Star Wars: Skeleton Crew – Una fresca nostalgia di Diego Castelli
PICCOLI SPOILER SUI PRIMI DUE EPISODI DI STAR WARS: SKELETON CREW
La si attendava con una certa ansia, e per motivi paradossali.
Non perché sembrasse particolarmente originale, ma anzi perché pareva proprio già vista. Un già visto, però, appartenente ad altri mondi e altre epoche, che in questa particolare congiuntura storica finivano col sembrare, paradossalmente appunto, una potenziale ventata di freschezza.
Parliamo di Star Wars: Skeleton Crew, nuova serie dell’universo di Guerre Stellari, che fin dai primi trailer strizzava l’occhio a narrazioni che non c’entravano granché con la saga di George Lucas, anche se il periodo era quasi lo stesso.
Alla fine è andata bene, pur con qualche avvertenza da tenere a mente.
La trama di Skeleton Crew è relativamente semplice. Ambientata negli anni dopo la fine dell’Impero (quindi più o meno come The Mandalorian), la serie creata da Jon Watts e Christopher Ford (il primo è il regista degli Spider Man con Tom Holland) non c’entra niente con la famiglia Skywalker e tutto quel mondo lì.
Protagonista è un ragazzino, Wim (Ravi Cabot-Conyers), che vive sul tranquillo pianeta di At Attin, e sogna una vita più avventurosa rispetto a quella che trascorre fra scuola, esami, routine noiose e un padre affettuoso ma sempre preso dal lavoro.
Insieme al suo migliore amico Neel, che ha la forma di un simpatico e prudente elefantino bipede, e poi con la compagnia di due ragazze tutto pepe, Fern (Ryan Kiera Armstrong) e KB (Kyriana Kratter), Wim trova per caso una vecchia astronave nascosta sotto terra, e a seguito di goffaggini e curiosità poco sagge riesce a farla partire, trovandosi poi sperduto nella galassia.
Skeleton Crew non è altro che la storia del tentativo dei ragazzi di tornare verso una casa che nessuno sembra conoscere, con l’aiuto di un adulto d’eccezione, ovvero Jude Law, nei panni di un tizio misterioso che sa usare la Forza, ma non sembra proprio il jedi che Wim vorrebbe che fosse.
Come si potrebbe intuire già da questa premessa narrativa, siamo lontani dalle epiche lotte militari, politiche e pure mistico-magiche che più o meno da sempre caratterizzano l’universo di Star Wars nelle sue varie declinazioni.
Declinazioni che, di fatto, hanno ormai trasformato l’universo narrativo di Lucas in un genere a sé stante, in cui possono poi inserirsi altri sottogeneri (il fantasy-fantascienza degli originali, il western di The Mandalorian, il drammatico-spionistico di Andor e via dicendo).
Con Skeleton Crew, Guerre Stellari accoglie un altro (sotto)genere ancora, ovvero l’avventura commediosa per ragazzi, che tanto successo ha avuto negli anni Ottanta, segnando la fortuna di autori come Steven Spielberg.
Non è solo una questione di generico approccio o di semplice soggetto, bensì una precisa scelta di stile che riverbera in tutto ciò che sullo schermo si vede. Al netto della presenza di alieni e droidi, l’inizio di Skeleton Crew ricorda proprio quei film degli anni Ottanta, con i ragazzini che dalla classica provincia americana fatta di casette tutte uguali, giardinetti e scuolabus, colgono l’occasione per un’avventura che li porta in mondi fantastici e mai esplorati prima (come ne La Storia Infinita, I Goonies, Navigator e altri che possono venire in mente).
Il citazionismo è spinto, evidente, entusiasta, e crea proprio “quell’atmosfera lì”, in cui il gusto per l’esplorazione e il meraviglioso si unisce alla comparsa di piccoli e grandi pericoli, jump scare, pupazzi inquietanti, che possono causare un po’ di spavento, ma di quegli spaventi piacevoli, da godersi con in mano la cioccolata.
Il tutto, naturalmente, rimanendo Star Wars, e presupponendo quindi tutto quell’armamentario di specie aliene, robot umanoidi dalla personalità spiccata, tecnologie dal sapore (per noi) retrofuturista, e rimandi verbali al mondo dei jedi, dell’Impero e della Repubblica, che rimangono rigorosamente sullo sfondo, ma servono comunque a farci sentire a casa.
È un’operazione che complessivamente funziona, perché fatta con cuore e intelligenza. Jon Watts, che dirige anche il primo episodio e setta il tono della narrazione, riesce a tenere tutto insieme, creando mistero e aspettativa, costruendo bene la comedy fanciullesca dei ragazzini a cui capitano le peggio cose perché sono goffi e impazienti, delineando bene i vari caratteri e riuscendo nella difficile impresa di farci immedesimare in un gruppetto di giovanissimi che vanno alla scoperta di un universo che noi già conosciamo, ma che ci sembra comunque degno di navigazione.
Anche dal punto di vista visivo si riesce a trovare la giusta misura. Skeleton Crew è evidentemente una serie per cui sono stati spesi bei soldi, e nella quale si può spingere sull’acceleratore di una CGI molto ricca. Allo stesso tempo, c’è la consapevolezza di certi limiti da non superare: per esempio, l’elefantino amico di Wim è effettivamente una persona con un costume, ma la computer grafica arriva a dare maggiore variabilità alle espressioni del suo viso, così da creare un personaggio che sembri davvero presente, ma non per questo troppo piatto.
Insomma, le cose girano bene, divertono, intrattengono, e riescono a scrollarsi di dosso una certa pesantezza vista nelle ultime serie a marchio Guerre Stellari. Pesantezza non tanto in termini narrativi e di concetto (anche se a volte sì), bensì in termini di aspettative, puntigliosità da nerd incazzati, difficoltà di incastro sempre più forzato in una saga che ormai fatica a contenere tutto.
Con Skeleton Crew ce ne freghiamo, andiamo da un’altra parte a seguire un’altra storia, e via così.
(Anche se non mi sento di escludere che a un certo punto debbano per forza mettere un qualche riferimento specifico a Vader, Luke o chi per loro, ma stiamo a vedere).
Al momento, l’unica perplessità che rimane, ma è una perplessità più intellettuale che emotiva, riguarda il fatto che Skeleton Crew è pure una bella paraculata.
Se è vero che l’unione fra anni Ottanta spielberghiani e Star Wars è un’operazione che suona fresca, è altrettanto vero che quell’immaginario è già stato oggetto di molta rievocazione negli ultimi anni. Basta pensare a Stranger Things, di cui Skeleton Crew, almeno nelle scene iniziali, sembra un clone con l’aggiunta di alieni e droidi.
Il tema, quindi, è quello di un’operazione che funziona a molti livelli, ma che in qualche modo costringe Star Wars a seguire mode e trend già settati da altri, e neppure da poco, come se la saga di George Lucas, dopo aver mostrato un certo affaticamento negli ultimi anni, provi a giocare sul semplice scopiazzando qualcun altro.
Facendolo bene, sia chiaro, ma garantendosi un’originalità che vale solo se rimaniamo dentro Star Wars. Se mettiamo Skeleton Crew in relazione a tutto il resto delle serie tv, la novità inevitabilmente si diluisce.
Si trattava di una precisazione doverosa per incastonare questi primi due episodi in un contesto seriale più ampio e avere una visione d’insieme, ma in questo momento non deve nemmeno diventare un ostacolo al divertimento.
La verità è che Skeleton Crew, che segue la deludente e già cancellata The Acolyte, ha esordito in maniera brillante, giocosa, divertente, come non vedevamo da tempo. E tutto questo senza ancora giocarsi l’asso di Jude Law, che compare solo sul finale del secondo episodio.
Come dire, se ci siamo già divertiti così con questi quattro ragazzetti sconosciuti e dispersi fra pirati e porti spaziali, droidi con un occhio solo e bottoni da non premere ma cjhefigurati quando potremmo aggiungerti quell’adorabile faccia da schiaffi, uno che se Star Wars nascesse oggi potrebbe fare sia il buono simpaticone alla Han Solo, sia il Sith fascinoso e mistificatore.
Staremo a vedere, quasi certamente ci risentiamo a fine stagione. Intanto io faccio i pop corn.
Perché seguire Star Wars Skeleton Crew: unisce due generi e due mondi in un modo che suona fresco, divertente, appassionante.
Perché mollare Star Wars Skeleton Crew: A chi cerca novità nude e crude, o al contrario un rigido rispetto della tradizione, Skeleton Crew potrebbe sembrare solo una Stranger Things coi droidi.