23 Luglio 2024

Lady in the Lake – Su Apple Tv+ la prima serie con Natalie Portman di Diego Castelli

Lady in the Lake racconta una storia di crimine violento che diventa la scusa per dipingere un intero mondo

Pilot

C’è stato un tempo in cui la tv era serie B e basta. Non che le star del piccolo schermo non fossero star “sul serio”, né la serialità televisiva era trattata a pesci in faccia da qualunque critico. Però insomma, il cinema era un’altra cosa: l’attore/attrice che faceva il salto verso il grande schermo aveva vinto nella vita, mentre chi faceva il percorso inverso doveva farsi qualche domanda.

Oggi non è più così, o lo è molto meno, e ci sono grandi volti che fanno tranquillamente avanti e indietro fra i due mezzi. Allo stesso tempo, però, mi immagino che certi interpreti, specie quelli che si portano dietro quell’aura mistica da grande cinema, magari corredata da uno o più oscar, si facciano più di una domanda prima di tentare con le serie tv, magari aspettando il momento giusto, il progetto adatto, la storia che li convinca appieno.

E probabilmente è andata così anche per Natalie Portman – premio oscar per Il Cigno Nero e star del cinema fin dai tempi di Léon, quando era una ragazzina – che in vita sua, a 43 anni compiuti, non aveva mai partecipato a una serie tv da protagonista, prestando solo la voce per qualche comparsata animata.
Alla fine, la sua scelta è caduta su Lady in The Lake, nuova serie di Apple Tv+ che, dopo due episodi, ci svela parecchio dei motivi dietro la decisione della buona Natalie: sembra cinema.

Creata da Alma Har’el sulla base del romanzo di Laura Lippman (a sua volta molto liberamente ispirato a fatti realmente accaduti), Lady in the Lake racconta la storia Maddie Schwartz (Portman), moglie e madre di famiglia, che in gioventù aveva coltivato sogni da giornalista investigativa poi accantonati a favore (o per colpa) di una vita più morigerata e tutta inserita nelle regole e nelle tradizioni della comunità ebraica di cui fa parte, nella Baltimora degli anni Sessanta.

Turbata dalla storia di una ragazzina scomparsa, probabilmente morta, Maddie sente però riaccendersi il sacro fuoco del giornalismo, che finirà poi lo scontrarsi con una storia che la serie ci mette davanti fin dal primo minuto, cioè la morte di Cleo Johnson (la Moses Ingram di The Queen’s Gambit e Obi Wan Kenobi), che appartiene a una comunità diversa da quella di Maddie, ma altrettanto chiusa e rigidamente regolamentata, cioè quella degli afroamericani.

È proprio Cleo a raccontare la vicenda, con una voce narrante “impossibile” che punta a descrivere la propria storia, ma anche e soprattutto quella di Maddie, chiamata a un percorso di emancipazione che va ben oltre la semplice indagine su un crimine violento.

Per certi versi, Lady in the Lake è una serie con una doppia anima.
Dal punto di vista visivo, e come accennato all’inizio, è un prodotto che cerca fortemente il cinema. Lo vediamo non solo nel casting di una premio oscar come protagonista, ma anche nei mezzi produttivi (con grande sfoggio di scenografie d’epoca, costumi, oggettistica, numero di comparse), e soprattutto in uno sguardo che rifiuta di appoggiarsi alla sola sceneggiatura per raccontare le proprie vicende ed emozioni, affidandosi anche, e a volte soprattutto, alla messa in scena.

Non ci sono clamorosi voli pindarici, non stiamo parlando di cinema sperimentale, ma più semplicemente di mettere sullo schermo delle immagini che significhino di per sé, che emozionino con uno sguardo o un gesto, che creino parallelismi fra vite molto diverse attraverso l’uso del montaggio e di composizioni che si richiamino continuamente.
C’è molto, in Lady in the Lake, che non viene “detto”, ma che si capisce guardando e ascoltando.

Allo stesso tempo, e senza che ci sia alcuna contraddizione, la sceneggiatura della serie è molto esplicita sia nel fondare la narrazione su un fatto preciso (la morte di Cleo), sia nel costruire questo doppio binario in cui inserire la vita delle due protagoniste.

Pur venendo a sapere della morte di Cleo alla prima scena, non vediamo il delitto per tutte e due le puntate iniziali, in cui le due protagoniste sono messe una accanto all’altra per sottolinearne le differenze ma anche le evidenti similarità.
Se i mondi da cui provengono sono significativamente diversi (da una parte la ricca comunità ebraica, borghese e altolocata, dall’altra i neri dei bassifondi, invischiati con la criminalità e i localacci), le sfide di Maddie e Cleo sono sorprendentemente simili: entrambe vivono una vita ingabbiata, eterodiretta, influenzata e gestita da uomini che, per supremazia fisica o dettami religiosi, pretendono di sapere cosa è meglio per loro e come dovrebbero comportarsi.

Ci vuole molto poco perché Lady in the Lake sveli la sua vera natura: l’investigazione è più che altro un pretesto, perché il vero obiettivo è la ricostruzione di un intero mondo fatto di regole, sogni, prevaricazioni, pesi e contrappesi, che mette sullo stesso piano due donne così diverse, ma accomunate da un’identità spinta verso l’autoaffermazione, rigorosamente ostacolata da chi detiene il potere sulle loro vite e i loro corpi.

È questo il motivo per cui, nelle prime due puntate che abbiamo visto finora, i momenti più emozionanti non sono quelli legati al crimine (e peraltro il delitto vero, quello ai danni di Cleo, manco si vede ancora), ma proprio quelli che raccontano la vita delle due donne.

E se l’esistenza di Cleo sicuramente ci colpisce, così improntata sulla difesa del figlio dalle grinfie di bande e gangster che vorrebbero portarlo su una cattiva strada che è poi la stessa Cleo a dover seguire contro la sua volontà, a sorprenderci con più forza è proprio la vicenda di Maddie, per la quale la sua stessa casa, abitata da un marito apparentemente gentile ma anche estremamente rigido e “viscido”, e da un figlio che sta imparando dal padre il totale disprezzo per le donne, diventa ben presto una prigione esistenziale da cui fuggire il prima possibile.

La storia di Maddie è la più riuscita perché ci mostra le insidie di una costrizione non violenta, eppure profondamente patriarcale: nessuno la picchia o la umilia pubblicamente, tutti sembrano rispettarla come membro importante della comunità. Eppure, nessuna possibilità di scelta le è effettivamente garantita: tutto va bene finché Maddie fa la brava moglie e la brava madre, ma nell’esatto momento in cui prova ad avanzare qualche aspirazione personale, che esca dal concetto di servizio verso qualcun altro, ecco che la comunità in cui vive si trasforma in una foresta di occhi che la guardano storto, che la giudicano, che la etichettano come quella che crea inutili casini, che combatte senza motivo contro un ordine millenario che ha sempre funzionato benissimo.

Facile immaginare che proprio questo desiderio di riscatto troverà nella morte di Cleo (e prima ancora nella scomparsa di una giovane ragazza ebrea, Tessie Durst) un motivo di ulteriore accensione per Maddie, la cui missione non sarà più solo personale, bensì diretta a una giustizia femminile che per Cleo potrà essere solo postuma, ma che avrà comunque un valore.

Il tutto, naturalmente, mentre assisteremo a un’attività investigativa che non potrà essere condotta da un detective ombroso e autodistruttivo, ma a cui si passa tutto perché è affascinante e carismatico, bensì da una donna molto bella e precisina, ma che avendo avuto l’ardine di alzare la testa verrà sbeffeggiata e intralciata in ogni modo.

Lo schema, insomma, è abbastanza chiaro, e tutti gli strumenti in mano all’autrice concorrono a costruire contemporaneamente la trama gialla ma anche e soprattutto questa grande cappa soffocante, calata sulla testa della protagonista.

Se vogliamo trovare un difetto, in due primi episodi complessivamente di alta qualità, va cercato proprio in quell’equilibrio fra le due direttrici della serie, che appare un po’ troppo sbilanciato verso il world building.

Per dirla in altro modo, Lady in the Lake è sì una storia di riscatto femminile centrata e legittima, più compiuta di tante altre storie recenti che sentivano il bisogno di flaggare l’etichetta inclusiva senza sapere esattamente come fare. Ma è anche una serie che effettivamente ci attrae con la prospettiva del giallo, della violenza, delle emozioni forti, che nei primi due episodi vengono costantemente rimandate.

Dopo un’ora e cinquanta minuti complessivi di “esordio”, abbiamo sicuramente un’idea chiara e precisa del mondo in cui ci muoviamo e del sistema di valori e disvalori in cui ci viene chiesto di immergerci. Ma ci resta anche l’impressione che la storia non sia ancora davvero “partita”, cosa che nelle serie tv, specie quelle che si offrono agli spettatori alla vecchia maniera, con un episodio a settimana, non può non rappresentare un problema.

Va detto che questo approccio si può spiegare anche con una certa fiducia, da parte di Apple Tv+, nel fatto che ormai i suoi spettatori e spettatrici sanno che della piattaforma ci si può tendenzialmente fidare, che ormai sono numerosi i prodotti seriali di qualità offerti dalla Mela, e che la stessa natura “miniseriale” di Lady in the Lake garantisce che l’inizio molto preparatorio non potrà tradursi in un’intera stagione di attesa, per il semplice fatto che non ce ne saranno altre.

Spero comunque che, nei cinque episodi che rimangono, sappia emozionarci davvero, visceralmente, così da usare quelle stesse emozioni per imprimerci bene nella mente un affresco evidentemente prezioso, ma che senza un po’ di batticuore si scolpirebbe con meno forza nella nostra memoria.
Al momento, comunque, ha senso essere ottimisti.

Perché seguire Lady in the Lake: per l’impianto riccamente cinematografico, lo sguardo preciso e consapevole, e per Natalie Portman.
Perché mollare Lady in the Lake: se siete qui per il crime duro e puro, Lady in the Lake parla soprattutto di altro.



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