1 Agosto 2024

Time Bandits su Apple Tv+ – Taika Waititi aggiorna Terry Gilliam di Diego Castelli

Il vecchio film rivive in una serie fantasy per ragazzi, ma anche per adulti che vogliono un’avventura leggera, pulita, deliziosamente sciocca

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In questi anni pieni di sequel e remake (o meglio, in cui anche la serialità si è data massicciamente a una pratica che prima era più tipicamente cinematografica), il nostro fastidio o, al contrario, il nostro entusiasmo nei confronti di un rifacimento dipende da molti fattori: quanto è famoso/amato l’originale, quanto è percepito ancora vivo e presente, chi è coinvolto nel progetto e con che intenzioni dichiarate, e via dicendo.

Per quanto mi riguarda, il processo che ha portato alla realizzazione di Time Bandits per Apple Tv+ è uno dei più legittimi che si possano avere in questo campo: l’originale è un film, non una serie; è abbastanza vecchio da essere stato dimenticato o mai visto da una larga parte del pubblico; era abbastanza bello e creativo da pensare che anche una sua serializzazione non avrebbe tolto nulla alla storia, ma anzi avrebbe potuto arricchirla.

Questo, naturalmente, sulla carta: ce l’avranno fatta Jemaine Clement, Iain Morris e Taika Waititi, a dimostrarsi all’altezza di un mostro sacro come Terry Gilliam?

Siamo nel 1981. Terry Gilliam ha 41 anni e sta per dirigere il suo terzo lungometraggio. È però già molto famoso, perché fa parte di uno dei gruppi comici più idolatrati della storia, quei Monty Python di cui lo stesso Gilliam, insieme a Terry Jones, aveva diretto pochi anni prima il primo, amatissimo lungometraggio della banda, Monty Python e il Sacro Graal.

Gilliam ha però aspirazioni da autore vero, è un creativo originalissimo e giocherellone, e non vede l’ora di dar sfogo alla sua immaginazione. E proprio “Trilogia dell’Immaginazione” è il nome che l’autore darà a tre suoi film, ovvero Time Bandits (in italiano “I banditi del tempo”), Brazil e Le Avventure del Barone di Munchausen, in cui Gilliam costruisce mondi fantastici dal sapore favolistico ma anche sanguigno, sorprendente, pure vagamente distopico, a seconda del momento.

Ed è proprio Time Bandits che, a più di quarant’anni di distanza, Apple Tv+ riprende per dargli forma seriale, sotto la principale supervisione di Jemaine Clement (attore e regista che abbiamo visto anche in Legion e What We Do in The Shadows), ma con l’aiuto “rumoroso” e acchiappa clic di uno come Taika Waititi, che per certi versi, senza voler commettere alcun crimine di lesa maestà, possiamo considerare una specie di Terry Gilliam dei nostri giorni: uno che adora giocare e divertirsi con l’audiovisivo, dando vita a progetti pazzerelli in cui comicità e creatività vanno sempre di pari passo per stupire gli spettatori.

Time Bandits, allora come oggi, racconta di Kevin, una specie di piccolo nerd della storia (un incrocio fra Alessandro Barbero e Sheldon Cooper, solo undicenni) che invece di pensare al calcio e ai cartoni animati si entusiasma facendosi domande profonde sull’origine di Stonehenge o sulle imprese dei crociati.

A un certo punto, dal nulla, la sua vita bullizzata perfino dalla sorella e dai genitori cambia quando la cameretta si rivela essere posizionata in corrispondenza di una breccia nel tessuto spaziotemporale, una via d’accesso a molte epoche da cui salta fuori una scalcagnata compagnia di banditi, capitanati da Penelope (Lisa Kudrow, la Phoebe di Friends).

I banditi del tempo sono esattamente quello che suggerisce il nome, ovvero un gruppetto mal assortito di ladri che viaggia fra le epoche in cerca di tesori da rubare. Non pensate però a Lupin o qualche altro scaltro manigoldo: i nostri sono soprattutto dei completi imbecilli, che non ne combinano una giusta e finiscono col trovarsi appresso un ragazzino che non sanno gestire, e che anzi deve aiutarli a non farsi ammazzare, nel tentativo di tornare a casa.
Il tutto sotto lo sguardo attento di un pericoloso cattivo dal nome abbastanza rivelatore, Pure Evil, interpretato dallo stesso Jemaine Clement.

Di per sé, Time Bandits è una commedia fantasy (o un fantasy comico) in cui le gag nascono soprattutto dall’idiozia dei protagonisti e dalla parodia dei diversi periodi storici, che sacrificano volentieri qualunque realismo in nome di una diffuso grottesco pieno di spunti divertenti.

Detta così, però, non è una descrizione molto specifica. A caratterizzare “davvero” la serie è invece una sostanziale adesione (chiamatela omaggio, se volete) allo stile comico e visivo dell’originale, e in generale della lezione dei Monty Phyton.
Non è solo che Time Bandits è una serie comica: è una serie comica di quel tipo lì, dal tono scanzonato e fiabesco, e in cui le risate nascono dal ritmo delle battute, da alcuni tormentoni linguistici (il cattivo ha un sottoposto che si chiama “Damon”, ma ogni volta che dice il suo nome si gira anche un mostro, un demone, che ha sentito male e pensa di essere stato chiamato in causa, con risultati sempre ridicoli), ma soprattutto da un preciso gusto per l’assurdo, che spiazza lo spettatore con trovate sempre inaspettate.

È uno stile dal sapore antico, che quasi non si usa più, ma che non ha smesso di essere funzionale e che per questo, a rivederlo oggi, suona ancora incredibilmente fresco.
Ma l’operazione nostalgia non finisce qui, perché anche tutto l’impianto visivo segue lo stesso rispetto per l’originale. Non che non manchino effetti speciali più che moderni e pure di alto livello (penso al dinosauro del terzo episodio), ma ogni volta che si può, gli autori ricorrono a strumenti più classici, al trucco prostetico, ai pupazzi, ai costumi.
Se ne ricava un sapore teatrale e, per l’appunto, anni Ottanta, che è assolutamente rispettoso del lavoro di Gilliam, ma riesce comunque a non suonare vecchio (tutt’al più classico) proprio in virtù della qualità intrinseca del lavoro artigianale che c’è dietro.

Non è che Time Bandits sia sempre perfettamente funzionante. Non tutte le parodie sono ugualmente efficaci, e il ritmo si alza e si abbassa con qualche oscillazione di troppo.
Però è una serie che ha una cifra, uno stile, una riconoscibilità. Certo, la prende dal passato, ma la rielabora nel modo giusto, aggiornandola senza tradirla.

Pure il cast è azzeccato, con il giovane Kal-El Tuck (giuro, si chiama così, un piccolo Superman) bravissimo nei panni teneri ma anche pedanti di Kevin; con Lisa Kudrow che non deve fare nulla di diverso rispetto a Friends, visto che Phoebe già pareva un personaggio di Gilliam; con Clement e Waititi che si ritagliano degli adorabili personaggi super potenti e super sciocchi, come si addice alle persone che hanno effettivamente potere supremo sulla serie.

È difficile pensare che Time Bandits possa spaccare tutto e diventare una serie famosissima: il suo stile e la sua genesi, e pure il suo mix di generi, la rendono quasi subito un prodotto di nicchia. Però è una piccola gemma, uno sbuffo di festosa creatività in un’estate altrimenti troppo calda per essere vera.
Approvata.

Perché seguire Time Bandits: è una comedy fantasiosa e fresca, che omaggia con gusto e umiltà il suo antico predecessore.
Perché mollare Time Bandits: ha uno stile comico e visivo molto particolare, che può non piacere a tutti.



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