14 Novembre 2024

The Penguin – Un altro ottimo finale di Diego Castelli

Lo spin-off seriale di The Batman chiude confermando le buone sensazioni dell’esordio: una delle migliori miniserie dell’anno

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ATTENZIONE SPOILER!

Pur non credendo minimamente nel destino, mi piacciono molto le coincidenze della vita, e quindi sono piacevolmente stupito dal fatto di scrivere due articoli in una settimana, entrambi su miniserie appena concluse, entrambe di altissimo livello.
Fra l’altro, a ulteriore coincidenza, due miniserie capaci di produrre giudizi non per forza unanimi, ma anzi abbastanza divisi (in proporzioni che non so quantificare, ma ci siamo capiti).

Parliamo naturalmente di Disclaimer, di cui abbiamo parlato qualche giorno fa, e di The Penguin, lo spin-off seriale di The Batman su cui avevamo una certa paura – non per HBO e nemmeno per Colin Farrell, ma proprio come progetto in sé – e che invece ci ha fatto ampiamente ricredere.

Sì perché, un po’ come Disclaimer (di nuovo!), The Penguin è arrivata al suo finale dopo diversi episodi di alta qualità, scegliendo però di sparigliare ulteriormente le carte. Magari non con una sorpresa/ribaltamento forte come nella serie di Cuaròn, ma mettendo comunque puntini sulle “i” che a quel punto non pensavamo di trovare, e che possono anche spiazzare un po’.

Non ripetiamo le cose che avevamo già detto in occasione del pilot, limitandoci a ricordare che The Penguin (che in Italia trovate su Sky e NOW) ha mostrato fin da subito i muscoli di una messa in scena ricca e ispirata, di un cast pienamente all’altezza, e di un’impostazione narrativa così solida da farci dimenticare (o non facendoci pesare) il fatto che stavamo guardato una storia nell’universo di Batman, senza Batman.

Le puntate successive hanno ulteriormente inspessito il mondo della storia, prediligendo l’approfondimento dei personaggio a scapito, talvolta, delle classiche dinamiche da mob drama: vero che abbiamo visto sparatorie, ammazzamenti, complotti e tradimenti, ma molto spazio è stato lasciato per spiegare perché certi personaggi si comportassero in un certo modo.

Una scelta che potrebbe essere già divisiva, a seconda dei gusti, ma che ho trovato molto azzeccata (oltre che ben messa in scena) perché qui non stiamo raccontando un mondo totalmente nuovo. Siamo invece dentro un universo già conosciuto, che in passato (fra film, fumetti, serie tv) ha già calcato la mano sulle componenti più action, e che proprio in virtù di un maggiore realismo rispetto al passato esigeva una specifica attenzione al perché e per come questo Pinguino è proprio questo e non un altro.

In realtà, prima di arrivare a parlare di Oz, la serie ha raccontato nei particolari anche il passato di Victor e Sofia, mostrandoci con grande dettaglio il percorso che li ha portati da essere due personaggi tutto sommato pacifici e innocui, a due ingranaggi importanti della macchina criminale di Gotham City.

Naturalmente parliamo di traiettorie simili nella direzione ma assai diverse nello sviluppo.
Victor era l’orfano senza scopo e ambizioni, che trova in Oz, oltre che un’occasione di riscatto, una vera e propria amicizia e una possibilità di crescita fra allievo e maestro, che a larghi tratti ricorda più la dinamica fra un figlio e un padre, fino al momento in cui Vic sceglie di passare a un lato oscuro che, dal suo punto di vista, così oscuro non è.

Sofia, dal canto suo, viene sbattuta ad Arkham senza colpe, e qui, anche per spirito di sopravvivenza, matura una pazzia (termine poco politically correct, ma comunque accettabile nel mondo fumettisco di Batman) che mescolandosi al desiderio di vendetta la fa diventare una villain particolarmente pericolosa ed erratica, sempre capace di sorprese.

E poi però, dopo averlo affiancato al percorso degli altri, si arriva a parlare effettivamente di Oz, soprattutto nel settimo e ottavo episodio.
Qui vediamo i veri e larghi confini del suo attaccamento morboso alla madre, lui che era un ragazzino storpio e per questo sempre in difetto, stretto stretto alla gonnella materna in cui trovare rifugio, protezione, e soprattutto amore e approvazione incondizionati.

La morte dei fratelli, che Oz chiude in un condotto delle fogne dimenticandosi del loro destino e tornando felice e solitario fra le braccia della madre, è tanto più forte quanto più l’Oz adulto rifiuta completamente di prendere atto di quel gesto, anche di fronte alla madre che lo accusa esplicitamente di avero commesso un’atrocità.

Per tutta la stagione, il Pinguino è un uomo segnato nel fisico e nella posizione sociale, che combatte con ogni mezzo (e spesso senza alcuna dignità) per raggiungere un potere che possa riscattarlo e consentirgli una rivincita sui bulli e una vittoria per sé e per la madre.
E quel sogno è così forte, radicato, indispensabile per lui, da rimanere tale anche quando, nella straziante scena dopo il rapimento da parte di Sofia, Oz non può accettare la verità nemmeno dalla stessa donna che idolatra da sempre.

Si arriva così al finale, dove vengono fatte le scelte più forti e potenzialmente divisive.
Da una parte, la madre ormai ridotta a un quasi-vegetale viene confinata in un attico tanto bello quanto spoglio e anonimo, con il volto sconvolto e lacrimevole della donna scambiato per un’espressione di gioia dal figlio ormai completamente fuori di testa. Figlio che, subito dopo, vediamo impegnato in un ballo con la sua prostituta preferita, che ha fatto vestire come sua madre e che ha istruito perché lo tratti proprio come un figlio adorato.

Dall’altra parte, naturalmente, la scelta più coraggiosa di tutte, cioè l’uccisione di Victor.
In una serie che parla di un famoso “cattivo”, il rapporto con Victor era ciò che ci aveva permesso di empatizzare di più col Pinguino, trovando in lui almeno un po’ di buono, come è quasi scontato che sia con un protagonista, anche quando appartiene alla parte sbagliata.

L’assassinio di Victor, compiuto nella maniera più diretta e brutale (con le mani di Oz che lo soffocano), spazza via tutta la simpatia che avevamo costruito, restituendoci un vero psicopatico che, ancora in nome del suo egoismo e della necessità di preservare se stesso in ogni modo, è disposto a eliminare qualunque potenziale forma di debolezza dalla sua vita.
In pratica, a condannare Victor è proprio l’affetto che il Pinguino stava iniziando a provare per lui.

È una scelta tosta sia perché potrebbe essere troppo respingente, sia perché potrebbe essere considerata eccessiva, incoerente con quanto si è visto fino a quel momento.
Ecco, per me invece ci sta alla grande. In termini di coerenza, non vedo alcun problema considerando quanto avevamo visto prima, nella misura in cui Oz è matto vero, e come tale finisce con il comportarsi, ma sempre con i medesimi obiettivi in mente.

E c’è poi un tema più generale, di contesto, che credo giustifichi la scelta al punto, quasi, di renderla necessaria. Quando parliamo dei cattivi di Batman, quasi tutti abbastanza iconici, è certamente vero che facciamo fatica a “odiarli”. Non farò finta di essere un grande esperto di fumetti, ma se ci limitiamo anche solo al cinema e alle serie tv, è difficile pensare ai vari Joker, Pinguino, Enigmista ecc, come personaggi meritevoli di odio da parte degli spettatori.

E però sono cattivi, cattivi veri, cattivi che fanno cose cattive, e che a un certo punto devono essere contrastati da un eroe pure lui un po’ complessato, ma che dobbiamo per forza sostenere. In questo senso, un’intera stagione in cui il Pinguino diventa non dico amabile, ma in qualche modo simpatico, è una stagione che rende difficile provare entusiasmo per quel fascio di luce che, nell’ultima inquadratura, dipinge sulle nuvole il simbolo dell’Uomo Pipistrello.

Da questo punto di vista, The Penguin costruisce personaggi rotondi e sfaccettati, di cui ci fa conoscere bene il percorso, ma alla fine ci tiene a sottolineare che quel tizio non è nostro amico, quello è un cattivo vero, uno di cui dobbiamo augurarci la caduta, in modo che quel famoso fascio di luce non sia simbolo di un fastidio, ma di una speranza.
Qui non è Hollywood, ma neanche Breaking Bad.

In nome del suo decantato realismo, quindi, la saga di The Batman cita mille volte i fumetti e la loro iconografia, ma non dimentica nemmeno di mostrare che un criminale di quella risma merita forse un certo rispetto, ma sicuramente non simpatia.
Il realismo vince, e con lui un approccio al mondo dell’Uomo Pipistrello che trova anche una sua discreta originalità rispetto ad altre incarnazioni più fumettose, in cui la portata del Male era spesso stemperata dal buffo, dal freak, dall’esagerazione costumistica o coreografica.

Insomma, per me una serie solida, efficace in tutte le sue componenti, che trova anche dei guizzi di vera personalità in un’ambientazione che, altrimenti, poteva scontare davvero il problema di sembrare una The Sopranos nel mondo di Batman, ma senza Batman, e quindi una The Sopranos in tono minore.

Già non mi piaceva questo paragone, perché sottintendeva che un mob drama non possa essere di qualità senza superare i Soprano (che voglio dire, difficilotto), ma in più ora mi sembra che The Penguin abbia lavorato sul materiale originale in modo abbastanza fruttuoso da ricavarne un miscuglio di tradizione e originalità che sia veramente suo, sostenuto da sorprese, emozioni, e grandi interpretazioni, perché la capacità di Colin Farrell di far passare tutti quei diversi Pinguini (quello sfigato, quello amorevole, quello spietato) sotto tutto quel trucco, è roba da far studiare nelle scuole.

Ancora non sappiamo se ci sarà una seconda stagione (al momento la trattiamo da miniserie), perché è molto probabile che prima debba arrivare il prossimo film di The Batman, e chissà cosa ne sarà di Oz a quel punto.
In ogni caso, per ora, approvatissima.



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