, e il viscerale desiderio di scuoterla, spronarla, incalzarla, è quello che vorremmo rivolgere a noi stessi ogni volta che ci impantaniamo nella paura, nell’abitudine, nel continuo paragone di noi stessi con gli altri.
Una riflessione che vale per tutti, ma soprattutto per donne, che ne L’Amica Geniale trovano il racconto di uno spasmodico tentativo di riscatto e felicità, perennemente ostacolato da una società lenta, retrograda, arrancante, e da tutti i Nino del mondo, figure di fascino che sembrano tendere una mano in aiuto, ma che si guardano bene dal “tirare su”, al massimo trascinano.
In questo senso, l’ultima stagione, che pure talvolta ha girato in tondo e non ha saputo recuperare e gestire al meglio certe storie del passato, ha però trovato alcuni momenti di grande forza o esplicito lirismo.
Penso al monologo di Lila durante il terremoto, forse un po’ troppo teatrale, ma comunque capace di farsi spartiacque della stagione. Oppure al tradimento di Nino con la bambinaia, un evento drammatico, viscido e degradante che ricordavo molto bene dal libro, e che la serie ha rappresentato ottimamente, in tutta la sua forza carnalmente squallida.
Ma c’è un altro momento, forse ovvio, che però mi ha colpito molto, ed è proprio il finale dell’ultimo episodio.
Nelle ultime due puntate si corre molto, forse anche troppo, forse bruciandosi delle possibilità e sbandando qui e là. Penso in particolar modo al continuo cambio di attori e attrici per rappresentare la crescita dei ragazzi, una girandola di facce nuove che, per chi finora ha visto tre cambi di cast in quattro stagioni, fa venire un filo le vertigini.
Verso la fine, però, con la morte dei Solara, la sparizione di Lila, e il momento per Elena di fare un bilancio della vita, L’Amica Geniale in quanto serie tv riesce usare tutta la forza dell’audiovisivo in un modo che alla parola scritta è almeno in parte precluso.
Quando arriviamo alla fine, chiudendo gli ultimi fili e accorgendoci a volte di quanto fossero fragili e dimenticabili nel grande flusso della Storia – i grandi cattivi, i Solara, muoiono dall’oggi al domani, senza grandi discorsi; la latitanza di Pasquale finisce in galera senza che a nessuno a parte Elena freghi qualcosa; il tradimento fra sorelle di Dede e Elsa finisce in niente perché la più giovane, ovviamente, non starà più Gennaro dopo soli due anni – L’Amica Geniale riesce a farci vivere un ultimo giro di giostra.
Queste facce che crescono, i telegiornali che scorrono, le amiche che spariscono e le bambole che ritornano (con tanto di visione onirica della Lila bambina, una scena immagino girata quattro anni fa), in poche scene sembrano fare un riassunto di tutto quello che abbiamo visto, un percorso vissuto da Elena ma anche da noi, proprio con la forza della serialità (sia letteraria che televisiva in questo caso), che àncora le narrazioni all’effettivo scorrere del nostro tempo di vita, che non diventa più solo la simulazione contenuto in un paio d’ore di film, ma la vera esperienza di graduali passaggi di stato, riflessioni, emozioni.
Vale per tutte le serialità, naturalmente, ma in particolar modo per un prodotto che non ci ha solo raccontato la storia di pochi personaggi, ma di un paese, di un sentire, di una società, di un’umanità insieme particolare e universale.
Quali siano gli insegnamenti da trarre da L’Amica Geniale, ognuno lo sceglierà per sé, in base a chi è, dove sta, cosa ha vissuto e come.
Ma la forza delle grandi narrazioni è, prima di tutto, quella di darci l’impressione di avere effettivamente qualcosa da insegnare, costringendoci a scavare dentro di loro e dentro di noi per vedere cosa esce fuori, sapendo che potrebbe essere tanto importante quanto spaventoso.
Da questo punto di vista, non credo ci siano dubbi sul fatto che L’Amica Geniale è stata, a tutti gli effetti, una grande narrazione.