Grotesquerie – Fra detective alcoliste e suore sboccate di Diego Castelli
Il solito Ryan Murphy crea una serie delle sue, a metà fra il disturbante e lo stranamente comico
E poi ci sono le serie strane. Quelle che sembrano appartenere a un genere specifico, e poi scivolano e sgocciolano anche altrove. Quelle che in alcuni momenti ti fanno storcere il naso, e in altri ti fanno annuire compiaciuto, perché hai visto qualcosa di originale e creativo. Quelle create da Ryan Murphy che però sembrano troppo “una serie di Ryan Murphy”, e quelle create da Ryan Murphy che, pur manifestando lo stile del proprio autore, trovano anche una loro cifra più distintiva.
Potrebbe essere il caso di Grotesquerie, miniserie di FX in arrivo su Disney+ (anche se ancora non abbiamo una data precisa) che Ryan Murphy crea insieme a Jon Robin Baitz e Joe Baken. Per certi versi, a giudicare dai primi due episodi, una sorta di versione murphyana di True Detective, con un caso criminoso molto inusuale e molto crudo, due investigatrici a loro modo stravaganti, e lo spazio per costruire una storia coinvolgente che vada oltre il semplice giallo.
Se seguite Serial Minds da un po’, peraltro, sapete bene che a me il giallo purissimo non piace. Non ho mai seguito con continuità quelle serie poliziesche in cui l’unica cosa che conta è la ricerca del colpevole, facendo fatica pure quando il/la protagonista viveva abbastanza sopra le righe da essere un intrattenimento a sé stante (tipo che ne so, Castle).
Avendo sempre bisogno di “qualcos’altro”, per appassionarmi ai gialli, ho sempre visto di buon’occhio le serie o miniserie come la citata True Detective, o The Killing (quanto ci piaceva The Killing…), quelle dove l’atmosfera, i personaggi, le sfumature delle psicologie, costruivano un campo da gioco tutto loro, che prescindeva o quasi dalla semplice raccolta degli indizi.
In questo Grotesquerie è abbastanza esemplare. Racconta di una serie di omicidi su cui indagare, e fin qui ok. Solo che quegli omicidi, come titolo suggerisce, sono grotteschi, esagerati, legati a una religiosità simbolica e malata, capace di far vomitare buona parte dei poliziotti costretti a osservare le vittime.
In più, le due persone che per un motivo o per l’altro si trovano a indagare sui delitti sono personaggi abbastanza particolari: da una parte una poliziotta con un debole per l’alcol (più un marito in coma e una figlia con problemi di peso), interpretata da Niecy Nash, che non a caso nella sua carriera è stata capace di lavorare in egual misura nelle comedy come nel drama; dall’altra una suora appassionata di crime (???) che scrive per un giornale religioso e si occupa di cronaca nera, che a quanto pare tira tantissimo anche sulle riviste per credenti (è interpretata da Micaela Diamond, che ha un passato soprattutto teatrale, tanto da avere sulla mensola un Tony Award vinto nel 2023 per la più recente versione del famoso musical Parade).
Con due detective assai particolari, un serial killer depravato e violento che manda messaggi ai suoi inseguitori, e un certo gusto macabro nella costruzione fisica e spaziale delle scene di omicidio, Grotesquerie sembra davvero avvicinarsi alla lezione di True Detective.
La mano di Ryan Murphy, però, si vede in diversi punti, come nella citata scelta di infilare qui e là una buffa ironia volutamente distonica rispetto al resto (praticamente ogni scena in cui Suor Megan fa qualcosa si poco “suoresco”, fa ridere), in una certa sfumatura queer che non diventa fondamentale nella trama, ma c’è, e anche nella volontà di tenere la storia su un binario di piena comprensibilità, perché Murphy solitamente non ama accartocciare il cervello dei suoi spettatori con arzigogoli narrativi troppo complicati, preferendo le sensazioni del qui e ora, sempre ben incastrate in una cornice accessibile.
Con un’impostazione del genere, quello che funziona meglio di Grotesquerie è anche il suo potenziale punto debole.
Da una parte, infatti, la sua variazione sul tema del serial killer la rende fresca e originale, perché ci stimola a godere di dettagli che solitamente non guardiamo così tanto in questo genere. Nei primi due episodi, per dirla semplice, è abbastanza chiaro che le esposizioni “artistiche” degli omicidi e le reazioni di Suor Megan sono molto più divertenti della gestione in sé e per sé del caso poliziesco. Allo stesso tempo, tutta la storia personale della detective Lois, che comprende anche una responsabile particolarmente morbosa, assurda e depravata dell’ospedale dove si trova il marito comatoso, aggiunge un elemento di assurdo e, di nuovo, di grottesco, a una vicenda che passa in secondo piano quando la scena viene rubata da queste figure al limite.
Tutto questo macabro spettacolo, però, diventa un ostacolo se chi guarda, magari partendo da una passione più vivida per i gialli di stampo più classico, non può non percepire una certa tendenza al cazzeggio, quella spinta irrefrenabile di Ryan Murphy verso la deviazione straniante, il gioco pruriginoso, l’invenzione pazzerella.
Al punto che, messo di fronte a una persona appassionata di gialli classici e/o dei mystery più rigorosi, mi sentirei costretto a dirle “in realtà Grotesquerie non è sto gran mystery”, proprio perché l’investimento emotivo ed intellettuale nella cupezza della situazione è costantemente smussato e rimodellato da tanti dettagli dissacranti piazzati, per l’appunto, per comporre il famoso “grottesco”.
Il mio giudizio, al momento, non può che essere almeno in parte sospeso. In generale avevo aspettative basse, perché Ryan Murphy mi ha un filino stufato e lo trovo complessivamente ridondante, oltre che preso da una compulsione lavorativa che mi mette ansia a prescidendere: questa cautela ha contribuito a farmi divertire con un certo gusto di fronte a due episodi più creativi e frizzanti di quanto mi aspettassi.
Allo stesso tempo, Murphy e i suoi camminano su un filo sottile, forse capace di soddisfare palati diversi, ma anche potenzialmente inadatto a incontrarli tutti per davvero. Per ora ho voglia di vedere il terzo episodio, che è sempre una cosa buona, e forse l’unica che conta veramente. Tuttavia, anche l’originalità che ho visto nelle prime due puntate potrebbe diventare stucchevole dopo altre tre o quattro.
Staremo a vedere.
Perché seguire Grotesquerie: perché la mano di Ryan Murphy la trasforma in una “True Detective strana” che può riservare belle sorprese.
Perché mollare Grotesquerie: gioca con un genere molto codificato rischiando di indispettire chi quel genere lo ama così com’è.