Sunny – Robot e dark comedy su Apple Tv+ di Diego Castelli
In Sunny, la nostra amata Rashida Jones è alle prese con un mistero misterioso in Giappone, con l’unico aiuto di un androide puccioso
Una delle grandi domande della contemporaneità è: se le IA avessero un corpo, ci faremmo sesso?
La risposta è “ovviamente sì”, e mi fa piacere che Sunny, nuova serie di Apple Tv+, risponda al quesito già nei primi due episodi, così da potersi poi concentrare anche su altri argomenti.
Creata da Katie Robbins, tratta dal romanzo “The Dark Manual” di Colin O’Sullivan, e interpretato dalla nostra amatissima Rashida Jones (veterana di The Office e Parks and Recreation) Sunny è pure il nuovo titolo a uscire dall’ormai famosissima A24, la casa di produzione di Everything Everywhere All at Once e Beef, cioè l’etichetta che, negli ultimi anni, ha firmato un sacco di prodotti strambi e ambiziosi, alcuni ottimi, altri meno, ma sempre con l’idea di non accontentarsi delle “solite cose”.
E così Sunny è tecnicamente una commedia, ma anche un mystery, ma anche un’esplorazione fantascientifica del nostro rapporto con la tecnologia, e pure una specie di Lost in Translation del 2024.
Nei primi due episodi disponibili al momento di scrivere questa recensione, Sunny va dritto al sodo della storia.
Protagonista è Suzie (Rashida Jones), che qualche anno fa si è trasferita in Giappone in cerca di solitudine e riflessione, e invece ha trovato un marito con cui ha fatto un figlio. I due ora sono entrambi scomparsi, forse morti, in un terribile incidente aereo, e Suzie deve fare i conti con una terribile perdita per la quale una puntigliosa suocera non è esattamente la miglior compagna di lutto possibile.
A sorpresa, però, ne arriva un’altra: a insaputa di Suzie, che lo credeva un banale tecnico di frigoriferi, suo marito era invece un esperto di intelligenza artificiale, e l’azienda per cui lavorava recapita a casa della vedova una robot tuttofare (la “Sunny” del titolo) che è stata progettata apposta dal defunto Masa per servire Suzie al meglio possibile.
Naturalmente, la donna non è poi così entusiasta di avere in casa questa novità così invadente, ma il mistero sulla vera professione del marito, unito alla possibilità che altri segreti inconfessabili si nascondano dietro l’immagine di tranquillo e onesto lavoratore in una tranquilla e onesta azienda, fanno sì che Suzie si metta a indagare, con l’aiuto di una Sunny che potrebbe essere molto più utile del previsto.
Considerando che Sunny inizia con la morte (presunta) di un marito e di un figlio piccolo, capite perché bisogna aggiunge “dark” al concetto di “comedy” nei materiali promozionali della serie.
Ma il tema non è quello dello scherzare sulla morte. È proprio che Sunny vive di sfumature. La storia di Suzie è una storia di dolore, ma anche di spaesamento, per lei che è un’americana che non è mai davvero riuscita a integrarsi nella cultura giapponese. Uno spaesamento che contribuisce alla sua acuta solutidine al momento dell’incidente.
Allo stesso tempo, è proprio quello spaesamento che conduce la vicenda di Suzie nei territori del buffo, con quella suocera petulante, il collega di suo marito che sembra non capire nulla dei sentimenti della vedova, il corso di gestione del lutto che sembra preso da un film di Fantozzi girato però da Sophia Coppola.
Come accennato, il mondo di Sunny assomiglia a quello di Lost in Translation nella misura in cui Suzie si trova sola in un Giappone che non è mai stato davvero “casa sua”, ma solo il posto che le ha regalato le due persone che più amava nella vita. Un posto che, ora, diventa teatro di un’indagine surreale in cui Suzie si muove goffamente, rendendo per questo perfetto il cast di Rashida Jones, appartenente a quel piccolo mondo delle “comiche belle”, che fa sempre quell’effetto di malinconica tenerezza, di divertimento mai sguaiato e sempre affettuoso (anche i “comici belli” sono diversi dai comici tradizionali, ma per altri motivi).
Ovviamente, le diverse anime della serie confluiscono ed esplodono in Sunny, nel senso del robot. A seconda della scena, delle luci, del montaggio, Sunny può diventare fonte di tenerezza, con la sua faccia digitale pucciosa, di comicità fresca e quasi infantile (come quando si impalla di fronte agli screensaver come se avesse fumato una canna), perfino di improvvisi picchi di thriller-horror, quando (specie all’inizio) compare dal nulla accanto a Suzie dandoci l’impressione che, se diventasse violenta, sarebbe un bel casino (e naturalmente di robot violenti, in questa serie, ce ne sono e ci saranno).
In ogni caso, e non credo di fare un grande spoiler perché si capisce anche dal trailer, questi due episodi puntano inevitabilmente nella direzione di una bizzarra “sisterhood”, un’alleanza molto al femminile fra una donna e un’amica virtuale che il marito defunto ha concepito per lei, e che insieme formano una stranissima versione Holmes e Watson, sulle tracce di oscure verità.
Una serie come questa, poi, si porta dietro un po’ di potenziale filosofico per quanto riguarda la relazione fra umani e macchine, che in questi due primi episodi non è ancora particolarmente approfondita, ma che sicuramente diventerà più centrale con l’andare delle puntate.
E non perché Sunny sia una serie particolarmente realistica dal punto di vista scientifico, anzi ha un che di fiabesco che sembra allontanarla presto dalla fantascienza più rigorosa. Ma perché proprio in quel fiabesco, in cui più facilmente si sfuma il confine fra ciò che è umano e ciò che non lo è, Sunny può trovare il modo di raccontare le opportunità e i rischi di una tecnologia che, fra alexe e gpt varie, tendiamo a considerare sempre più simile a noi, sempre più capace di rispondere ai nostri bisogni non solo materiali, ma anche emotivi, quegli stessi bisogni che Suzie non riusciva a soddisfare prima di andare in Giappone, e che ora sono rimasti appesi dopo l’incidente.
Il “manuale oscuro” del titolo del romanzo non è altro che un fantomatico libretto di istruzioni con cui penetrare nelle IA per scoprirne i più reconditi segreti e, più o meno esplicitamente, scatenarne tutte le possibilità, in una prospettiva che la serie lascia volutamente in una cornice di fascinazione ma anche di inquietudine.
Sono due buoni episodi. Ormai sapete come a Serial Minds amiamo le sperimentazioni e le ibridazioni di genere, per lo meno quando sono guidate da un’idea precisa e da uno stile coerente.
Sunny sembra rientrare in questa casistica, con due puntate che possono suonare molto “strane”, ma mai “a caso”, perché il loro racconto dolceamaro – così dondolante fra il racconto di un lutto e il desiderio di giustizia, fra paura del nuovo e necessità di uscire dal guscio per ottenere ciò che si desidera – è palesemente gestito con mano salda e occhio attento.
Poi certo, tutto può migliorare ma anche peggiorare, e la dolorosa differenza fra l’esordio e lo sviluppo di un’altra recente serie fantasy/sci-fi/comedy di Apple Tv+, cioè The Big Door Prize, dovrebbe invitarci alla cautela.
Però voglio essere ottimista, perché questi primi due episodi hanno saputo toccare corde giuste, senza suscitare emozioni dirompenti, ma dando l’impressione di avere qualcosa da dire e di sapere come dirlo.
Stiamo a vedere.
Perché seguire Sunny: il suo miscuglio di generi appare più ricco che disordinato, e l’accoppiata A24-Rashida Jones ci impone attenzione.
Perché mollare Sunny: Se l’idea di un’amicizia umana-androide vi sembra troppo anni Ottanta, e volete seppellirli con la vostra infanzia.