1 Luglio 2024

My Lady Jane – Il goffo anti-Bridgerton di Prime Video di Diego Castelli

La Storia presa come viene, un sacco di bandierine piazzate ovunque, l’approccio pop-pruriginoso. Uff, che fatica.

Pilot

Mentre guardavo i primi quattro episodi di My Lady Jane (non li ho visti tutti e non ne ho intenzione, vi prego non costringetemi), non ho potuto fare a meno di figurarmi le alte sfere di Prime Video in preda allo struggimento di fronte al successo di Bridgerton su Netflix.
Com’è possibile, si saranno chiesti, che così tanta gente si metta a guardare questa cagatona zuccherosa? Ma soprattutto, perché noi non ce l’abbiamo?

Non vedo altro possibile motivo per produrre My Lady Jane, che avrà pure lei la sua origine letteraria (dal romanzo di Cynthia Hand), ma la cui natura televisiva di “anti-Bridgerton” è quanto mai palese: un’altra serie ambientata in un contesto storico inglese opportunamente aggiornato e rivisitato senza troppo rispetto per la Storia e molto per l’inclusività, in cui si parla di amori, intrighi di corte e gossip vario, con protagoniste fanciulle desiderose di indipendenza e riscatto sociale, il tutto raccontato con un tono leggero, esplicitamente pop, con robuste dose di prurigine.

Poi certo, My Lady Jane ci mette anche il carico fantasy, ma a quel punto vale tutto.
Che poi no, non vale proprio “tutto”, perché un conto sono le intenzioni, e un conto il risultato finale.

My Lady Jane, creata da Gemma Burgess (a sua volta autrice letteraria di romanzi “new adult”, che in pratica sono gli Young Adult ma non così young) racconta un preciso momento della Storia inglese, con però un importante twist (anzi due).

Siamo più o meno alla metà del Cinquecento, e sul trono d’Inghilterra siede Edoardo VI, unico figlio maschio di Enrico VIII, il famosissimo sovrano Tudor che, per i suoi desideri amorosi e matrimoniali (vi ricordate Anna Bolena e tutta quella faccenda lì?) diede vita a un vero e proprio scisma religioso, fondando la Chiesa Anglicana in aperta polemica col papato cattolico di Roma.
Se guardiamo alla realtà dei fatti, Edoardo era un ragazzino che morì molto presto, e a cui succedette, dopo un certo numero di manovre di palazzo, sua cugina Jane Grey, che però rimase regina per pochissimi giorni, per poi essere detronizzata e uccisa dalla sorella maggiore di Edoardo, Maria, che sarebbe poi passata alla storia come Maria la Sanguinaria (la Bloody Mary dei drink). Dopo Maria sarebbe stata la volta di sua sorella Elisabetta (cioè Elisabetta I, quella dei film con Judi Dench e Cate Blanchett), dopo la quale la dinastia dei Tudor si sarebbe definitivamente estinta.

Ebbene, My Lady Jane si inserisce in questa storia così ben codificata, per storcere un punto fondamentale: Jane Grey sale effettivamente al trono dopo la morte del cugino Edoardo, ma non viene uccisa dopo dopo giorni. Un po’ il classico “what if”.

Diciamoci subito, però, che parliamo di un what if ben lungi dall’essere un’ipotesi storica rigorosamente analizzata. Tutt’altro: la figura di Jane Grey, diventata regina a diciassette anni, diventa il pretesto per raccontare una storia di adolescenza ribelle, di contrasto fra sogni di indipendenza e responsabilità familiari e istituzionali, e ovviamente di primi amori travolgenti.

Ma non solo. Manca ancora il twist fantasy che, più che what if, suona come un what the fuck. Se nella realtà lo scontro feroce in seno alla famiglia reale era quello fra cattolici e anglicani, con Maria che voleva ribaltare lo scisma del padre per riportare il regno al cattolicesimo (senza peraltro riuscirci) e non disdegnando omicidi ed esecuzioni sommarie, in My Lady Jane tutta questa tensione religiosa svanisce, sostituita da qualcosa di simile nelle dinamiche, ma radicalmente diversa nella pratica: nel mondo della serie, infatti, accanto ai tradizionali esseri umani ci sono i cosiddetti “etiani”, che sono in pratica dei mutaforma, persone che, a comando, possono tramutarsi in uno specifico animale.

In questo contesto, Maria è ancora la cattiva, la “sanguinaria”, ma non perché è una cattolica che ce l’ha su con gli eretici, bensì una razzista che vuole lo sterminio della minoranza etiana.

In questi ultimi anni, quello delle rivisitazioni storiche, delle reinterpretazioni del già vissuto, delle visioni del passato filtrate attraverso le categorie del presente, sta diventando un tema artistico che è evidentemente molto intrecciato con rivendicazioni politiche e culturali che non c’entrano solo con la serialità televisiva.

La famosa (o famigerata) inclusività, che inizialmente si riferiva “solo” a una maggiore rappresentazione, davanti e dietro lo schermo, di minoranze fino a quel momento relegate a ruoli marginali e/o troppo stereotipati, si è poi espansa fino a comprendere riflessioni e incarnazioni più estreme, per certi versi iconoclaste, che nei racconti storici diventano particolarmente vistose: l’idea di fondo è che se la Storia (quella con la S maiuscola) è stata ingiusta, la fiction ha nella sua natura la capacità di riparare certi torti, proprio perché, essendo finzione, può tecnicamente fare quello che vuole.

Bridgerton, che debuttò a Natale 2020, ha rappresentato uno dei primi e più vistosi esempi di questo discorso, con una storia ambientata durante la Reggenza Inglese in cui la quota di personagi neri presenti (e ben integrati) all’interno della società era assai superiore alla realtà storica cui la serie faceva riferimento. Una scelta che Bridgerton provava a spiegare sempre nei termini del what if, ma senza nemmeno troppo impegno: il concetto, semplicemente, era “noi raccontiamo questa storia qui, con questi personaggi qui, e se non vi piace potete guardare altro”.

L’operazione di Bridgerton, giusto per essere chiari, era del tutto legittima, così come legittima è quella di My Lady Jane, compresi i mutaforma magici. E questo perché, banalmente, nella finzione si può fare tutto, altrimenti non si chiamerebbe finzione.
Naturalmente, però, questa legittimità di fondo, quasi assiomatica, non c’entra nulla con la resa effettiva del prodotto, con il suo successo o insuccesso di pubblico, con la sua capacità di essere appassionante, originale e via dicendo.

Da questo punto di vista, e pur cercando di mantenere la mente il più possibile aperta come i tempi richiedono, è difficile non vedere in My Lady Jane un pastrocchione pasticciato che fatica a divertire e che sembra inciampare anche sui suoi messaggi più politici e inclusivi, che già potrebbero sembrare eccessivi in una stora che si pone come puro intrattenimento, ma se risultano pure incoerenti…

Sul fatto che My Lady Jane sia intrattenente o meno, nel senso più generale del termine, è naturalmente questione molto soggettiva, che dipende anche dal target di cui fate parte. È abbastanza chiaro che la serie non parla a me, ultra quarantenne maschio etero a cui tendono a piacere l’azione e la fantascienza più che il gossip e gli amori contrastati.

Allo stesso tempo, My Lady Jane non sembra avere da offrire chissà che di fresco e innovativo nel genere. La protagonista bramosa di indipendenza in un mondo di matrimoni combinati, la madre rigidona a cui non frega niente dei sentimenti della figlia, alcuni personaggi cattivi-cattivissimi che non avranno praticamente mai possibilità di redenzione, e una storia d’amore esplicitamente difficile e contrastata, sono solo alcuni degli ingredienti classicissimi di una serie che, pur volendo essere “distruttiva” rispetto a un certo modo di raccontare la storia, è in realtà inserita senza troppo sforzo in un genere pop-gossipparo che abbiamo già visto tante volte.

Né sembra in grado di offrire dei dialoghi, dei twist e una recitazione di livello particolarmente alto: riparandosi dietro un approccio esplicitamente commedioso che giustifica una spiccata riconoscibilità dei ruoli, My Lady Jane propone personaggi tagliati con l’accetta e caratterizzati da una-due qualità che tornano continuamente, e che diventano carburante per i conflitti più classici del genere. Ma se l’intrattenimento sta tutto e solo nei piccoli litigi, nelle botte ormonali, e in una generica impostazione pazzerrella con una recitazione molto caricata, ai limiti della parodia, insomma, io faccio fatica.

E poi c’è la questione più politica e culturale, in cui Lady Jane prova a piazzare delle bandierine “obbligatorie”, ma che alla fine faticano a trovare una loro organicità, specie in una cornice che poi il prodotto lo deve effettivamente vendere.

Non è solo questione che Edoardo è più vecchio e ben più nero della sua controparte reale. Poi certo, il fatto che i dipinti ci mostrino suo padre Enrico VIII bianco, e che lui abbia due sorelle una completamente bianca e l’altra a mezza strada, rendono il tutto quasi grottesco: se l’obiettivo è quello di dirci che il colore della pelle non lo dovremmo proprio guardare, sennò siamo razzisti, tocca rispondere che oltre alla coerenza storica ce n’è anche un’altra, molto più importante, che è quella interna al racconto. E se un fratello e due sorelle hanno tre etnie completemente diverse, peraltro diverse dalla realtà storica, un minimo di giustificazione me la devi dare, sennò io non percepisco la storia, ma solo le famose bandierine.

Ma c’è un problema ben più rilevante che riguarda la stessa protagonista Jane (che ha il volto di Emily Bader). Voler scrivere la perfetta eroina femminista, quella che cerca l’indipendenza e la libertà contro il potere patriarcale, non dovrebbe per forza finire su un personaggio per lo più odioso, monodimensionale, molto ridondante nel ripetere sempre gli stessi concetti. E se possiamo sorvolare sul fatto che pare non possa esistere un’eroina femminista che non rinneghi l’amore in quanto tale, di sicuro fa più strano vedere una serie che ha questo approccio moderno e inclusivo, e in cui poi la nostra Jane si innamora del primo belloccio stronzetto (interpretato da Edward Bluemel) che le fa fremere il basso ventre.

È in questi dettagli che diventa vistoso il contrasto fra l’intenzione inclusiva, provocatoria e dirompente (ripeto, intenzione), e il concreto di una sceneggiatura che poi deve vendersi a un pubblico di ragazzini e (soprattutto direi) ragazzine che da tempo immemore fremono sempre per le stesse cose, prima fra tutte un innamoramento ormonale in cui la propria attenzione si dà solo alle persone sbagliate (con l’idea che si riuscirà a renderle giuste), con buona pace di tutti i buoni propositi della vigilia.

Il risultato è quello di una serie che si crede super frizzante e innovativa, ma che non lo è dal punto di vista della struttura di base, non lo è nell’esagerazione inclusiva che era già stata inizata da Bridgerton e che qui semplicemente deborda oltre ogni confine ragionevole, e in fondo non lo è nemmeno nell’implementazione di un elemento fantasy che, a conti fatti, suona meno interessante di ciò che è successo davvero nella Storia: forse era proprio la realtà dei conflitti religiosi a essere ritenuta troppo scabrosa e delicata per il pubblico attuale.

Non escludo che ci sia una fetta di pubblico, quella di cui io non faccio parte per molti motivi anagrafici e biologici, che possa apprezzare la proposta di My Lady Jane, ma credo che non siamo di fronte a qualcosa che lascerà un segno particolare. Più in generale, pure in questi tempi in cui sembra valere tutto, vorrei poter conservare la possibilità di guardare una serie come questa e lasciar partire un semplice, istintivo, affettuoso: ma che è sta stronzata?

Perché seguire My Lady Jane: se vi piace tantissimo Bridgerton, potrebbe piacervi almeno in parte anche la sua copia più stupidona e confusa.
Perché mollare My Lady Jane: lo scempio che fa della Storia non è adeguatamente compensato da una sceneggiatura abbastanza creativa o divertente.



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