Sweetpea – Una dolce serial killer bullizzata di Diego Castelli
Ella Purnell interpreta una ragazza che farebbe contento il Joker di Joaquin Phoenix: se la stuzzichi si inalbera
Una roba che mi fa sempre alzare il sopracciglio è quando qualcuno, più o meno metaforicamente, indica un bambino e si mette a parlare della sua innocenza e innata bontà.
Che non è vero niente, perché i bambini sono capaci di odi assoluti, desideri scurissimi, violenze pucciose solo agli occhi degli adulti.
E anche quando smetti di essere un bambino e diventi un po’ più grande, se le persone ti trattano male, ci speri eccome di vederle morte. Solo che, nella maggior parte dei casi, non agisci in questo senso, perché al momento della rabbia segue (si spera) quello della ragione.
A meno che tu non sia la protagonista di Sweetpea, che invece alla rabbia fa seguire i fatti, tirando così fuori ben sei episodi di deliziosa violenza.
Creata da Kirstie Swain a partire dal romanzo di CJ Skuse (che non ho letto, quindi non stiamo neanche a pensarci), Sweetpea ha debuttato su Sky Atlantic nel Regno Unito e su Starz negli Stati Uniti. Non abbiamo ancora una data italiana, ma dovrebbe essere abbastanza imminente (in ogni caso per questa recensione non faremo spoiler rilevanti, se non sull’inizio della storia).
La storia è quella di Rhiannon, interpretata da Ella Purnell (protagonista di Fallout), una ragazza che lavora come receptionist in un piccolo giornale di provincia.
Rhiannon è sostanzialmente una sfigata, una che nessuno nota, trattata letteralmente come un appendiabiti, amata davvero solo dal padre che muore nella prima scena della serie. Soprattutto, una ragazza che si porta dietro il trauma di anni di bullismo scolastico, con una cricca di ragazze stilose che la prendeva di mira, al punto che aveva cominciato a strapparsi i capelli per lo stress.
Ed è proprio l’inaspettato rientro nella vita di Rhiannon dell’odiatissima Julia Blenkingsopp (Nicôle Lecky) a riesumare un’antica ansia che, inserita in un’altra serie di coincidenze, brutte notizie e piccole angherie, porta la protagonista sulla strada di una violenza inaspettata, istintiva, ma molto molto soddisfacente.
Naturalmente, il fatto che Rhiannon (“Sweetpea” è il suo soprannome al giornale, che potremmo tradurre con “tesorino”, “dolcezza”) diventi una serial killer “per caso”, una che uccide senza averlo preventivato, per poi rendersi conto che questa rivicinta sanguinosa verso il mondo le dà proprio la gioia e la sicurezza che le mancavano, si incastra poi con tutte le questioni della sua vita privata e professionale, con particolare riferimento alla suddetta Julia.
E qui ci fermiamo per non fare spoiler.
Possiamo però dire che non ci si fermerà lì, a una violenza nuda e cruda che procede su un binario dritto dritto. La sceneggiatura concede a Rhiannon un potere (oscuro, depravato, ma pur sempre un potere), mostrandole però molto presto che la realtà può essere più complessa di quello che lei pensava, costringendola a riflessioni più profonde che, per certi versi, costituiscono la vera ciccia di Sweetpea, la vera base su cui provare a fare un discorso più generale.
Perché Sweetpea, che ha una forte componente di comedy e che per questo può fregarsene di alcune inverosimiglianze che non starebbero bene in un drama/crime più serio (una di queste è il fatto che una bellissima come Ella Purnell potesse essere completamente ignorata dai suoi compagni di scuola), gioca anche una partita pericolosa.
È una serie femminile e femminista, che parla di riscatto e rivincita, in cui quella che potremmo definire una “Promising Young Woman” (per citare il film di Emerald Fennell che condivide con Sweetpea un certo approccio di fondo) cerca di riparare con la forza torti subiti quando era (e in parte è) fragile e insicura. Non è un caso che praticamente tutti i maschi della serie siano scemi o cattivi, e che la vera avversaria di Rhiannon alla polizia sia una donna nera.
Allo stesso tempo, è pure la storia di una serial killer, che non si può far passare in cavalleria come un’eroina punto e basta. Il suo percorso ci viene presentato come comprensibile, con il pericolo che diventi però giustificabile. Qui e là, quindi, si vede la tensione (non sempre gestita benissimo) fra la voglia di premere sull’acceleratore di una ragazza ammazza-tutti a cui fare grandi applausi, e la necessità di non sbrodolare in una baracconata senza pudore.
Sono problemi che in alcuni casi presentano il conto, ma che complessivamente vengono gestiti sia con la commedia, che diluisce e alleggerisce tutto, sia con quelle deviazioni e quegli approfondimenti di cui si diceva prima.
Rhiannon viene effettivamente messa di fronte all’enormità dei suoi gesti, viene effettivamente inserita in una realtà complessa che la costringe a rivedere almeno in parte il suo punto di vista, viene effettivamente mostrata anche nel suo lato meno gestibile e comprensibile, che obbliga anche gli spettatori che l’hanno applaudita fino a quel momento a fermarsi per farsi qualche domanda non più rinviabile.
Da questo punto di vista, il fatto che ci resti il dubbio sul come giudicare le azioni di una ragazza a cui inevitabilmente ci siamo affezionati, ma che è pure una criminale fatta e finita, non è di per sé un errore: la serie in fondo punta a porre domande, più che dare risposte, mostrando le potenziali conseguenze dell’abuso in una chiave esagerata e grottesca, ma non per questo incapace di farci riflettere su certe oscurità che tutti ci portiamo dentro.
Nel complesso, quindi, una serie che mi sento di promuovere. Prima di tutto perché genuinamente divertente, nel senso più largo del termine, e perché sa gestire con buona mano tutta la suspense che una storia del genere può portare con sé, anche dentro una cornice complessivamente leggera.
Mi rimane il dubbio che, nella trattazione della sua materia più filosofica, non abbia sempre chiaro il fuoco di ciò che vuole dire, con dichiarazioni molto dure che rischiano di compromettere la morbidezza di certe sfumature che, pure, si vorrebbero inserire.
Però oh, son sei episodi che mi sono visto di fila, senza annoiarmi, amando Ella Purnell, e facendomi domande preoccupate sul perché la dovessi amare o meno.
Va già benissimo così.
Perché seguire Sweetpea: racconta una storia abbastanza originale, con piglio divertente e un contenuto filosofico meno banale del previsto.
Perché mollare Sweetpea: vuole essere tante cose (comedy, crime, suspense, trattato filosofico) e non sempre l’equilibrio fra le parti le riesce benissimo.