14 Ottobre 2024

Disclaimer – Una serie d’autore come si deve di Diego Castelli

Alfonso Cuaròn, Cate Blanchett, Kevin Kline: tre premi oscar per una miniserie da guardare senza battere le ciglia

Pilot

Era difficile avvicinarsi a Disclaimer, nuova serie di Apple Tv+ tratta dal romanzo di Renée Knight, senza avere almeno un po’ di pericolosissimo hype. Pericoloso perché se c’è una cosa che abbiamo imparato con il cinema e con le serie tv, è che avvicinarsi a un nuovo prodotto con la viva speranza, anzi no, la pretesa, che sia un bomba, è il modo migliore per spingere noi stessi a trovare ogni possibile difetto e rovinarcelo, oppure al contrario, per salvarlo no matter what, in cerca di salvifica sanità mentale.

In ogni caso, con Disclaimer non si poteva evitare.
In primo luogo per i nomi coinvolti, con la firma totale (sceneggiatura + regia) di un premio oscar come Alfonso Cuaròn (a casa conserva 4 statuette, due per Gravity e due per Roma), e la presenza di due star amatissime e bravissime come Cate Blanchett e Kevin Kline.
In secondo luogo, per la calorosa accoglienza ottenuta dalla miniserie in quel di Venezia, che magari non è il luogo più adeguato per capire se un prodotto televisivo piacerà a un pubblico che vada oltre la critica specializzata, però insomma, sono applausi che comunque uno prende e porta a casa.

Ebbene, a giudicare dai primi due episodi, guardati con le dita incrociate, possiamo rilassarci, perché Disclaimer sembra proprio un titolo da mettere nel nostro calendario personale.

La storia è quella di Catherine (Blanchett), una giornalista molto apprezzata che proprio nelle prime scene ritira un premio per il suo lavoro, e che a un certo punto si vede recapitare a casa un piccolo romanzo.
Leggendolo, Catherine – che è sposata con Robert (Sacha Baron Cohen) e ha un figlio sui vent’anni con cui ha un rapporto conflittuale – si rende conto che quel romanzo parla proprio di lei, e di un oscuro segreto che la donna si porta dietro da anni.

Cercherò di evitare di parlare di questo segreto, che i primi due episodi ancora non svelano completamente, ma che cominciano a delineare per sommi capi, non so ancora con quale livello di precisione (uno degli elementi di interesse dalla serie sta proprio nel farci domandare quanto abbiamo già visto del totale della storia, e quanto ancora ci sia da scoprire).

Bisogna però aggiungere un ultimo pezzetto imprescindibile, cioè il fatto che il romanzello l’ha spedito il personaggio di Kevin Kline, un uomo vicino agli ottanta, vedovo, che in quell’oscuro segreto nasconde un dolore che si tramuta in un bisogno ossessivo di vendetta.

Giova dire che, al momento, non c’è niente in Disclaimer che sia particolarmente originale. A conti fatti è un drama familiare con sopra una spolverata di giallo e mystery, articolato su più piani temporali per raccontare la genesi, lo sviluppo, e soprattutto le conseguenze di un qualche tipo di tragedia e di madornale errore che ancora perseguita le vite dei protagonisti.

Non è certo la prima volta che seguiamo l’esistenza tormentata di personaggi ossessionati dal loro passato, costretti a dissotterrare vicende che credevano sepolte e a rivelare segreti capaci di distruggere quella che credevano essere una vita ormai perfettamente instradata, lineare, risolta.

La differenza, come mi ha detto il Villa in questi giorni, è che Disclaimer sembra una delle tante, ultime serie con Nicole Kidman scritte da David E. Kelley, solo con una qualità significativamente più alta.

Dove sta, però, questa qualità? Beh, in tutto ciò che compone la storia e la sua messa in scena, tranne la cruda originalità.
Si può partire da dove si vuole, ma per comodità potremmo iniziare proprio dai protagonisti: Cate Blanchett e Kevin Kline sono ormai due mostri sacri, e già in questi due episodi vediamo perfettamente il motivo.

Lei ha una presenza scenica impressionante, con quell’eleganza innata che le ha permesso di essere una regina degli elfi ne Il Signore degli Anelli, che però si può rompere da un momento all’altro quando le bugie accumulate negli anni spezzano l’equilibrio di una vita non perfetta (vedere i casini con il figlio), ma comunque “sotto controllo”.
Quando Catherine si trova per le mani lo scritto incriminato (che per l’appunto ha per disclaimer “ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è voluto”), il suo mondo va in pezzi prima di tutto sul suo volto, sulle sue espressioni, nel modo in cui Cate Blanchett trasforma una donna di successo e di cultura in una creatura sempre sull’orlo del panico, sempre annaspante e in cerca d’aria.

Kevin Kline, dal canto suo, mette agilmente da parte una carriera che l’ha visto interpretare spesso personaggi comici o quanto meno simpatici (l’oscar lo visse per quella delizia di Un pesce di nome Wanda), per interpretare un uomo distrutto dal dolore ma anche animato dal risentimento, sempre a metà fra l’anziano sconfitto e deluso, e il vecchio arcigno dal sorriso diabolico.
Insomma, due fuoriclasse assoluti, a cui è giusto aggiungere Sacha Baron Coen, per l’ormai proverbiale talento trasformista (il fatto che l’uomo che vediamo in questa serie sia anche Borat lascia sempre di stucco).

Tutto questo, naturalmente, parte anche dalla mano di Alfonso Cuaròn. Il regista messicano, in questi due primi episodi, non cerca di strafare come può capitare a certi registi prestati dal cinema alla televisione, desiderosi di incastrare la grandeur dello schermo grande dentro quello piccolo (spesso con bei risultati, sia chiaro).

Il nostro Alfonso no, sembra limitarsi a raccontare la sua storia, e dico “sembra” perché in realtà la qualità deborda comunque da ogni angolo.
Degli attori abbiamo già detto, e parte della loro bravura sta anche in chi li dirige. C’è poi una grande attenzione ai dettagli, ai particolari, alle piccole immagini ritagliate in un contesto più esteso che possano aggiungere un significato o approfondirne un altro. C’è una precisa volontà di mettere a costrasto diverse “energie”: la forza dirompente di una bella giovetù in certi flashback di cui preferisco non dare troppi dettagli, messa a diretto contrasto con la fissità grigia di un presente segnato dal dolore. Ci sono belle idee di messa in scena come il maglioncino rosa della moglie morta, che il personaggio di Kevin Kline si messe a indossare come una specie di armatura da antieroe, un’uniforme da combattimento di un uomo in cerca di rivincita.

E poi c’è una grande ricerca fotografica, con la luce e i colori giusti per ogni singola inquadratura. Mi viene da citare una specifica scena al mare, da cui è tratto lo screenshot qui sotto, in cui con poche pennellate si dipinge un’estate italiana forse un po’ stereotipata, ma comunque piena di una forza, di un calore, semplicemente pazzeschi.

Disclaimer resta una sere d’autore, non è un fulmine in termini di ritmo, e chiede un certo impegno non tanto per seguire la trama (che resta comprensibile per tutto il doppio pilot), ma proprio per cogliere quei dettagli e quell’atmosfera che possono fare la differenza fra un normale drama di segreti inconfessati, e un affresco di umanità profonda ed emozioni primarie.

È anche questo a fare la differenza: la capacità di suggerire i risvolti della trama senza ancora svelarli, riuscendo però a trasmettere le emozioni dei personaggi senza che la forza di quella rappresentazione venga depotenziata dal fatto che non sappiamo ancora esattamente perché provano quelle emozioni.

Il che, naturalmente, è anche lo strumento con cui inchiodare lo spettatore almeno fino alla terza puntata: alla fine delle prime due non sappiamo ancora se quello che ci sembra di aver capito è tanto, poco, forse addirittura tutto (il che avrebbe un certo tipo di conseguenze su ciò che la storia può avere ancora da dire), o se invece siamo stati ingannati e restano da svelare sorprese inaspettate.

Quello che sappiamo, però, è che questi personaggi escono dallo schermo, ci impongono i loro sguardi, paure, rancori, al punto che non possiamo pensare di restare senza sapere, senza capire. La forza di quelle sensazioni chiama la necessità di una razionalizzazione, stuzzica il nostro bisogno di ordine e struttura, anche al di là della semplice risoluzione del “giallo”.

L’unica paura che si può avere, su Disclaimer, è proprio che il suo sviluppo non riesca a tenere salda la tensione del suo inizio, perdendosi in qualche banalità o sbrodolamento di troppo.
Tuttavia, al momento vale assolutamente la pena di essere ottimisti. E giusto per dirne una (mi permetto questo minuscolo spoiler): nelle prime due puntate Cate Blanchett e Kevin Kline neanche si incontrano, ma i loro personaggi vengono costruiti con una tale forza, che possiamo stare qui anche solo ad aspettare quell’inevitabile faccia a faccia, da cui ci aspettiamo (pacati, trattenuti, autoriali) fuochi d’artificio.

Perché seguire Disclaimer: è realizzata da un sacco di gente che sa fare il suo mestiere, e si vede proprio.
Perché mollare Disclaimer: nasce e cresce come un drama d’autore volutamente intenso, se cercare leggerezza non è questo il posto.



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