26 Luglio 2024

Those About to Die – Non può bastare Anthony Hopkins di Diego Castelli

Su Prime Video una serie di grandi ambiziosi e, purtroppo, risultati modesti

Pilot

Forse non arriva al livello di Candy e Love & Death, due serie incentrate sulla stessa identica vicenda di cronaca nera, arrivate a distanza di circa sei mesi fra l’ottobre del 2022 e il maggio del 2023.
Però anche la coincidenza di oggi non è male.

Pochissimi mesi prima dell’uscita di Gladiator II, sequel del famosissimo Il Gladiatore, atteso nelle sale per il prossimo novembre, sono arrivati su Prime Video i dieci episodi della prima stagione di Those About to Die, che è tratta dallo stesso romanzo di Daniel P. Mannix che aveva ispirato il film di Ridley Scott, e che si intitolava proprio “Those about to Die”, traduzione inglese del famoso motto “morituri te salutant”, che la tradizione attribuisce ai gladiatori che salutavano l’imperatore prima di combattere nell’arena (che poi questa cosa succedesse davvero, è un altro discorso).

Quindi insomma, se volessimo fare un certo effetto, potremmo dire: la serie su Il Gladiatore prima del seguito de Il Gladiatore.
Poi non è esattamente così, ma chi sono io per non accettare una fake news particolarmente gustosa?

Si tratta di una fake news nella misura in cui no, non è la serie su Il Gladiatore, con gli stessi personaggi e la stessa storia. Si tratta però di uno show che prende le mosse dallo stesso materiale di partenza, per riportare in auge un genere che, in realtà, è stato un caposaldo della cinematografia mondiale per molti anni, anche e soprattutto quando Mannix scriveva il suo romanzo: il peplum, il sottogenere del cinema storico riferito agli avvenimenti, più o meno realistici, dell’antica Roma, o dell’antica Grecia, o delle vicende della Bibbia.

Da questo punto di vista, Those About to Die propone tutti gli ingredienti che ci saremmo aspettati, ovviamente aggiornati al 2024: ecco allora un ricco sistema di personaggi, ognuno proveniente da un diverso background, tutti pronti a tuffarsi negli intrighi politici, affaristici e militari della Roma dell’Imperatore Flavio Vespasiano (interprato dal plurimo premio Oscar Anthony Hopkins).

Abbiamo i figli dell’imperatore che aspettano di sapere chi dei due erediterà il regno (e pronti a darsi battaglia per averlo). Poi c’è uno dei maggiori allibratori della città (interpretato dall’ex Ramsay Bolton di Game of Thrones, Iwan Rheon) che punta a fondare una sua scuderia per la corsa delle bighe, facendo enormi profitti. C’è la famiglia di schiavi catturata in Africa, e in cui la madre e il figlio maschio tentano, in modi diversi, di riacquistare la libertà e liberare le sorelle più giovani.

Il tutto, ovviamente, con una buona dose di violenza, combattimenti nell’arena, un sacco di corse al Circo Massimo, e via dicendo.

Al primo impatto, Those About to Die sembrerebbe avere tutto quello che serve per diventare una serie di successo.
Dal punto di vista produttivo, non ci sono dubbi sul fatto che ci siano dietro buoni mezzi. C’è la regia di Roland Emmerich, padre di Independence Day e veterano dei grandi blockbuster hollywoodiani, e si vede il tentativo di costruire uno show che sia “grandioso”: l’antica Roma ricostruita al computer in tutto il suo splendore; una certa ricerca fotografica per sfruttare i limiti dell’illuminazione dell’epoca in chiave artistica (con tutte quelle luci di taglio che entrano dalle finestre); un buon numero di scene d’azione super pompate, fra decine di cavalli, colossei riempiti d’acqua e leoni bianchi pronti a mangiarsi i gladiatori.

Sul fronte della sceneggiatura, poi, è stato ingaggiato uno come Robert Rodat, già candidato all’oscar per il copione di Salvate il Soldato Ryan, e creatore di Falling Skies, la serie fantascientifica di TNT, conclusa nel 2015.

Se a questo aggiungete quelle due o tre facce note di cui già abbiamo parlato (anche sapendo da subito che Anthony Hopkins non sarebbe stato costantemente in video… è pur sempre Anthony Hopkins), e pure qualche nome italiano che magari ci fa pure piacere rivedere, tipo Gabriella Pession, ecco che dovremmo avere esattamente quello che ci serve.
O forse no?

Purtroppo, a uno sguardo più attento (ma nemmeno così attento), tutta questa bella costruzione mostra ogni genere di crepa.

È vero che Those About to Die ha un impianto visivo piuttosto roboante, ma è altrettanto vero che cade su alcune ingenuità poco scusabili. La serie abbonda di scene girate in green screen, in cui la ricchezza pittorica dello sfondo si amalgama male con le riprese in primo piano, con un brutto effetto da tv movie di quart’ordine.
Idem le scene con le bighe: tutto fichissimo finché il campo è largo e l’intera inquadratura è costruita in computer grafica, improvvisamente imbarazzante quando si zoomma sui personaggi, completamente staccati da tutto il resto.
E anche quella ricercata fotografia “antica”, in realtà, rende molte scene troppo buie, e finisce molto presto per sembrare soprattutto un vezzo stucchevole.

Ma è sul fronte delle sceneggiatura che Those About to Die incappa nei problemi maggiori.
Non tanto nell’articolazione in sé e per sé degli eventi e degli intrighi: niente di stupefacente, ma tutto sommato accettabile.
Il problema sono proprio i dialoghi: lontanissima dalle raffinatezze linguistiche delle produzioni di HBO tipo Game of Thrones, Those About to Die è una serie estremamente didascalica, in cui intenzioni e sentimenti dei personaggi sono costantemente spiattellati sullo schermo senza alcuna sfumatura.

Il risultato è che la supposta epica ricercata dalla serie diventa invece una retorica facilotta e pomposa, che troppo spesso scivola sui toni della soap opera dozzinale, quella in cui i fratelli si odiano, le mamme piangono, e chiunque si sente in diritto di snocciolare grandi lezioni di vita sentendosi al centro del palcoscenico. Qualcuno dovrebbe dire a Robert Rodat che non tutte le battute devono puntare a essere scritte nella pietra, e che quelle che invece lo desiderano sul serio… devono meritarlo.

Volendo ammorbidire il giudizio, potremmo forse dirci che Those About to Die cerca semplicemente di essere più generalista rispetto alle serie “alla HBO”, coerentemente col fatto che negli Stati Uniti va in onda su Peacock, forse la più generalista delle piattaforme di streaming (a parte Netflix che produce qualunque cosa).

Allo stesso tempo, se scrivi una serie con approccio generalista, ma mettendola in scena come una serie da cable (senza riuscirci del tutto, peraltro), si crea una contraddizione che finisce col far sembrare il prodotto né carne né pesce a tutti i tipi di pubblico.
Tanto più che, sul fronte antica Roma, ci sono effettivamente dei termini di paragone poco lusinghieri: la Rome di Bruno Heller per HBO era scritta molto meglio, mentre la Spartacus di Starz, che rinunciava al realismo della rappresentazione spostando il focus sulla forza plastica delle sue immagini (sotto la forte influenza di 300), risultava molto più coinvolgente e ardita (e stiamo parlando del 2010, cioè un’era geologica fa, televisivamente parlando).

Insomma, Those About to Die è una montagna che partorisce un topolino. Grandi mezzi tecnici, un casting ambizioso, la chiara volontà di fare qualcosa di “grosso”, che si faccia notare, che faccia parlare di sé, e il risultato è però troppo medio, o medio-basso, per lasciare veramente il segno.
Non è tutto da buttare, né è impossibile divertirsi. Ma le premesse suggerivano tutt’altra resa.

Ah, a proposito: non lo sottolineiamo spesso perché diamo per scontato di consigliare sempre la versione in lingua originale delle serie che guardiamo. Con Those About to Die, però, bisogna specificarlo: il doppiaggio è abbastanza terrificante, proprio in termini di interpretazione, e gli attori/attrici italiani che si auto-doppiano non fanno per niente una bella figura. Tenete attivo l’inglese, nel caso.

Perché seguire Those about to Die: se l’ambientazione vi piace, non ci sono molte serie a tema, e i soldi spesi tutto sommato si vedono.
Perché mollare Those About to Die: che si parli della resa sullo schermo o della sceneggiatura, è una serie che quasi mai riesce a dare quello che vorrebbe.



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