The Boys 4 season finale – La stagione dell’attesa di Diego Castelli
Come immaginato dopo i primi episodio, la quarta stagione di The Boys è sembrata meno pimpante: stava aspettando la quinta
ATTENZIONE! SPOILER SU TUTTA LA QUARTA STAGIONE!
Se siete fra le persone che non ci seguono solo sul sito, ma anche nei podcast e/o su Tiktok, avrete già sentito esprimere questo concetto più di una volta: la quarta stagione di The Boys, più delle precedenti, ci è sembrata una stagione preparatoria per quella successiva, già annunciata come l’ultima.
È un’impressione che è andata rafforzandosi nel corso delle settimane, per alcuni dettagli che rivedremo fra poco, e che il finale, pur abbastanza denso di eventi, non ha fatto altro che confermare.
Non che gli autori avessero questo esatto obiettivo, probabilmente, ma è una cosa che nelle serie tv accade spesso, specie in quelle così “piene”, da fare sempre più fatica a reggere la propria stessa potenza di fuoco.
Non sarebbe difficile identificare le precedenti stagioni di The Boys con pochissimi tratti, facce, concetti, capaci di imporsi all’attenzione con grande forza.
La prima stagione… vabbè, è la prima stagione, dove tutto è nuovo, originale, figo. La seconda stagione è soprattutto quella di Stormfront e della lotta a un nazismo grottesco e tamarro. La terza stagione è quella di Soldier Boy e del Temp V, che equipaggia anche i protagonisti umani con poteri soprannaturali.
Sono stagioni che in qualche modo crescono, alzando sempre la posta, fino ad arrivare a una terza in cui l’esplosione dei poteri e della mescolanza fra passato e presente crea un affresco particolarmente ricco e pieno di tensione, perché ci dà in ogni momento l’impressione (artificiale, ma funzionante) di essere vicini alla fine di tutto.
Da questo punto di vista, la quarta stagione è un passo indietro quasi inevitabile. Nel momento in cui i boys perdono i poteri, tornando letteralmente “dove erano prima”, si genera un de-potenziamento (mi si perdoni il gioco di parole) che a sua volta fa emergere con più forza un tema/problema che The Boys si porta dietro dalla stagione 1, e che in questa è sembrato più pressante di altre volte.
Parliamo del fatto che gli sceneggiatori devono trovare sempre nuovi motivi per giustificare il fatto che Homelander, un cattivo con poteri quasi divini a cui nessuno può davvero opporsi, non decida semplicemente di uccidere i suoi nemici e non pensarci più.
In alcuni casi, le motivazioni sembrano reggere, come quando Homelander non vuole uccidere Butcher di fronte al figlio Ryan, sapendo che il ragazzo non la prenderebbe bene. Altre volte, invece, il problema si pone in maniera più vistosa, come quando lo stesso Homelander, effettivamente intenzionato a uccidere Butcher e compagnia, manda al loro ufficio Black Noir e Deep, una soluzione che suona proprio come “mandiamo gente che possa offrire una sfida, ma anche perdere, altrimenti la serie finisce”.
Questa difficoltà “logica” nel tenere tutte le pedine in campo, mantenendo lo status quo, è uno degli inghippi maggiori di questa stagione, e uno dei freni più vistosi alla sua possibilità di progredire.
In realtà, dei personaggi nuovi ci sarebbero pure. Nelle intenzione degli autori, dopo Stormfront e Soldier Boy, questa dovrebbe essere la stagione di Sage e Firecracker (e almeno in parte di Joe, interpretato dal sempre fighissimo Jeffrey Dean Morgan).
E in parte lo è: la quarta stagione di The Boys è quella più esplicitamente politica, quella in cui viene messa in scena un’evidente parodia del trumpismo e della destra americana più reazionaria, complottara e ignorante. In questo contesto, la figura dell’influencer impresentabile e disagiata (Firecracker), della consulente super scaltra (Sage), e dell’uomo della CIA che i complotti li vuole ordire davvero, ci starebbero a pennello.
Arriva però un problema di forza. Firecracker tutto sommato funziona: non è un personaggio “potente”, che partecipi delle lotte fisiche tipiche del supereroismo, ma è certamente una figura che scatena passioni forti e che arriva a livelli di grottesco e malinconico piuttosto convincenti (tutta la storia delle medicine per produrre latte dal seno per conquistare Homelander).
Sage, al contrario, è un personaggio deludente. Ci viene presentata come la persona più intelligente del pianeta, ma questa cosa ci viene quasi sempre detta e quasi mai mostrata. Sì, percepiamo il suo acume politico, e nell’ultimo episodio veniamo a sapere (con poca sorpresa) che “aveva previsto tutto”, ma se un personaggio si porta dietro quell’ingombrante etichetta, la sua intelligenza deve essere evidente quanto un raggio laser dagli occhi o la superforza: diventa una questione di scrittura, che qui manca quasi sempre l’obiettivo, trasformando una che dovrebbe farci l’effetto di Sherlock, in una generica cattiva che non vede l’ora di lobotomizzarsi per non pensare, e le cui motivazioni verso il Male sono quanto meno fumose.
Per quanto riguarda Joe, poi, il suo lo fa, ma la sorpresa che lo rivela come parto della mente di Butcher gli tolte consistenza quasi nel senso letterale del termine.
Insomma, un po’ per difficoltà nel far progredire la storia oltre un punto di non ritorno che non può arrivare troppo presto, un po’ per qualche errore nella costruzione e nello sviluppo dei personaggi nuovi, e questo ciclo di episodi finisce col sembrare una stagione di transizione, dove certamente ci sono degli sviluppi, ma dove la maggior parte dei personaggi, fino alle ultimissime scene, non cambia granché il proprio stato e la propria funzione.
A contribuire a questo senso di melina, ci sono anche alcune scelte narrative molto fini a se stesse, che alla fine della stagione ci sembrano concepite solo per allungare il brodo. Penso all’avventura bisex di Frenchie, che è solo una parentesi prima che possa tornare con Kimiko. Ma anche la vicenda del padre di Hughie è stata gestita in modo molto molto rapido (con Hughie che passa in pochissimo tempo dal voler salvare il padre a tutti i costi, a somministrargli un’eutanasia perfino frettolosa). Nessuna di queste storie ha conseguenze reali e di lungo periodo, col risultato di sembrare solo delle parentesi tanto per.
Poi certo, non serve nemmeno andarci giù troppo pesante.
The Boys è una serie piena di personaggi carismatici, di grottesca creatività, di sorprese sfiziose o simpatiche.
Così, un episodio altrimenti medio può essere elevato da una singola idea memorabile che ci rimarrà per sempre in testa (penso alle pecore mannare).
Allo stesso modo, un concetto supereroistico molto conosciuto, come quello dei mutaforma, può subire una riverniciata in stile The Boys che da sola basta per farlo diventare riconoscibile e interessante: il fatto che la/lo shapeshifter di questa serie si stracci di dosso la carne e la pelle della persona che vuole sostituire, è già di per sé un’idea vincente, dal puro punto di vista visivo.
Allo stesso modo, quando questo tiki taka vagamente improduttivo si avvicina alla fine, ecco che la serie più rialzare il tono e far succedere cose importanti, sapendo che sta arrivando il momento di togliere il piede dal freno e metterlo sull’acceleratore.
In questo senso, il finale è un buon episodio, probabilmente il migliore della stagione.
La conquista di un sommo potere politico, tanto ufficioso quanto de facto, da parte di Homelander. Il fallimento del progetto di Butcher di portare Ryan dalla sua parte, con la conseguente morte di Grace e fuga del ragazzo, che chissà ora cosa ci combinerà. La morte di Neuman, che era stata appena smascherata da Homelander e finisce poi squartata da un Butcher tornato “super”, ma anche parecchio inquietante.
E naturalmente il doppio finale pre e post titoli di coda, in cui Homelander, supportato dai ragazzi cattivi di Gen V, riesce a mettere le mani su molti dei nostri e a costituire uno stato di polizia, per poi trovarsi di fronte al corpo di Soldier Boy, che evidentemente tornerà nella stagione finale.
Questi sono tutti elementi forti, pezzi importanti del puzzle che, finalmente, smuovono davvero le acque, cambiando la situazione politica e militare in cui si muovono i protagonisti. Su superano confini finora sfumati, si stravolge lo status quo, si lasciano tutti i personaggi in posti diversi rispetto a dove stavano fino a 60-70 minuti prima.
Questo non basta a farci rivalutare l’intera stagione, che resta inferiore alle precedenti. Non inferiore nel senso di “orrenda”, ma nel senso di trattenuta, meno sorprendente.
Poi certo, quando decide di fare reali passi avanti, The Boys è sempre The Boys, e la quarta stagione ci lascia con la piacevole sensazione che nella quinta possa succedere davvero di tutto. Magari si poteva fare tutto già quest’anno, ma a questo punto tanto vale non pensarci più e far partire il toto morti in vista della fine.
Meglio non affezionarsi a nessuno.