The Umbrella Academy 4 – Ultimo addio di Diego Castelli
Dopo una vita travagliata, The Umbrella Academy prova a chiudere i conti di una delle famiglie più disfunzionali del supereroismo
ATTENZIONE: SPOILER SU TUTTA LA SERIE
Devo dirvi la verità. L’ultima stagione di The Umbrella Academy, uscita l’8 agosto su Netflix, più che sul suo contenuto specifico mi ha fatto riflettere sull’intero ciclo di vita della serie, che potremmo definire sfigato, disfunzionale, incasinato e, complessivamente, sfortunato come i suoi protagonisti.
Che The Umbrella Academy fosse una serie potenzialmente di nicchia si sapeva anche all’inizio, con il suo supereroismo molto deviante dallo standard, col suo taglio d’autore, con le sue stranezze. E però aveva anche la possibilità di essere, per l’appunto, il simbolo di un “altro” supereroismo rispetto a quello più pop imperante al cinema e non solo.
Poi però la vita s’è messa di mezzo. Umbrella debutta a febbraio 2019, due mesi dopo esce Avengers Endgame, e a luglio di quell’anno esce The Boys, che fa una cosa simile (rimasticare il supereroismo) ma in modo più feroce, urlato, riconoscibile, e infine famoso.
Poi The Umbrella Academy subisce le conseguenze del Covid, degli scioperi, la sua protagonista cambia genere, insomma un sacco di imprevisti, e alla fine, probabilmente, lascerà meno di quello che avrebbe potuto.
Però un saluto affettuoso forse se lo merita.
Anche la quarta stagione arriva due anni dopo la terza, e io non mi ricordavo più un piffero. Pure per questo vale la pena di piazzare il primo “bravi”, perché la sceneggiatura ci permette di (ri)entrare nella storia dandoci sufficienti coordinate per orientarci anche se del passato ci ricordiamo poco, o addirittura se non l’abbiamo mai visto prima.
Il fatto che i protagonisti, dopo le vicende della terza stagione, si ritrovino in una nuova dimensione spaziotemporale in cui hanno perso i loro poteri e si sono riconvertiti a vite tutto sommato “normali”, permette di tracciare una linea da cui ripartire.
Il passato, naturalmente, non è dimenticato e ritorna, chiudendo anche diversi cerchi aperti negli anni precedenti, ma non veniamo buttati nel mezzo di scene incomprensibili a meno di avere una precisa cognizione di quanto accaduto due anni fa.
Invece, possiamo riprendere con calma il discorso di questa famiglia assai particolare, piena di persone che avevano dei poteri e non li hanno più (anche se ovviamente li recupereranno presto), e vedere come tornano ancora insieme per risolvere problemi nati nel passato.
Perché poi sì, il passato ritorna. Con calma, senza troppe ansie (per noi), ma torna. E se all’inizio di tutto, pur in un modo assolutamente peculiare, The Umbrella Academy sembrava voler raccontare un’effettiva storia di “persone con i poteri contro i cattivi”, ora è passata troppa acqua sotto i ponti: già sappiamo che il principale cattivo di questa serie è il padre dei protagonisti, e in questa stagione tutto passa da loro.
L’universo in cui si trovano, e anzi l’esistenza stessa di un multiverso esploso a partire da un’unica linea temporale, è figlio della loro stessa esistenza, e delle azioni compiute dal loro padre al momento di spargere il marigold, la sostanza che ha generato la nascita dei personaggi principali.
Nella quarta stagione di The Umbrella Academy, l’incontro fra la marigold e un’altra sostanza opposta ad essa, la durango (e questo incontro si concretizza nel toccarsi di due persone, Ben e Jennifer), porta i protagonisti a dover fare scelte estreme, perché la loro salvezza potrebbe essere incompatibile con il ripristino di un universo unico e “sano”, senza continue apocalissi.
Poi in realtà, anche per nostro gusto, dei cattivi nuovi ci sono, e il fatto che abbiano il volto di Nick Offerman e Megan Mullally (sposati nella serie e anche nella vita), non può che farci felici.
E due interpretano Gene e Jean Thibodeau, che in quell’universo hanno dato vita a una setta di persone convinte di essere in una timeline “sbagliata”, e per questo pronte a tutto per ristabilire l’ordine.
Il fatto che, tecnicamente, siano cattivi che hanno perfettamente ragione, è un altro punto bizzarramente coerente con le follie di una serie come questa.
Naturalmente, però, il grande tema di The Umbrella Academy resta proprio quello della famiglia.
Al netto dei poteri, degli scontri (alcuni molto belli), e delle implicazioni fantascientifiche delle loro vicende, gran parte di questa serie è stata spesa nel costruire le complicate relazioni di un gruppo di persone che non formano una famiglia di sangue, ma non per questo meno vera.
In questa stagione tornano, debitamente aggiornate, tutte le tensioni del passato, ma da una prospettiva parzialmente nuova: all’inizio, i nostri sono senza poteri, vivono vite normali e si sono in parte persi di vista. È però una tranquillità illusoria, spesso condita di frustrazione (Luther che fa lo spogliarellista, Diego e il suo matrimonio in crisi, ecc).
Quando i poteri ritornano, tornano anche i casini, le responsabilità, e la necessità di risolvere la situazione una volta per tutta.
Quello che Steve Blackman e i suoi autori e autrici sembrano dirci, è che dai traumi della famiglia non si scappa, sono fantasmi che torneranno sempre, a meno che non si affrontino con cognizione di causa, senza fuggire.
E in effetti diversi personaggi avrebbero modo di fuggire, e quelli che a un certo punto sembrano farlo con più forza sono Five e Lila, che si perdono nel multiverso (con modalità che hanno ricordato il recente Dark Matter di Apple Tv+) e finiscono con l’accettare la loro nuova condizione.
Anche per loro, però, arriva il momento di scegliere se continuare a fuggire o tornare indietro. E se Lila, che a casa ha tre figli, è la prima a voler tornare, alla fine anche Five, che pur incontra una tavola calda piena di altri se stesso che hanno optato per la fuga perenne, sceglie di affrontare i problemi suoi e della famiglia.
Nello specifico, dopo aver capito che la produzione del multiverso e delle infinite apocalissi si deve alla loro stessa esistenza, a loro volta frutto degli errori del padre, ai nostri non resta che scegliere l’auto-annullamento, la cancellazione definitiva, che permette il ritorno alla prima e unica linea temporale, precedente alla loro nascita (bisogna ammettere che tutta sta cosa sembra un po’ Loki, temevo di veder comparire la TVA a un certo punto).
Poi certo, se consideriamo The Umbrella Academy una metafora abbastanza esplicita dei casini attraverso cui può passare ogni famiglia, il fatto che finisca tutto in una specie di suicidio collettivo potrebbe non essere proprio edificante.
Naturalmente, però, anche quella scena è da intendersi in senso metaforico. Alla fine, quando non ci sono più misteri, quando tutte le carte sono sul tavolo, quando anche il loro padre paga per le sue colpe, i nostri hanno la possibilità di fare una scelta consapevole su un terreno comune. Per la prima volta, ogni egoismo viene abbandonato in nome di un Bene superiore, e la serie termina (o quasi) sulle parole di Klaus che ben riassumono il sentimento di molte persone nei confronti dei loro parenti: “Vi voglio bene ragazzi, anche se siete tutti dei coglioni”.
Nell’ultima scena, poi, c’è spazio per vedere il frutto del sacrificio dei nostri, con una timeline completamente ripristinata, la loro esistenza cancellata, e vecchi personaggi (come la Handler interpretata da Kate Walsh) che tornano a farsi vedere in una versione normalizzata di sé, senza più le dolorose stranezze create da Reginald Hargreeves.
The Umbrella Academy ha prodotto e ricevuto un po’ meno di quello che poteva. Un po’ per sfighe indipendenti dalla sua volontà, e un po’ per suoi specifici peccati, con una narrazione non sempre perfettammente coesa e qualche passaggio a vuoto, che in sole quattro stagioni e senza un numero enorme di episodi, sono meno scusabili.
Però ha effettivamente rappresentato il tentativo di fare qualcosa di diverso dal solito, ha incarnato l’anima migliore di Netflix (quella che sperimenta invece di produrre mezze soap opera scoperecce giusto per fare visualizzazioni), e si è portata dietro uno zoccolo duro di fan che sapevano di stare guardando un prodotto probabilmente zoppicante, ma che si meritava una chiusura vera.
Quella chiusura c’è stata. Nemmeno lei esente da difetti, perché la tabula rasa di cui si parlava all’inizio è un buon modo per farci rientrare nella serie, ma inevitabilmente anche un fattore che rende più frettolosi i nuovi sviluppi e risoluzioni, che devono concentrarsi in pochi episodi.
Ma se da questa stagione ci aspettavamo un effettivo punto fermo, quello c’è, e pure abbastanza coerente, in termini narrativi, psicologici e fantascientifici, con quello che abbiamo visto finora.
Insomma, non sarà stata la serie “perfetta”, ma fino all’ultimo ha provato a farci divertire (spesso riuscendoci), e i suoi protagonisti, pur di ottenere una chiusura degna di questo nome, hanno finito col cancellarsi completamente dall’esistenza.
Secondo me, in questo desolato e caldissimo agosto seriale, possiamo apprezzare il sacrificio.