3 Settembre 2024

KAOS – Una black comedy “divina” dal creatore di The End of the F***ing World di Diego Castelli

Charlie Covell ci trasporta in un mondo di miti, dèi ed eroi, ma rimanendo ben ancorato a una realtà tutta contemporanea

Mi chiedo se la tempistica debba suggerirci qualcosa: nel 2017, su Prime Video, debutta American Gods, la serie tratta da Neil Gaiman che, per dirla con ingenerosa rapidità, prende gli dèi nordici (e non solo) per calarli nella nostra realtà contemporanea. Giusto un anno dopo, nel 2018, Netflix annuncia KAOS, una nuova serie in cui, pensa un po’, ci sono degli dèi, stavolta quelli greci, trasportati in un mondo pesente in cui Zeus vive in una villa con piscina e Dioniso va in giro per locali a godersi una vita fatta di piaceri molto terreni.

Il creatore è Charlie Covell, che aveva già firmato la deliziosa The End of the F***ing World, e che fino a quel momento aveva messo in mostra uno stile assai diverso da quello mostrato da American Gods, quindi magari ci stiamo facendo delle seghe mentali per niente.
Anche perché la vera notizia è che quel progetto, forse-ma-forse nato come reazione a un altro show che nel frattempo è morto da tempo, ci ha messo ben sei anni a vedere la luce. Sei anni in cui Covell ha creato solo un’altra miniserie (Truelove), dedicando quindi un sacco di tempo (almeno così viene da pensare) al rifinire al meglio la sua epopea divina per Netflix.

La buona notizia è che quel tempo non è stato speso invano.

Come accennato, KAOS è una rilettura in chiave moderna del pantheon e dei miti greci, con dèi ed eroi che vivono in una Grecia moderna anche se non propriamente “contemporanea” (lo vediamo per esempio dal fatto che ci sono le segreterie telefoniche e nessun cellulare).

Il protagonista è Zeus, proprio quel Zeus, interpretato da un Jeff Goldblum che, per stile e storia, già suggerisce il tono da black comedy della serie, capace di idee e momenti assai divertenti, affiancati a picchi di dramma e di violenza anche molto espliciti.
Accanto a lui ci sono altri dèi come la moglie Era (Janet McTeer) e i fratelli Poseidone (Cliff Curtis) e Ade (David Thewlis), ma anche figure mitiche come Prometeo (Stephen Dillane), Medusa in versione impiegata col turbante per nascondere i serpenti (Debi Mazar), Orfeo (Killian Scott) ed Euridice (Aurora Perrineau), con il famoso cantore che qui, ovviamente, è una rock star.

Proprio Orfeo ed Euridice sono pedine centrali di un ingranaggio fatto di profezie, rituali e ribellioni, in cui Zeus vede vacillare un potere che credeva immutabile, e in cui gli umani scoprono segreti che mettono seriamente in discussione la lealtà che hanno sempre pensato di dover tributare agli dèi, anche e soprattutto per il loro stesso bene.

In una storia come questa, ma il ragionamento sarebbe simile per la stessa American Gods, o per racconti per ragazzi come Harry Potter e Percy Jackson, parte del divertimento sta nel vedere come l’autore sceglie di traslare il mito in un contesto più contemporaneo, lasciando intatte certe dinamiche e cambiandone altre.

Così, Zeus vive in una villa con piscina circondato da anonimi assistenti-raccattapalle, Poseidone passa la vita in barca e Ade, in un Oltretomba perennemente in bianco e nero, gestisce i suoi molti impegni da un ufficio grigio e anomino, in cui la moglie Persefone gli fa da spalla e consigliera. Orfeo, come detto, è un cantante famoso, i morti superano lo Stige in traghetto e la famosa Cassandra è una specie di senzatetto un po’ tocca che sbraita le sue profezie a un pubblico che, come tradizione vuole, non le crede mai.
E poi però abbiamo anche Prometeo legato a una roccia con un’aquila che gli mangia il fegato, un Minotauro che sta in un Labirinto, delle Moire che producono profezie enigmatiche per ogni essere umano o divino, e via dicendo.

È un gioco di richiami, citazioni, adattamenti che Covell gestisce benissimo, ricostruendo un mondo che ci appare vicinissimo, in cui ci sembra di conoscere almeno in parte sia il passato che il futuro dei personaggi, ma in cui, proprio per questo, accogliamo con più curiosità i cambiamenti, le invenzioni, le storpiature, sapendo che, accanto alla trama principale, buona parte del divertimento starà proprio nel cogliere tutti questi dettagli sapientemente distribuiti nel corso degli otto episodi.

Fortunatamente, però, non è solo un giochino buono per farci i meme, perché una storia c’è davvero.
KAOS è un mosaico di personaggi e varie trame e sottotrame, che tira dentro un sacco di temi diversi, dal rapporto genitori-figli ai triangoli amorosi, dalla vendetta all’esistenza e ruolo del destino (inteso anche, di conseguenza, come capacità di autodeterminazione e libero arbitrio).

C’è però anche un tema più generale, che è quello della libertà e dell’esercizio del potere. In maniera sorprendentemente coerente con la tradizione dei miti, KAOS racconta di un’élite ricca e arrogante, che si sente inevitabilmente superiore ai suoi sudditi e che ne pretende la lealtà offrendo poco o nulla in cambio, occupata com’è a guardare il proprio ombelico e rimanere aggrappata al potere.
Allo stesso tempo, dall’altro punto di vista, racconta di un popolo chiamato ad aprire gli occhi, scoprendo che la lealtà che, per fede o per tornaconto, concedeva a quelle elite, è in realtà mal riposta, perché frutto di promesse false e, disinformazione, veri e propri complotti.

Non so dire se KAOS voglia essere una serie propriamente “rivoluzionaria” (non nel senso di “molto originale”, ma proprio di “falce e martello”), perché il suo approccio è sì politico, ma anche estremamente giocoso e visionario.

Però c’è sicuramente una critica nei confronti di uno status quo: l’arroganza e la violenza delle élite vengono derise e ridicolizzate tanto quanto l’ingenua credenza, da parte della gente comune, che quelle élite siano lì per fare il bene del popolo, quando in realtà pensano solo a sé.
E c’è probabilmente anche una certa consapevolezza del fatto che usare i miti greci per raccontare questo problema significa anche mostrare che non è una cosa particolarmente nuova, nella storia dell’umanità.

Nel complesso, dunque, KAOS è una serie più che riuscita, piena di idee, di spunti divertenti, di sorprese e improvvisi cambi di tono, che si porta dietro una precisa visione del mondo. Non c’è mai una scusa per annoiarsi e, pur seguendo le vicende di un mondo che ci appare così assurdo e fiabesco, è facile trovarci tanti e tanti richiami alla nostra realtà di oggi e alle sfide che ci vengono poste come cittadini e, banalmente, esseri umani.
Avercene.

Perché seguire KAOS: c’è tantissima carne al fuoco, tutta gestita con attenzione e ordine.
Perché mollare KAOS: mescola così tanti generi diversi, che può anche disorientare.



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