Shōgun su Disney+ – Un esordio grosso così di Diego Castelli
I primi due episodi della serie tratta dal romanzo di James Clavell mostrano tutta la solidità e il carisma che speravamo
Che gioia, che sollievo, che soddisfazione.
Non so se esiste qualcosa di meglio, per un serialminder, di aspettare con ansia una certa serie, guardare i primi due episodi con la paura fotonica che faccia schifo, e alzarsi poi dal divano dopo due ore con un bel sorriso e la consapevolezza che questa roba deve andare dritta al primo posto della classifica.
Stiamo parlando di Shōgun, la miniserie di Disney+ tratta dal romanzo omonimo di James Clavell datato 1975 e parzialmente ispirato a fatti realmente accaduti.
Nel guardare i trailer, e nel considerare la fama internazionale del romanzo originale, si avvertiva chiaramente l’intenzione di creare un prodotto di ampio respiro, curato nei dettagli, pieno di carisma, ma quante volte abbiamo avuto questa impressione da un trailer per poi rimanere delusi?
Ecco, non è il caso di Shōgun, perché i primi due episodi restituiscono tutto quello che avevamo sperato e anche qualcosina in più, anche se, bisogna dirlo subito, non è una serie “facile”. Ma il facile e il bello, si sa, si sovrappongono solo per un tratto.
Tecnicamente, il protagonista di Shōgun è John Blackthorne (Cosmo Jarvis), ispirato alla figura storica di William Adams, considerato il primo inglese a raggiungere il Giappone.
Siamo nel 1600 e John è un marinaio inglese ingaggiato dalla flotta olandese (alleata con l’Inghilterra) per raggiungere l’Oriente attraverso lo Stretto di Magellano, una rotta finora battuta solo dagli odiati portoghesi e spagnoli (cattolici, mentre inglesi e olandesi sono protestanti).
Le cose sono andate male, la flotta di cinque navi è quasi interamente distrutta, resta solo il vascello di cui John è pilota, e gli uomini sono quasi tutti morti.
Quando ormai tutto sembra perduto, però, John arriva sulle coste del Giappone, dove viene catturato dai nativi e portato al cospetto, fra gli altri, di lord Yoshii Toranaga (interpretato da Hiroyuki Sanada).
Ho scritto che “tecnicamente” il protagonista è John Blackthorne perché in effetti, nei primi due episodi che abbiamo visto, John è più che altro il portatore di un punto di vista, il simulacro di uno spettatore che (fin dal romanzo) si immagina occidentale, e che viene bruscamente scaricato in un mondo nuovo, affascinante e pericoloso.
Arrivato in Giappone, infatti, John è sì un barbaro straccione e puzzolente, appena vomitato da una nave semidistrutta, ma anche un esotico straniero in possesso di informazioni interessanti (che non sto qui a spoilerare).
Per questo, il suo ruolo passa rapidamente da prigioniero che rischia l’esecuzione, a inaspettato alleato di lord Toranaga, che nel frattempo è impegnato suo malgrado in una lotta per il potere contro gli altri reggenti rimasti dopo la morte del loro capo comune, guidati dall’astuto Ishido.
Come si sarà intuito, alla base degli intrighi e dei gioci di potere di Shōgun c’è l’intersezione e lo scontro fra due mondi, che quando entriamo noi della storia sono già in parte mescolati: se è vero che il Giappone è ancora una frontiera esotica e lontanissima, letteralmente “l’altra parte del mondo”, è altrettanto vero che il cristianesimo è già arrivato e ha già fatto proseliti, con il risultato che John si trova di fronte persone diversissime da lui, che parlano una lingua sconosciuta, ma che hanno comunque il crocifisso al collo.
Quello a cui assistiamo è dunque uno scontro fra uomini di potere giapponesi e fra nazioni europee, ma uno scontro in cui il ruolo del cristianesimo (diviso fra cattolici e protestanti) gioca un ruolo fondamentale e complica il quadro delle alleanze e dei tradimenti.
Abbiamo detto che Shōgun non è una serie “facile”, nel senso che in questi primi due episodi si presenta come un drama molto parlato e abbastanza intricato, con molti nomi giapponesi da padroneggiare e una ragnatela di parentele e alleanze che, al primo impatto, può confondere e spaventare.
È insomma una serie che, limitando l’azione pura e lavorando molto di world building, richiede un certo impegno e una certa dedizione.
Se glieli concedi, però, il ritorno è immediato. Shōgun è un show di grandi mezzi produttivi ma soprattutto di smaniosa cura nei dettagli: non c’è un solo particolare, che si parli dei costumi, degli arredi, dei singoli gesti dei protagonisti, che non sia calibrato al millimetro, con la precisa intenzione non solo di essere storicamente coerente (cosa di cui possiamo accorgerci ma anche no, dipende dalle nostre competenze), ma soprattutto di trasmettere un senso profondo di alterità e di lontananza.
Il pubblico del 2024 è certamente più abituato a vedere il Giappone sullo schermo rispetto ai lettori occidentali del 1975, ma questo non influenza più di tanto l’impressione di immergerci in un universo completamente diverso dal nostro, con le sue regole e procedure, che dal suo punto di vista vede noi come assoluti alieni.
Non voglio spoilerarle, ma ci sono alcune scene e singole linee di dialogo (in particolare la scena della mappa, la descrivo solo così) in cui da spettatori occidentali proviamo una specie di vertigine al momento di vederci catapultati nel punto di vista dei giapponesi del 1600.
Poi certo, una ricostruzione così minuziosa e un’ambientazione così precisa possono solleticare o meno un gusto aprioristico: io sono da sempre affascinato dal Giappone più che dal Brasile, tanto per dirne una, e sono peraltro convinto che la lingua giapponese sia non solo splendida, ma anche adattissima al dramma, e in particolare al dramma in costume in cui regnano sovrane le regole di etichetta: non c’è una sola scena di Shōgun, anche quelle teoricamente più banali, che non trasudi un carisma tangibile, un senso di eternità e solidità quasi pietrosa, che proprio nell’incontro-scontro con la modernità genera buona parte del puro intrattenimento della serie.
Quindi insomma, era prevenuto nel senso buono del termine, ma è difficile non vedere i meriti della scenaggiatura precisissima di Rachel Kondo e Justin Marks (in termini di limatura delle singole frasi e della doppiezza intenzionale di certe espressioni siamo dalle parti della prima Game of Thrones) e di un cast quasi tutto perfetto, a partire da Hiroyuki Sanada, passando per Anna Sawai (che abbiamo già visto di recente in Pachinko e in Monarch), e arrivando a vario titolo a tutti i personaggi secondari.
Paradossalmente, quello più “normale” è proprio il protagonista Cosmo Jarvis, che per ora non riesce a essere più che ordinario. Forse non aiutato, nella sua espressività, da lenti a contatto blu che servono a restare fedeli al romanzo, ma gli danno una vaga aria da fattone.
Se devo trovare un difetto a questi due primi episodi, e mi devo impegnare, ne trovo uno linguistico: in teoria, il protagonista parla sempre in portoghese, perché così si esprimono gli occidentali presenti sul posto. Solo che in realtà, essendo una serie americana, la lingua che effettivamente sentiamo è l’inglese, e la cosa diventa vistosa considerando quante volte viene ripetuto che in realtà i personaggi stanno parlando in portoghese (si tratta di un problema che naturalmente si nota meno nel romanzo, così come in una qualunque versione doppiata, e che nasce solo dal fatto che, nel 2024, siamo più abituati a seguire serie in lingua originale provenienti da tanti paesi e a prestare attenzione a questi dettagli).
Per fortuna, comunque, non c’è l’errore di The New Look, di cui non abbiamo ancora parlato sul sito ma a cui abbiamo fatto cenno nel podcast: se nella serie di Apple Tv+ ci sono personaggi inglesi, francesi e tedeschi che parlano sempre e solo inglese con accenti buffi e tutti si capiscono, in Shōgun viene preservata la fondamentale differenza fra una lingua “occidentale” (portoghese sulla carta, inglese al nostro orecchio) e quella orientale, cioè il giapponese, con conseguente incomunicabilità fra i personaggi.
Insomma, al momento non ho praticamente nulla da ridire. Speravo che Shōgun fosse una serie grossa, carismatica, complessa e sfaccettata, una di quelle serie in cui immergersi e da gustare in ogni dettaglio, e così è stato.
Chiaro, stiamo parlando solo dei primi due episodi appena usciti, ma l’idea che si tratti di una miniserie che si basa su un romanzo che già sappiamo essere molto famoso e amato, ci lasciata abbastanza tranquilli sul fatto che non si perderà la bussola nel giro di poco.
Al momento, fine febbraio 2024, è un primo posto di slancio. Poi vediamo che succede.
Perché seguire Shōgun: doveva essere una serie con i muscoli e il cervello, e così è stato.
Perché mollare Shōgun: è un drama molto politico e molto denso, se cercate una cosa leggera e scacciapensieri, questa non lo è.