19 Novembre 2024

Dune: Prophecy – Impegno in cambio di bellezza di Diego Castelli

L’atteso prequel di Dune si porta dietro tutta la forza produttiva e iconica di HBO, per un drama intenso ma anche impegnativo

Pilot

Potrebbe essere un tema per la prossima puntata del podcast Salta Intro, ma lo dico anche qui. In questi giorni (siamo al 19 novembre 2024, per chi capitasse qui fra due anni), noto con più forza del solito una grande variabilità nell’offerta seriale, in termini di approccio alla narrazione, stili di messa in scena, ma soprattutto di attenzione richiesta allo spettatore.

Per esempio, nella stessa settimana mi trovo a guardare la seconda parte della sesta stagione di Cobra Kai (livello di impegno mentale 10%), le prime puntate di Landman, nuova serie di Taylor Sheridan (livello di impegno 50-60%), The Day of The Jackal (livello 40%), ed è appena partita la seconda stagione di Silo, con la quale il livello di impegno richiesto potrebbe salire un po’.

In questo contesto, appena rimasto orfano di altre due serie di grande qualità come Disclaimer e The Penguin, ecco che HBO (e Sky + NOW in Italia) calano l’asso di un prodotto che, a giudicare dal pilot, ci chiederà un livello di impegno assai superiore, ma che in cambio promette di portarci dentro un mondo ricco, affascinante e dalla forza tanto nascosta quanto dirompente.
Parliamo di Dune: Prophecy.

Naturalmente, in un caso come questo è già il contesto a complicare un po’ le cose.
Dune: Prophecy è il prequel dei due film di Dune di Denis Villeneuve, a loro volta tratti dal capolavoro fantascientifico di Frank Herbert, datato 1965.
Dune: Prophecy, dal canto suo, è ispirato invece al lavoro del figlio di Herbert, Brian, e in particolare a un romanzo che scrisse nel 2012 con Kaavin J. Anderson, ovvero Sisterhood of Dune (non a caso, la serie inizialmente doveva chiamarsi proprio “Dune: The Sisterhood”).

Siamo insomma all’interno di una fantascienza che ha già un suo importante puntello cinematografico, ma soprattutto un ricco passato letterario, con le solite questioni: quanto è importante aver letto i libri, o almeno visto i film? Che livello di nerdismo sarà richiesto dalle conversazioni online? Quanto rischio c’è che io mi perda delle cose se non conosco il pregresso?

Come sempre, ognuno di noi ha la sua vita, chi scrive le serie tv lo sa, e quindi il tentativo è sempre quello di consentire l’accesso a più pubblico possibile, pur sapendo che ci saranno da soddisfare molti palati diversi.
Per parte mia, ho visto e apprezzato i film di Villeneuve, ho letto qualche anno fa il primo e più famoso libro della saga, e poi mi sono fermato perché, pur essendo un caposaldo della fantascienza del Novecento, nonché la fonte di ispirazione per un enorme quantitativo di prodotti successivi (da Star Wars a Game of Thrones, passando per Tremors), trovo Dune lontano da alcuni miei gusti specifici, tipo che è molto filosofico e religioso, tutto ambientato nel deserto (che è una cosa che detesto) ecc.
Ma quelli sono gusti personalissimi e li teniamo lì.

Dune: Prophecy è ambientata più di 10 mila anni prima degli eventi visti al cinema, e racconta i primi anni delle Bene Gesserit, la famosa organizzazione (setta? congrega? confessione?) tutta al femminile, le cui esponenti – a metà fra suore, streghe e personalità diplomatiche – si offrono come consigliere per i potenti della galassia, salvo ordire oscure trame alle loro spalle, con l’idea di orientare direttamente la politica umana fra le stelle.

La protagonista Valya Harkonnen, interpretata da Emily Watson, è una madre superiora che, succeduta in giovane età alla Madre precedente, ha ben chiaro in mente questa idea, quella cioè di usare il proprio potere politico e non solo (le Bene Gesserit sono mentaliste dotate di abilità di fatto soprannaturali) per mettere la sua organizzazione in cima al potere galattico, così da meglio guidare la Storia verso la realizzazione delle loro profezie (e la nascita di Paul Atreides, dieci millenni dopo, sarà proprio il compimento della profezia più importante).

Un piano che si insinua in un contesto già fitto di intrighi politici e militari, di ingegneria genetica e viaggi spaziali, in cui la spezia di Arrakis è già ora il prodotto più importante dell’universo, e diverse casate nobiliari fanno a gara per spartirsi fette di potere, usando metodi piuttosto antichi come i matrimoni combinati.
Giova a questo riguardo ricordare che tutta questa storia avviene in un futuro lontano ma “nostro”, arrivato dopo una guerra combattuta contro le intelligenze artificiali (tema diventato particolarmente d’attualità) che ha lasciato l’umanità con la paura della tecnologia e un bisogno di riscoprire astmosfere e culture in qualche modo pre-digitali.

Basta anche solo il pilot che abbiamo visto finora per dirci che Dune: Prophecy è proprio una serie di HBO.
Grandi mezzi produttivi, una resa espressamente cinematografica anche nei momenti più impegnativi dal punto di vista visivo, e la sensazione di essere di fronte a un racconto “grosso”, pieno di personaggi, tensioni e violenza, giocato in larga parte sul dialogo e l’intrigo (in questo Dune: Prophecy sarà probabilmente meno action dei film di Villeneuve), ma capace di improvvise accelarate di sangue.

È un primo episodio in cui percepiamo chiaramente l’attenzione su una sceneggiatura che sia densa di significati e informazioni, ma anche abbastanza chiara nelle sue direttrici principali, e su una regia a volte troppo lirica, ma pure efficacissima quando deve comunicare singoli concetti per cui le parole nemmeno servono.
Penso per esempio a una delle prime scene, quando una congrega spaccata al proprio interno viene evidenziata con la differenza fra chi si inginocchia di fronte alle sagge parole della consorella più parca e conservativa, e chi invece rimane in piedi a sostegno di quella più interventista.

Per i fan di HBO, non è nemmeno difficile trovare certe dinamiche e strutture tipiche di Game of Thrones, prima fra tutte una costante guerra fredda fra le casate, che probabilmente George R.R. Martin ha copiato sia dalla Storia che da Herbert, ma che noi sul piccolo schermo abbiamo visto dopo.
La differenza principale, probabilmente, è la quasi totale mancanza di ironia in Dune, dove difficilmente vedremo comparire un Tyrion Lannister per tirarci su di morale.

Per quanto mi riguarda è un primo episodio promettente, molto ricco e molto consapevole. Il che non era nemmeno scontato considerando che la serie è nata dopo un po’ di problemi produttivi – tanto per dirne una: inizialmente doveva essere gestita anch’essa da Denis Villeneuve, poi uscito dal progetto anche a fronte di certe polemiche sorte per la presenza di troppi maschi nel team creativo di una serie al femminile – e considerando che resta la costola di una saga cinematografica che poteva “mangiarsela” senza lasciarle troppo fiato.

Questo fiato Dune: Prophecy sembra averlo, sembra capace di raccontare cose diverse pur rimanendo nello stesso universo, aiutata dal fatto di poter contare sulle stesse atmosfere dei film, ma in un tempo cronologico molto indipendente.
Semmai, l’unico “difetto”, fra virgolette perché in qualche modo accettato e digerito dalla produzione, resta quello che ci dicevamo fin dal titolo di questo articolo: Dune: Prophecy debutta con un pilot da 65 minuti, un episodio denso, complesso, stratificato, anche difficile.

Questo non è per forza un pregio o un difetto, ma è quanto meno un monito. Dune: Prophecy va affrontata con una certa concentrazione e impegno, per non perdersi nei meandri dei molti personaggi e situazioni. La sceneggiatura lavora bene per non farci perdere la bussola, ma in questo mondo alieno non ci si può andare in vacanza spensierata, bisogna legarsi bene lo zaino sulle spalle e stare attenti a tutto.
Aspettiamo poi le prossime settimane per vedere se Dune: Prophecy saprà, oltre che interessarci come sta già facendo, anche strapparci qualche memorabile colpo al cuore.
Cosa che, se avete visto le ultime scene con protagonista Travis Finnel, buon vecchio Ragnar di Vikings, già dimostra di saper fare.

Perché seguire Dune: Prophecy: sembra avere tutta la forza, la possanza, la cazzimma che chiediamo alle produzione di HBO.
Perché mollare Dune: Prophecy: vi chiederà attenzione e impegno, sennò vi perdete.



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