11 Aprile 2024

Sugar su Apple Tv+ – Il grande ritorno di Colin Farrell di Diego Castelli

Sugar è un noir insieme classico e moderno, con un grande protagonista e ottime potenzialità

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Alle volte basta stare sul semplice. Recuperare un ricordo. Lavorare di nostalgia. Ripescare certe strutture proprio quando sembravano ormai dimenticate, per far vedere che c’era un motivo se avevano funzionato per tanti anni.
Poi certo, senza dimenticare che il tempo è passato, apportando dei correttivi, e magari promettendo un qualche ribaltone, giusto per farci rimanere sulla corda.

Oggi parliamo di Sugar, la serie di Apple Tv+ che gioca con il passato di un genere codificatissimo, aggiungedoci sfumature più al passo coi tempi e annunciando, fin dalla sua promozione, un ribaltone da far invidia ad Alessandro Borghese.

Creato da Mark Protosevich (già co-sceneggiatore di The Cell, Io Sono Leggenda, del primo Thor e dell’adattamento americano di Oldboy), diretto da Fernando Meirelles (regista di City of God e The Constant Gardener) e interpretato da Colin Farrell, Sugar ha l’impostazione di un vecchio noir-poliziesco, ambientato in una Los Angeles dei giorni nostri, assolata e mondana, ma in cui si respira l’aria della California che fu, quella che profuma di James Ellroy.

John Sugar, il protagonista, è una sorta di detective privato con una specifica abilità nel ritrovare persone scomparse.
Nel corso di questa prima stagione, pur contro il volere di Ruby (Kirby Howell-Baptiste), la donna che gli recupera i casi e che crede avrebbe bisogno di una vacanza, Sugar accetta il caso propostogli da Jonathan Siegel (James Cromwell), leggendario produttore di Hollywood a cui è scomparsa la nipote venticinquenne, Olivia (Sydney Chandler).

Olivia ha un passato di abuso di sostanze, è già capitato che sparisse, e il suo stesso padre e suo fratello sembrano voler mettere i bastoni fra le ruote a Sugar, che invece si appassiona al caso e punta a scoprire la verità, che si rivela fin da subito più intricata dal previsto.

Fin qui, tutto come da tradizione. Una tradizione che, di per sé, sembrava essere caduta un po’ in disuso, con il detective complessato che accetta un caso difficile e si muove in un sottobosco pieno di denaro e lustrini, ma in cui il marcio, la depressione, i segreti e le malvagità affiorano alla superficie non appena ci appoggi sopra le mani.

E tutto sommato basterebbe già questo per appassionare i nostalgici di atmosfere che furono, qui richiamate in modo più che esplicito dalla passione di Sugar per il cinema d’annata, quello in 4:3 e in bianco e nero, che si inserisce nel mezzo degli episodi come contrappunto al presente, filtrato attraverso la mente del protagonista.

Allo stesso tempo, non mancano ammodernamenti che si pongono in netto e perfino ironico contrasto con la tradizione: se nel noir vecchio stile il detective era solito esagerare con l’alcol, qui Sugar ha un metabolismo rapidissimo che gli impedisce fisicamente di ubriacarsi; se gli investigatori pulp odiavano sé stessi e l’umanità tutta, con le poche eccezioni delle persone che si trovavano a salvare, il nostro John è un buono vero, quasi caricaturale, uno che può decidere di prendere in simpatia un senzatetto e dargli duecento dollari sull’unghia e un telefono da cui farsi chiamare per sapere se va tutto bene.

Poi certo, le ferite rimangono, e Sugar si porta dietro un problema fisico che pare tanto una sindrome da stress post-traumatico, che Ruby vorrebbe tenere più sotto controllo e che John invece tende a sottovalutare, perché c’è troppo lavoro, e troppo importante, per fermarsi a riposare.

In questa specie di mischione fra antico e moderno, in un riuscito equilibrio fra la nostalgia di un genere che fu e il suo trasloco nel nuovo millennio, Colin Farrell trova la perfetta dimensione in cui brillare.
Attore di talento, faccia carismatica, una carriera altalentante (ma che fra Gli Spiriti dell’Isola e il ruolo del Pinguino in Batman sta conoscendo una seconda giovinezza), il buon Colin è perfetto per essere simpatico ma anche danneggiato, degno di fiducia eppure portatore di uno sguardo originale sul mondo.

Sua anche la voce fuori campo che, pur affondando anch’essa le radici in una certa tradizione del noir, si presenta comunque come diversa, meno cupa, quasi divulgativa nel modo in cui racconta il metodo di lavoro del personaggio.

In quelle piccole deviazioni dallo standard, in quel lavorare su un genere che ci sembra riesumato dal passato, ma che riesce a non sembrarci “vecchio”, dovremmo anche vedere gli indizi di un twist pronto a saltar fuori, tipo pagliaccio a molla dalla scatola.

Non è una fine previsione frutto dell’esperienza, ma una semplice dichiarazione di Apple, che ha definito Sugar una serie “genre-bending”, capace quindi, letteralmente, di piegare il genere di appartenenza per diventare tutt’altro.

Cos’è questo altro? Io non lo so, ma c’è chi lo sa. Chi ha avuto modo di guardare tutta la stagione parla effettivamente di una sorpresa piuttosto grossa, al punto che dovrebbe sfidarci parecchio, un salto dello squalo che magari ci sembrerà originalissimo, oppure una vaccata totale.
Non ve lo so ancora dire, non mi sono voluto spoilerare, e quindi aspetto che succeda quello che deve succedere.
Sicuramente ne riparleremo poi, ma intanto un primo risultato c’è: le prime due puntate di Sugar mi sembrano così buone, così rotonde, che quasi mi spiace che qualcosa debba cambiare.

Perché seguire Sugar: è un noir moderno ed efficace, di buon ritmo, ben scritto e interpretato.
Perché mollare Sugar: l’inizio è così preciso e interessante, che il super-twist promesso da Apple Tv+ ci fa quasi paura.



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