X-Men ’97 su Disney+ – Esperimento sorprendentemente riuscito di Diego Castelli
L’operazione nostalgia a tema mutanti si rivela essere più stratificata e al passo coi tempi del previsto
Se dovessimo fare una mappa concettuale dell’intrattenimento americano degli ultimi dieci anni, il termine “nostalgia” comparirebbe grosso così nella nuvola di parole sullo schermo.
Sappiamo pure che questa nostalgia, di per sé un sentimento languido e tutto sommato positivo, tenero, spesso ha semplicemente un cinico risvolto economico e di marketing: ti ripropongo un brand che già conosci e ami, così che magari mi dai retta più che se arrivassi con un nome tutto nuovo.
Da qualunque parte la si guardi, comunque, la nostalgia pare davvero un pattern del nostro tempo, pieno di sequel, remake e serie che, pure quando sono “nuove”, rimandano a un passato in qualche misura glorioso (tipo Stranger Things).
Magari dipende pure dal fatto che non percepiamo il presente come particolarmente roseo, ma non è il caso di buttarci in un trattato di sociologia.
Quello che qui ci importa è che di operazioni-nostalgia ne abbiamo viste parecchie, e un buon numero di esse si è rivelato fallimentare o, se non fallimentare, comunque non particolarmente rilevante per noi che vogliamo fare i raffinati critici.
Siamo dunque contenti, oggi, di poter parlare di un tentativo che, non senza sorpresa, ci appare davvero ben riuscito, ovvero X-Men ’97, la nuova serie animata di Disney+ e Marvel, con protagonisti i mitici supereroi mutanti.
L’idea alla base della serie è semplicissima, e per certi versi non diversa da che ne so, il revival di Will & Grace: X-Men ’97 è niente più e niente meno che un sequel della vecchia serie X-Men: The Animated Series, andata in onda negli Stati Uniti dal 1992 al 1997, e trasmessa con successo anche in Italia.
Insomma, una nuova stagione per uno show terminato anni fa.
A cambiare rispetto al solito è il fatto che, come d’altronde suggerisce il titolo, questa nuova serie è anche ambientata nel 1997, e si aggancia a quella vecchia anche cronologicamente, senza ellissi nel mezzo.
Una scelta che naturalmente è resa possibile dal carattere animato della produzione (dove i personaggi possono effettivamente non essere invecchiati di un giorno), ma che non era comunque scontata, a fronte del fatto che nel frattempo, in un quarto di secolo abbondante, molte cose sono successe agli X-Men, sul grande schermo e anche e soprattutto nei fumetti, che in linea di principio restano sempre la base da cui partire.
X-Men ’97 se ne frega di tutto questo, non contempla quello che è successo dopo la fine della vecchia serie, e semplicemente ci prende per la collottola e ci scaglia di peso nella nostra infanzia e adolescenza.
Potrebbe sembrare una scelta strana, stiracchiata, o fuori dall’idea di grande mosaico unitario che da anni la Marvel cinematografica porta avanti con dedizione, successo e ultimamente qualche sonoro inciampo, permettendosi poche deviazioni tipo What If….
In realtà, però, il senso dell’operazione è chiarissimo se si allarga leggermente lo sguardo sul contesto.
C’è un’intera generazione di spettatori, ma probabilmente anche più di una, che tutto ciò che conosce degli X-Men l’ha imparato da quella specifica serie animata, che negli anni Novanta era davvero popolarissima.
È un pubblico molto vasto che magari in vita sua non ha mai letto un fumetto Marvel, che più probabilmente ha visto uno o più film della saga, ma che non necessariamente li ha apprezzati in toto, e che soprattutto potrebbe aver perso un po’ di coordinate nel corso degli anni, anche in virtù di sceneggiature che saltavano qui e là nelle epoche storiche, cambiando interpreti e scenari.
In questo senso, X-Men ’97 si pone come una carezza, una coccola: non preoccuparti, sappiamo che la cosa che più ti piaceva degli X-Men era quella vecchia serie animata, e ora noi siamo qui a dirti che ti ridiamo proprio quella cosa lì, ripartendo dallo stesso punto, mantenendo praticamente inalterato lo stile grafico. Insomma, la cosa più comoda che puoi immaginare.
Di per sé, dunque, un’operazione commerciale e di marketing particolarmente azzeccata e ben studiata. Il che, naturalmente, non implica che piacca a tutti, perché immagino che ci sia anche un robusta fetta di pubblico più esperto che, da una serie animata sugli X-Men, si sarebbe aspettato un livello tecnico più aggiornato al presente, e storie più al passo coi tempi del fumetto.
Ma qui la scelta è stata precisa e cinica: c’è un pubblico specifico che vogliamo raggiungere in modo specifico.
Al netto di questo, però, le buone recensioni e voti e commenti che stanno fioccando online non esisterebbero se quella buona idea non fosse sostenuta da una realizzazione di livello.
In questo senso, X-Men ’97 sembra ancora una serie per ragazzi, soprattutto nel primo episodio molto didascalico, ma è anche una serie che, dopo pochi minuti, ci restituisce la sensazione di un mondo in cui le serie per ragazzi sapevano imbastire discorsi di un certo spessore, che oggi finiscono col sembrarci particolarmente adulti.
Arrivato qui mi rendo conto di non aver manco detto di che parla questa serie o quella vecchia. E forse non ha nemmeno senso spendere decine di righe per spiegare cosa siano gli X-Men a chi non ne sa assolutamente niente (se ci siete, non siete il target di questa serie).
Giova comunque ricordare che parliamo di un gruppo di supereroi mutanti, guidati dal saggio telepate Charles Xavier, che comprendono personaggi famosissimi come Wolverine, Ciclope e Rogue.
Al contrario dei “soliti” supereroi, gli X-Men portavano nel mondo dei fumetti un discorso molto preciso, per l’epoca assai innovativo, e in fondo ben poco invecchiato.
I mutanti, in quanto tali, erano vittime di una costante discriminazione, di un razzismo esplicito, che nei fumetti diventata metafora chiarissima di qualunque bullismo nei confronti delle minoranze.
Un bullismo a cui i buoni X-Men rispondevano con l’amore e la protezione degli umani, anche di quegli umani che li odiavano, e a cui altri mutanti, in particolare quelli guidati dal potentissimo Magneto, preferivano reagire con la forza e l’idea di un vero e proprio scontro evoluzionistico.
In X-Men ’97, che inizia poco dopo la fine della vecchia serie, Charles Xavier è morto da poco, e gli X-Men stanno cercando di ritrovare un ordine interno e una nuova strategia, con parecchie sorprese dietro l’angolo.
Ora, questo brutale riassunto dovrebbe comunque essere sufficiente a spiegare che gli X-Men non sono mai stati solo “tizi con poteri che si menano” (di fatto nessun eroe Marvel lo è, ma avete capito cosa intendo), perché sono da sempre portatori di un discorso più ampio, che ancora oggi ha la capacità di adattarsi a tutte le sfide sociali e culturali del nostro tempo, che non è certo un tempo liberato dalle discriminazioni e dagli scontri fra gruppi di persone diverse (quali che siano le caratteristiche che formano quei gruppi).
Da questo punto di vista, i primi due episodi finora usciti di X-Men ’97 non sono solo un bello spettacolo action, pieno di battaglie, superpoteri e frasi ad affetto, per quanto quell’anima specifica sia preservata e ben messa in scena (con molte possibili sfumature di gusto personale: adoro ritrovare la forte e simpatica Rogue dopo il suo inutile ringiovanimento nei film al cinema, e allo stesso tempo sono uno di quelli che un qualche aggiornamento grafico più robusto l’avrebbe gradito).
Quello che rimane di queste due puntate sono proprio le riflessioni fisolofiche, la capacità di recuperare un discorso che era dirompente nel 1963, anno di nascita degli X-Men per mano di Stan Lee e Jack Kirby, ma che ancora oggi suona attualissimo.
La maggior parte delle “cose” belle di questo esordio stanno proprio nel personaggio di Magneto, uno dei migliori cattivi Marvel di sempre proprio perché non è solo un pazzo desideroso di conquistare il mondo, bensì un uomo, ex prigioniero dei nazisti, che dal suo punto di vista è sostanzialmente un attivista per i diritti dei mutanti e un combattente per la libertà.
In questi due episodi la sceneggiatura supervisionata da Beau DeMayo (che aveva già lavorato a Moon Knight e al prossimo film di Blade, e che dopo aver curato le prime due stagioni di X-Men ’97 è stato licenziato per motivi non ancora del tutto chiariti) ricostruisce il pantano di odio, paura, ignoranza e violenza che da sempre complica la vita dei protagonisti della saga, e che risuona in maniera inquietante anche nella nostra vita del Ventunesimo Secolo.
In pratica, i mutanti emergono in maniera naturale e spaventano per il solo fatto di essere diversi e, in certi casi, pericolosi anche contro la loro volontà. Gli umani “tradizionali” si spaventano e, chi più chi meno, sviluppano un diffidenza nei confronti dei mutanti, che spesso sfocia nell’intolleranza e nella violenza. I mutanti, dal canto loro, si trovano discriminati, insultati e minacciati, e reagiscono ognuno da par suo, non escludendo la lotta armata.
Quello che si crea è un circolo vizioso in cui la paura, la diffidenza e l’odio perdono la loro origine, costruiscono colpe, suggeriscono vendetta, in un eterno ritorno che potrebbe non avere mai fine.
La forza degli X-Men è sempre stata quella di presentarci gli eroi buoni come quelli che facevano la scelta giusta, una scelta di amore e tolleranza, senza però mai dimenticare di mostrare il prezzo di quella scelta, e l’impegno necessario per sostenerla.
In questo contesto, Magneto non era semplicemente un malvagio, ma uno che aveva pure le sue ragioni, con cui si poteva empatizzare, la cui identità di criminale era più sfumata rispetto ad altri personaggi teoricamente simili.
In questi due episodi, che iniziano in maniera molto semplice e si inspessiscono col passare dei minuti, troviamo proprio tutta la forza di questo ragionamento, tutta le difficoltà della coesistenza fra diversi, una coesistenza tanto difficile quanto, in molti casi, inevitabile.
E non credo nemmeno di dover specificare quanto un discorso del genere, valido sessant’anni fa, sia ancora attualissimo in praticamente in ogni angolo del globo, da quelli più nascosti a quelli che popolano i nostri telegiornali.
Non sono stato nemmeno a dettagliare altri piccoli dettagli sulla trama, sull’ingresso di nuovi personaggi e quant’altro, perché mi sembra che le cose più importanti stiano altrove.
X-Men ’97 poteva essere solo un blando revival buono per farsi scendere una mezza lacrimuccia e poi passare oltre, e invece al momento pare molto di più: il recupero di una storia che aveva molto da dire venticinque anni fa, e che sembra abbia molto da dire ancora oggi.
Che poi questo specifico fatto, di per sé, non ci faccia ben sperare per il futuro dell’umanità, è un altro discorso.
Perché seguire X-Men ’97: un revival che funziona per la sua nostalgia del passato, ma che si rivela anche perfettamente a suo agio nel presente.
Perché mollare X-Men ’97: difficile essere interessati se non si è mai visto e amato l’originale.
PS Anche per questo prodotto, immancabilmente, sono arrivate un po’ di polemiche varie, alcune assai preventive, a tema woke, politically correct ecc e anche di direzione opposta. Ma onestamente, dopo queste prime due puntate, mi sembrano tutte così pretestuose che non ve le ho neanche citate.
Vedremo poi cosa succederà.