House of the Dragon 2 season finale – Ma il fuoco? E il sangue? di Diego Castelli
La seconda stagione di House of the Dragon chiude i battenti con un episodio troppo preparatorio
ATTENZIONE! SPOILER SU TUTTA LA SECONDA STAGIONE DI HOUSE OF THE DRAGON
Non starei a girarci troppo intorno: il finale della seconda stagione di House of the Dragon è stato deludente. In un modo però abbastanza curioso: il problema non sta nel fatto di aver scelto le cose giuste, facendo però fatica a metterle in scena come si deve. A stupire è invece la decisione di non fare quell’ultimo passo che sembrava imminente, e che avrebbe dato un senso prima di tutto emotivo all’intera stagione.
Fatemi fare una metafora olimpica: è come se un saltatore in lungo avesse preso una rincorsa velocissima, arrivando infine alla pedana per il balzo, salvo poi… non saltare e continuare a correre sulla sabbia, con i giudici che lo guardano e dicono “oh, guarda che dovevi saltare, sennò cosa hai corso a fare?”
Ma vediamo più nel dettaglio.
Quando due anni fa ci entusiasmammo per la prima stagione di House of The Dragon, lo facemmo per un motivo molto semplice: temevamo che la spinta di Game of Thrones si fosse esaurita, che anzi la sua legacy fosse stata rovinata da un’ultima stagione che a moltissimi non era piaciuta per niente, e insomma si temeva che questo franchise non potesse effettivamente rilanciarsi.
La prima stagione di House of The Dragon smentì tutti per un motivo molto semplice: riuscì a tornare a ciò aveva reso grandi le primissime stagioni di Game of Thrones, cioè quei dialoghi finissimi, quei personaggi contrastati, quegli intrighi sanguinosi in cui non ci si può fidare di nessuno, e quelle figure capaci di acquisire un’improvvisa e supefacente “gravitas”, al punto da diventare centri di gravità potentissimi per l’intera serie (penso soprattutto al percorso compiuto da re Viserys).
È bene dirci che alla seconda stagione, appena terminata su HBO e da noi su Sky e NOW, non chiedevamo molto di più. Certo, l’equilibrio fra dramma e azione pura è fluido e mutevole, si possono sempre trovare nuovi accrocchi, e House of The Dragon, al contrario di Game of Thrones, è una serie in cui una certa potenza visiva data dai draghi è in qualche modo richiesta dagli spettatori.
Ma non è che ci arrivavamo chiedendo espressamente questo o quello, in quel punto o in quell’altro. Ed è bene dircelo perché certi problemi riscontrati in questa stagione non vengono dalle aspettative che gli spettatori si erano fatti alla vigilia, ma dal modo in cui il secondo ciclo di episodi ha costruito il proprio meccanismo interno, finendo col tradirlo.
Non ci sono grossi dubbi sul fatto anche anche questa seconda stagione ci abbia regalato momenti memorabili, sia in termini di singole scene epiche, sia dal punto di vista dell’evoluzione complessiva dei personaggi.
Spostandosi avanti di qualche anno rispetto al finale della seconda stagione, House of Dragon ci ha mostrato Alicent e suo padre Otto alle prese con una prole bizzosa e ingestibile, un re giovane umorale affiancato da un fratello ombroso e violento. Dall’altra parte, una Rhaenyra scacciata da casa cercava di ricostruire una propria forza politica e militare, dovendo guardarsi da uno zio-amante, Daemon, di cui è sempre difficile cogliere progetti, ambizioni e desideri.
Due fazioni in lotta, un campo di battaglia equamente diviso, e l’idea di una tensione politica e militare che cresce sempre di più, in vista di uno scontro finale che non potrà che essere sanguinoso e devastante.
E fin qui, tutto bene.
Un “tutto bene” che si ritrova in tanti e tanti passaggi che è possibile sottolineare e ricordare. Le tensioni nella sala del trono a King’s Landing, fino al “licenziamento di Otto”. Gli incontri clandestini fra Rhaenyra e Alicent, due confronti speculari in cui si cerca di mettere pacificamente fine alla guerra, scoprendo di non poterci riuscire, ma contribuendo comunque allo sviluppo della trama (nel primo incontro, Alicent si rende intimamente conto di essere nel torto, in termini di legittimità delle sue pretese al trono, mentre nel secondo la stessa Alicent cede le armi e arriva ad accettare la necessità che suo figlio muoia pur di ottenere la pace). L’idea dell’esercito dei bastardi, che ci regala diversi minuti di divertimento, nobili bruciati, e inquadrature esaltanti con Rhaenyra pronta a combattere sullo sfondo di nuovi draghi e cavalieri. E ovviamente quel quarto episodio fatto di bestioni, fuoco, morti e feriti, che ci ha lasciato stremati sul divano.
Insomma, è una stagione complessivamente ricca di spunti e buone intuizioni, e non fa eccezione nemmeno l’ultimo episodio di cui stiamo tecnicamente parlando “male”. Oltre al citato, secondo incontro fra Rhaenyra e Alicent, c’è la fine della lunga trasferta di Daemon, che sceglie infine di inginocchiarsi di fronte alla nipote e consegnarle le armate fin lì raccolte. Il tutto dopo diversi episodi in cui il nostro, complice qualche droga e qualche incantesimo, aveva incontrato di nuovo personaggi ormai defunti (anche per dare a Paddy Considine la possibilità di riapparire nei panni di Viserys), e intravisto brandelli di futuro che hanno risuonato anche nel nostro cuoricino, fra inverni che arrivano, armate zombie e profezie sul ghiaccio e sul fuoco.
Eppure, nonostante queste buone cose, distribuite in modo abbastanza equo fra i vari episodi, qualcosa nella struttura complessiva si è inceppato, e francamente non è nemmeno difficile capire cosa, motivo per cui questa scelta rimane particolarmente dolorosa.
Al di là dei dettagli, di questo e quel dialogo, di questa e quella scena ben riuscita – fra le mie preferite della stagione restano quelle con i poveretti mandati a fare amicizia coi draghi, ogni volta un’occasione per orchestrare poderose scene fra l’horror e il divino, con i draghi enormi chiamati a giudicare i piccoli umani – è possibile ricostruire un andamento emotivo della stagione, i livelli a cui i vari episodi si posizionano, in un’ipotetica scala del coinvolgimento che siamo tutti chiamati a percorrere.
In questo senso, i primi tre episodi suonavano ancora abbastanza “seduti”, ma vivevano delle profonde emozioni provate sul finale della prima stagione, e riuscivano comunque a presentare momenti di grande coinvolgimento, come il già citato primo incontro fra Rhaenyra e Alicent, o il terribile sgozzamento del nipote di quest’ultima.
Del quarto episodio non stiamo neanche a parlare: un’esplosione di gusto fatta di battaglie fra draghi, sacrifici importanti (la morte di Rhaenys), e tradimenti fratricidi, con Aemond che cerca di uccidere il re suo fratello, non riuscendoci per un pelo e lasciandolo sfigurato e menomato, pronto a ricevere le cure e gli insegnamenti di un altro grande personaggio come Larys.
E poi arrivano i problemi. Dopo la scorpacciata dell’episodio 4, i successivi tre appaiono lenti, macchinosi, sostanzialmente statici.
Statici anche dal punto di vista strategico, con una guerra che non decolla, un Daemon sempre più relegato in provincia, con le sue visioni e i piccoli battibecchi fra i sottoposti, e l’impressione che tutto si muova per non muovere niente.
Certo, sono anche gli episodi in cui si decide di creare l’esercito dei bastardi, e il finale del settimo episodio è uno dei momenti più fomentanti della stagione.
Serviva però una scossa, che poteva benissimo arrivare. Quei tre episodi, per quanto faticosi, avevano avuto effettivamente la capacità di far (ri)crescere la tensione, dandoci l’impressione che le forze in campo si stessero armando al meglio (e al massimo) della loro capacità, per poi iniziare a darsele di santa ragione.
Arrivati alla fine del settimo episodio, per come la stagione è stata costruita in fase di sceneggiatura, non era più questione di come interpretiamo House of The Dragon in termini di “serie drammatica, o fantasy, o d’azione”, e in quale misura. Più semplicemente, la costruzione della stagione portava a un ottavo episodio in cui doveva succede qualcosa, qualcosa di grosso, qualcosa che permettesse agli spettatori di sfogare una tensione che le tre puntate precedenti avevano costruito, non senza una certa fatica.
E invece non succede niente. Troppo poco Daemon che si inginocchia, troppo poco il nuovo incontro fra Alicent e Rhaenyra. Di nuovo, non è questione di quanto siano buone quelle singole scene (perché buone lo sono), ma del punto in cui vengono piazzate.
L’errore di questa stagione di House of The Dragon è banalissimo, così banale da non riuscire a comprendere perché nessuno se ne sia accorto: quasi tutte le cose grosse di questa stagione succedono nella prima metà, mentre la seconda è occupata soprattutto a preparare quelle verranno, che però vedremo fra un anno se va bene, ma più probabilmente fra due.
Non si tratta necessariamente di guerra: la prima stagione di House of The Dragon era ancora più lontana dalla guerra che vediamo approssimarsi ora. Ma la costruzione della sua drammaturgia faceva sì che chi guardava percepisse un crescendo, che effettivamente culminava in alcune esplosioni, che si trattasse degli ultimi, carichissimi fiati di Viserys, o della morte del figlio di Rhaenira, letteralmente mangiato dal drago di Aemond.
Non c’è nulla di paragonabile, nel finale della seconda stagione, a quei picchi d’emozione. Con il colpevole errore (che fa tutto la differenza del mondo) di averci fatto credere che qualcosa di ugualmente grosso sarebbe arrivato.
Se volete, questa vicenda è pure istruttiva. Ci mostra quanto anche una produzione grossa, ricca, vicinissima al cinema per potenza della messa in scena e carisma degli interpreti, possa sbandare e inciampare in questioni banalissime, che si potevano vedere già alla scrivania, in fase di scrittura, e sono sfuggite.
Forse pensavano di non riuscire ad anticipare niente di quello che verrà, senza il rischio di rimanere a corto dopo? Forse speravano, con troppa fiducia di sé, di poter poggiare tutto il finale su scene puramente drammatiche e dialogiche? Forse è tutto “come nei libri” (non sono esperto, ditemelo voi), e l’ansia da fedeltà ha fatto dimenticare tutto il resto?
Non lo sappiamo. Quello che sappiamo è che la seconda stagione di House of The Dragon ci ha portato in alto sulla montagna, chiedendoci di scarpinare e sudare, con la promessa di una magnifica vista una volta arrivati in cima, salvo poi dirci che ops, scusate, dobbiamo camminare altri due anni prima del rifugio e della grigliata.
È chiaro che non è che smettiamo di guardare House of The Dragon, ed è chiaro che, a mente fredda, non dimentichiamo le molte cose buone di questa stagione, né il fatto che, se ci guardiamo intorno in questo agosto caldissimo, non c’era nulla che si potesse paragonare alla serie di HBO.
Ma non c’è niente di male a dirsi che la prima stagione era stata superiore, e che la terza, dopo tutta questa preparazione, dovrà per forza inchiodarci alla poltrona, e ha tutti gli strumenti per farlo.
Onestamente, dopo questo coitus interruptus, ce lo devono.