Il finale di Sugar e le questioni di genere (non in quel senso) di Diego Castelli
La sorpresona di metà stagione ha imposto agli spettatori di Sugar un ragionamento non banale su aspettative, elasticità, e natura umana
ATTENZIONE! SPOILER SUL FINALE!
Nel recensire, qualche settimana fa, il primo episodio di Sugar, la serie di Apple Tv+ con protagonista Colin Farrell, avevamo già messo in conto la presenza di un famigerato twistone verso la metà della stagione, che Apple presentava come potenzialmente dirompente e che chi aveva già visto gli episodi giudicava come particolarmente impattante e divisivo.
Ora che siamo arrivati alla fine della prima (e probabilmente unica) stagione di Sugar, e dopo aver visto e metabolizzato quello stesso twistone, è necessario tornare a parlare della serie per capire se quella sorpresa è stata davvero così grossa e, se sì, in che modo e in che direzione ha influenzato il nostro rapporto con lo show.
Quello che possiamo dire adesso è che sì, è stata una sorpresa a quel punto forse non del tutto “inaspettata”, ma comunque capace di imporci qualche riflessione non prevista all’interno di una serie che sembrava inserita in un solco così classico, da non necessitare pensieri ulteriori.
Da adesso, però, bisogna spoilerare, sapevatelo.
John Sugar è un alieno. Alla fine del sesto episodio (su otto complessivi), il protagonista si trova di fronte a uno specchio, si inietta una particolare droga attraverso una strana siringa, e improvvisamente diventa tutto blu e senza capelli (non senza una qualche somiglianza con Nebula de I Guardiani della Galassia, ma questo è un altro discorso).
La sorpresa non è “assoluta”, almeno se siete persone che oltre che a guardare le serie tv seguono il chiacchiericcio intorno a esse. Qualche minimo indizio nella serie c’era stato, a partire dall’appartenenza di Sugar a una strana organizzazione segreta che sosteneva di avere come massimo scopo “osservare”, ed effettivamente qualcuno in rete era arrivato alla verità, come avevamo anche detto all’interno del nostro podcast Salta Intro+.
Allo stesso tempo, inutile girarci intorno: fino a quel momento, Sugar non era stata una serie di fantascienza, era stata anzi un noir estremamente classico, al punto da mostrarci la sua passione per quel genere non solo con l’articolazione della trama, lo sviluppo dei personaggi, un’atmosfera losangelina che pareva richiamare le languide investigazioni di James Ellroy, ma perfino con esplicite citazioni cinematografiche giustificate dalla passione del protagonista per il grande schermo.
Che dobbiamo pensare, dunque, di una serie che si “vende” in un certo modo per più di metà del suo percorso, salvo poi imprimere una sterzata così forte?
Non è un caso che siano state molte le persone che, dopo quella singola scena di fronte allo specchio, hanno manifestato una repulsione istintiva e immediata, il più classico dei “ma che cagata sto guardando?”
Quella risposta istintiva, naturalmente, resta legittima in sé e per sé, ma per comprendere meglio la situazione vale la pena vedere ancora cosa succede dopo, perché quel twist funziona da cliffhanger della sesta puntata, e per una settimana siamo rimasti a chiederci se, improvvisamente, il noir investigativo visto fino a quel momento non stesse per diventare La Guerra dei Mondi.
In realtà, dopo quel twist Sugar non cambia di una virgola, perché la storia resta un noir, perché il protagonista non modifica carattere o atteggiamento (e nemmeno aspetto, visto che la sua versione blu la vedremo per poco solo nel finale, in un flashback), e perché il suo ultimo obiettivo, cioè il salvataggio della ragazza rapita, resta il medesimo.
E quindi che si fa? Come dobbiamo reagire? Ci piace ancora questa serie? E quel twist era in qualche modo necessario o è una cafonata tanto per fare?
Ve lo dico senza ulteriori giri di parole: per me Sugar è rimasta un’ottima serie. E questo perché il suo twist, per quanto sicuramente pensato anche per fare un po’ di sensazione (furbacchioni…), riesce effettivamente ad aggiungere qualche strato di senso, di forza, di passione alla storia, anche a fronte di (almeno) un difetto evidente.
Con sprezzo del pericolo ma anche con una certa abilità, la writing room guidata da Mark Protosevich fa in modo che la scoperta sulla vera natura di John si trasformi in una ulteriore tensione per il personaggio, che nella sua ossessione verso il salvataggio di Olivia diventa un individuo preso in mezzo fra due interi mondi-pianeti: da una parte gli umani malvagi che hanno rapito la ragazza, dall’altra i suoi pari e i suoi superiori che vorrebbero chiudere la sua indagine, perché dicono che gli uomini che hanno rapito Olivia conoscono il segreto degli alieni e minacciano di rivelarlo, e la protezione di quel segreto vale più della salvezza della ragazza.
Da questo punto di vista, John Sugar in quanto “investigatore privato che si ossessiona per la fanciulla in pericolo anche a partire da un suo trauma passato (gli hanno rapito la sorella)” resta quanto di più noir ci sia a questo mondo, pure se John è un alieno. Anzi, ancora di più, in questo contesto, se è un alieno.
Non solo: una volta scoperta la verità, ma con ancora due episodi davanti, entrano in gioco altri elementi tipici del genere, come il fatto che il protagonista senta di non aver ancora finito, come se ci fosse un ulteriore tassello mancante, e il fatto (a quel punto non così sorprendente, ma anzi abbastanza prevedibile da permetterci di “aspettarlo” con una certa ansia) che il male si annidi anche fra i suoi compagni, che in teoria dovrebbero essere solo osservatori, ma che nella persona di Henry portano questa volontà oltre i limiti del consentito.
È proprio qui che l’elemento alieno aggiunge una riflessione interessante e altrimenti più difficile da mettere in piedi in maniera tradizionale. Nella sua osservazione della realtà, Henry decide che anche l’osservazione del Male e della sofferenza da esso causata fa parte della missione. Come un documentarista che scelga di non intervenire quando il leone azzanna il cucciolo della gazzella, perché quella è la natura e lui è lì per raccontarla, non per interferire.
Solo che qui non parliamo di umani e animali, bensì di due specie senzienti, e l’attività di Henry acquista dei tratti di feticismo e, infine, di aperto nazismo, che inevitabilmente lo trasformano in un villain fatto e finito.
Entrambi gli alieni, John e Henry, hanno imparato qualcosa dagli umani, ma se il primo ha assorbito empatia e amore per gli indifesi, l’altro invece ha imparato la spietatezza di chi, per i propri fini, è disposto a sacrificare le vite degli altri.
(Dobbiamo anche aggiungere che Henry è il responsabile del rapimento della sorella di John, quindi forse, più che imparare dagli umani, Henry ha trovato in loro il partner perfetto di una devianza che sul suo pianeta natale sentiva di non potersi permettere)
In questo senso, Sugar ci chiede da che parte stare raccontando la natura umana da una prospettiva altra, trasformando l’umanità in un oggetto di studio dalle conseguenze imprevedibili. E già che c’è ci insegna anche che il cinema (e le serie tv per similitudine) possono essere veicoli importanti per il perpetuarsi di valori e riflessioni etiche, al punto da insegnare pure a chi umano non è.
Sugar dunque non smette di essere un noir investigativo, perché costruisce personaggi da noir investigativo e, fino all’ultimo, offre a chi guarda strutture narrative e valoriali da noir investigativo. Poi sceglie di fare anche un passo in più, un passo spiazzante ma che non rovina il lavoro precedente, bensì lo integra e lo amplifica. La fantascienza non è il genere che cancella quello precedente per puro spettacolo, ma lo strumento con cui quel genere altrimenti così codificato viene arricchito di nuove sfumature.
Da questo punto di vista, allora, l’unico vero difetto di Sugar sta nel momento in cui il meccanismo del noir si inceppa e viene meno. Parliamo di quando John scopre che i suoi amici alieni stanno facendo muro alla sua indagine, ricevendo (proprio da Henry!) l’indirizzo a cui trovare la ragazza.
In questo punto, appena dopo la scoperta della vera identità del protagonista, sei puntate di indagine vengono frettolosamente risolte con il passaggio di un bigliettino.
Poi come sappiamo l’indagine non finisce lì, e anzi proprio la verità “vera” sotto la verità parziale sarà il reale obiettivo della ricerca di John. In quel momento, però, quella scelta appare semplicistica agli occhi di uno spettatore che stava ancora cercando di riprendersi dallo shock della rivelazione aliena. Anzi, stava cercando di capire se la serie che stava guardando gli piaceva ancora o no.
In quel caso, sarebbe forse bastato consentire a John di “indagare un altro po’”, arrivando da solo alla posizione di Olivia, senza farsela dire con carta e penna.
Mi chiedo se, fra chi sta leggendo queste righe, ci sia anche qualcuno/a che ha mollato la serie alla fine del sesto episodio, per poi venire qui a cercare di capire se ha fatto bene o male.
Come sapete, qui a Serial Minds siamo sappiamo da mo’ che il bello e il brutto sono categorie molto soggettive, e non ci sarà mai modo di decidere se un certo prodotto culturale è “oggettivamente” bello, appassionante, divertente, o meno. Allo stesso tempo, crediamo che ci sia una differenza più evidente, e anche un pochino più misurabile, fra chi fa le cose a caso, e chi le fa con criterio e consapevolezza.
In questo senso, Sugar è una serie che prende una decisione che può piacere o meno, che può perfino respingere, ma dubito si possa dire che lo fa senza criterio e consapevolezza. Anzi, sceglie di inserire quell’elemento così stravagante perché le serve per raccontare qualcosa, per aggiungere, per stimolare, e credo che questo le vada riconosciuto a prescindere.
Insomma, se avete mollato Sugar quando Colin Farrell è diventato blu, sappiate che quella cosa succede per un motivo.
Detto questo, il motivo può non piacervi, come possono non piacervi le scelte fatte prima e dopo, e può risultarvi troppo fastidioso il senso di “tradimento” che quella scena vi ha causato. Completamente legittimo.
A me, per quello che vale, è piaciuto tutto.