One Day su Netflix – Amore e amicizia, una volta l’anno di Diego Castelli
La serie tratta dal romanzo di David Nicholls sfrutta il formato seriale per un viaggio lungo 15 anni
Ci capita spesso di ragionare di adattamenti, e di quale sia il medium migliore per trasportare un romanzo sullo schermo.
Una scelta ponderata dovrebbe considerare soprattutto il respiro che il romanzo richiede: se è lungo e pieno di eventi e personaggi, una serie tv appare più indicata rispetto a un libro sintetico e ficcante, per il quale probabilmente è meglio un film.
Poi naturalmente sappiamo che questi sono ragionamenti fatti a tavolino, mentre nella vita vera della produzione cine-seriale entrano in gioco un sacco di altre dinamiche.
Sarà per questo che One Day, il romanzo del 2009 di David Nicholls, è stato adattato due volte in due formati diversi: per primo è arrivato il film con Anne Hathaway e Jim Sturgess, del 2011, scritto dallo stesso Nicholls, e ora ci troviamo a recensire la serie per Netflix, adattata da Nicole Taylor.
E credo non sarà difficile convincersi che, in questo caso, il formato seriale sia effettivamente il migliore, perché il romanzo lo “chiama” in maniera abbastanza evidente.
One Day racconta della storia, continuamente a cavallo fra amicizia e amore, di Emma (Ambika Mod) e Dexter (Leo Woodall) che si conoscono all’università e poi condividono una vita fatta di sogni, delusioni, nuove esperienze, vittorie, sconfitte, abbracci e lettere.
Di per sé, la travagliata storia sentimentale di un ragazzo e una ragazza non farebbe granché notizia, se non fosse per il formato che Nicholls scelse per il suo racconto, e che trova nella serie di Netflix una perfetta trasposizione: a essere raccontato è sempre lo stesso giorno, o meglio la stessa data, nel corso degli anni.
Il 15 luglio è il giorno scelto, il giorno in cui Emma e Dexter si conoscono per la prima volta. Da lì in poi, la serie racconta solo i 15 luglio, a partire dal 1989 e arrivando ai primi anni Duemila. Ogni episodio un anno (o quasi, ne parliamo dopo), secondo uno schema che ovviamente impone delle variazioni sul tema: a volte i 15 luglio contengono degli eventi effettivamente rilevanti, ma altre volte no. Questo significa che, in alcuni casi, le svolte avvengono fuori dalla cornice scelta per il racconto, e vanno quindi recuperate e dedotte dal contesto.
Nel complesso, è davvero una buona idea.
Raccontare una storia d’amore e d’amicizia in questo modo si porta dietro un doppio vantaggio: da una parte, non seguire pedissequamente il sentiero degli “eventi importanti” fa sì che questi debbano essere almeno in parte ricostruiti, intuiti a posteriori e contemporaneamente previsti nella data precedente, cosa che dà al racconto una specie di sfumatura di giallo che tiene il ritmo sempre alto, l’attenzione sempre desta.
È una serie in cui non esistono momenti vuoti, perché raccontare tutti questi anni garantisce l’approvvigionamento di una grande mole di eventi senza alcuna forzatura, con il plus di stimolare il cervello di chi guarda dandogli il compito di ricostruire almeno in parte quegli eventi, senza solamente subirli.
Dall’altra parte, il secondo vantaggio sta nella possibilità di mostrare anche la vita normale dei protagonisti, la loro quotidianità: non tutti i 15 luglio della vita di Emma e Dexter sono realmente memorabili, e questo ci aiuta a guardare la loro vicenda (vicenda di coppia, ma anche vicende personali) da una prospettiva diversa dal solito. Una prospettiva più umana, se vogliamo, in cui i personaggi non vivono solo vite cariche di eventi significativi, ma anche di momenti di stasi in cui quegli eventi risuonano.
Una specie di tradimento consapevole della massima hitchcockiana per cui il cinema è come la vita, ma senza le parti noiose.
Ecco, in One Day non si ha paura di mostrare le parti noiose, sapendo che fanno parte della vita e sapendo, furbescamente, che a mostrarle da sole non saranno nemmeno così noiose, perché saranno riempite dalla nostra curiosità su quello che è successo prima e su quello che succederà dopo.
Questa struttura frizzantina non è il solo pregio di One Day.
Ambika Mod e Leo Woodall sono ottimi protagonisti: lei precisa nella parte della secchiona graziosa che vuole cambiare il mondo, lui perfetto nei panni del bellone ricco e simpatico che non sa cosa fare della propria vita.
Sono personaggi apparentemente molto diversi, potenzialmente opposti, ma che trovano un terreno comune proprio in una certa indecisione verso il futuro (pur vissuta da prospettive diverse), in cui ognuno diventa certezza per l’altro, un punto fermo a cui tornare o da cui ripartire.
Poi naturalmente i sentimenti con cui condire questo rapporto, nelle loro mille sfumature gioiose o tragiche, costituiscono la ciccia romantica di tutta la serie.
In ultimo, a questo si unisce un’atmosfera british che rende tutto più vero, concreto, a misura d’uomo, lontano dalle plastificazioni che inevitabilmente si originerebbero ad ambientare questa storia nella New York più glamour o nella provincia americana più stereotipata.
Non che non potrebbe funzionare, ma il sapore sarebbe proprio diverso, a causa della quantità di immagini che, nei decenni di dominio hollywoodiano sul nostro intrattenimento, ci si sono tatuate sulle retine.
Se devo trovare un difetto… ne trovo due. Il primo è che il finale, che non spoilero anche se probabilmente in molti hanno visto il film o letto il libro, non lo trovo efficace come l’inizio. Diciamo che secondo me si poteva inventare di più, anche se parliamo di puro gusto personale, forse anche fuori tempo massimo.
Un po’ più grave, sempre detto con affetto, è il fatto di non riuscire a essere rigorosi fino alla fine con la struttura del racconto: se per buona parte della serie ogni episodio corrisponde a un anno diverso, gli ultimi episodi cominciano a comprendere anche più di un “15 luglio”, e si arriva anche ad alcuni flashback che appartengono ad altre date.
Facile immaginare che, per rendere più emozionanti e coerenti certi passaggi, si sia sentito il bisogno di allargare un po’ le maglie, ma questo, inevitabilmente, sporca una struttura che fino a quel momento era stata un orologio svizzero. In termini strettamente emotivi le soluzioni funzionano, ma resta l’impressione di una sopraggiunta fretta o pigrizia.
Nel complesso, One Day è un’ottima serie. Con una buona idea, una bella messa in scena, personaggi convincenti.
Durante una delle ultime puntate del nostro podcast, il Villa sosteneva che non fosse comunque una serie “top”, e in questo probabilmente ha ragione. Ma se la valutiamo nel suo genere, senza cioè considerarla per forza in competizione con serie di alto profilo e grandi budget, allora One Day assume una portata diversa.
Per dirla in altro modo: se vi piacciono le serie romantiche e commoventi, ma il vostro gusto vi tiene distanti dalle tamarrate alla Bridgerton, allora One Day diventa, improvvisamente, quasi perfetta.
Perché seguire One Day: la storia in sé sarebbe molto classica, ma l’ottima idea di raccontare un solo giorno all’anno rende il tutto fresco e interessante.
Perché mollare One Day: puoi infiocchettarla finché vuoi, ma sempre storia romanticona rimane, e può non piacere.