25 Gennaio 2024

Ragazzo Divora Universo – Una serie che è un po’ tutto di Diego Castelli

Boy Swallows Universe esplora tanti generi e mille situazioni, a volte con una certa confusione, ma riuscendo a mostrare un’anima precisa

Pilot

Non mi capita spesso di essere indeciso sul giudizio da dare a una serie, per lo meno nei termini “mi piace / non mi piace”, prima ancora di provare a inquadrarla dal punto di vista critico, qualunque cosa voglia dire.

Con Boy Swallows Universe, che da qui in avanti chiameremo col titolo italiano di Ragazzo Divora Universo (mi sento legittimato dal fatto che è tratta da un romanzo edito in Italia con quel nome), è andata diversamente. Dopo aver visto tutti e sette gli episodi non sono ancora “così” certo di saperla collocare precisamente nel puzzle del mio gusto, e so già che mi capiterà di consigliarla ma mettendo sedici mani avanti.

Il perché di questa strana reazione si deve essenzialmente a una precisa caratteristica della serie: c’è dentro tutto, in tutte le forme.

Come detto, la serie (che trovate su Netflix ed è australiana) è tratta da un romanzo semi-autobiografico di Trent Dalton (non l’ho letto, quindi non aspettatevi paragoni), e si porta dietro alcune facce provenienti dalla terra dei canguri ma che conosciamo piuttosto bene: Travis Fimmel, indimenticato Ragnar di Vikings, Simon Baker, che fino a qualche anno fa era il protagonista di The Mentalist, e Phoebe Tonkin, veterana di The Originals.

Questi però sono gli adulti, mentre il vero protagonista è un ragazzino, interpretato da attori diversi a seconda dell’età, ma soprattutto da Felix Cameron.
Eli ha dodici anni, vive nella periferia di Brisbane, e non sta vivendo un’infanzia facilissima: la madre (Tonkin) entra ed esce dalla tossicodipendenza, il patrigno (Fimmel) è uno spacciatore, il padre (Baker) vive separato dalla famiglia e ha problemi con l’alcol.
Il fratello Gus invece è molto intelligente e degno di fiducia, ma è anche muto e parla a gesti, scrivendo le parole nell’aria.

Gli adulti della famiglia di Eli non sono affatto cattivi, ma certamente hanno i loro bei problemi, mentre gli unici con la testa apparentemente sulle spalle sono un carcerato, Alex (Adam Briggs), con cui Eli ha un’amicizia di penna, e Slim (Bryan Brown) a sua volta ex carcerato e che ora fa spesso da babysitter ai due fratelli.

Questa situazione già piuttosto precaria va definitivamente a scatafascio quando Lyle, il patrigno spacciatore, fa il passo più lungo della gamba e finisce col far incazzare certi criminali veri, rappresentati soprattutto dal killer sfregiato Ivan Kroll (Christopher James Baker).

Per il giovane Eli, sempre spalleggiato dal fratello più grande, è l’inizio di un lungo viaggio di formazione fra periferie povere e criminalità, bullismo scolastico e prigioni, traumi infantili e sogni professionali (Eli vorrebbe fare il giornalista) con in testa un unico grande obiettivo: tenere insieme la propria famiglia, salvare le persone care, e in generale farsi carico di missioni che normalmente non dovrebbero essere messe sulle spalle di un dodicenne.

In tutto questo, c’è pure un twist vagamente soprannaturale, con un misterioso telefono rosso (di quelli vecchio stampo, con la cornetta, perché la serie è ambientata negli anni Ottanta) da cui Eli riceve lezioni di vita da una voce misteriosa.

Non so se si è già capito dal riassunto ma, come accennato, in questa serie c’è veramente di tutto, e non solo dal punto di vista del contenuto, ma pure da quello dello stile.

In termini strettamente narrativi, la serie unisce il romanzo di formazione adolescenziale con il dramma familiare a sfondo tossico. Però aggiunge anche il thriller criminoso, la storia di amicizia, il lavoro giornalistico. E poi il rapporto genitori-figli, quello tra fratelli, il bullismo scolastico, una stramba storia d’amore, i traumi infantili che diventano sogni allucinati.
Il tutto spalmato su tre piani temporali diversi.

Ma a stupire è proprio la varietà di approcci e di atmosfere. In sette episodi, Ragazzo Divora Universo cambia stile più volte di quanto si possa contare. In alcuni casi sembra un’avventura di ragazzini alla Goonies, in altri manda una vibe da Shameless australiano. Poi però arriva il thriller criminale, accompagnato da drammi veri e un approccio più “serio”. Ogni tanto sembra di veder spuntare David Lynch, mentre altrove la sua anima da romanzo di formazione si concretizza in piccoli scambi filosofici ai limiti dello zuccheroso. E quando c’è bisogno di fare indagine giornalistica, parte un altro genere ancora.

Questa pienezza di storie e sottostorie, di generi e stili, inevitabilmente si porta dietro pregi e difetti, perché non è che un mischione simile possa venirti tutto bene.
Al netto dell’effetto di straniamento che un approccio del genere può suscitare, qui e là la sceneggiatura si perde proprio i pezzi. Non parlo di specifiche incoerenze, quanto più di forzature: saltando in continuazione da un punto all’altro di un ideale spettro di emozioni e atmosfere, si ha l’impressione che certe scene siano slegate dalle altre, come se agli autori (la scrittura è guidata da John Collee) avessero in testa singole sequenze di buon impatto, e abbiano poi cercato di incastrarle come meglio potevano.

Ci sono dei twist teoricamente decisivi ma molto depotenziati dal loro posizionamento in relazione al contesto (penso in particolare a una svolta che riguarda il fratello di Eli), così come ci sono personaggi dal ruolo abbastanza chiaro che compaiono e scompaiono per esigenze di sceneggiatura che risultano troppo “visibili” (e penso qui soprattutto al personaggio di Tytus Broz, interpretato da un’altra vecchia conoscenza cine-seriale, Anthony LaPaglia).

Insomma, in più di un punto di Ragazzo Divora Universo ci si trova a chiedersi “ma cosa diavolo sto guardando?”, una sensazione che inizia presto, quando l’approccio quasi fantasy-disneyano cozza con l’ambientazione sub-urbana, criminale e tossica, e che poi non se ne va più.

Allo stesso tempo, e pure considerando tutte queste criticità, Ragazzo Divora Universo ha una sua forza specifica.
La potremmo trovare nella bravura del cast, a partire dal protagonista, oppure la potremmo cercare nell’efficacia di quelle stesse scene di cui dicevamo prima, che magari faticano a incastrarsi insieme con coerenza, ma che prese singolarmente, come micro-episodi all’interno delle puntate più ampie, funzionano.

Ma in realtà la forza di questa serie, che poi coincide in buona parte con ciò che le permette di conservare una traballante unità complessiva, sta proprio nella direzione e nella difficoltà del percorso di Eli.
In ogni dato momento, pur nel continuo oscillare fra generi e stili, il ragazzo si auto-appunta una costante missione salvifica: vuole salvare la madre, vuole salvare il patrigno, e il padre, e il fratello, e sé stesso.

Il percorso è difficile, gli ostacoli non mancano, e il protagonista attraversa più di un momento di sconforto. Però non molla mai, non accetta di piegarsi al destino avverso, e fa tutto in nome di un amore incondizionato, feroce, sempre meritevole di un nuovo tentativo.

In questo senso, Ragazzo Divora Universo diventa anche una favola sul potere della redenzione. Se è vero che seguiamo un percorso di apprendimento che riguarda soprattutto un ragazzino, è altrettanto palese che anche gli adulti (i personaggi e chi li segue attraverso lo schermo) hanno molto da imparare sul potere delle seconde opportunità, sia offerte che ricevute, e sulla possibilità di cambiare la propria vita in ogni momento, se c’è la volontà e, magari, una mano che ci aiuta.

Si arriva dunque alla fine di Ragazzo Divora Universo con la testa frastornata dai molti (fin troppi) stimoli, ma con l’impressione di aver effettivamente seguito un percorso unitario, con un capo e una coda, anche se in mezzo è successo di tutto.
E anche se in fondo il messaggio è quasi banale, al limite dello stucchevole, perfino troppo family, il fatto che sia passato attraverso molti filtri più cinici, duri, fangosi, lo nobilita, perché l’ottimismo di sto bambinetto poi diventato uomo non è solo di facciata, ma sostanziale.

A conti fatti, se qualcuno mi chiedesse se consiglierei o meno la visione di Ragazzo Divora Universo, direi di sì, avendo cura di guardarlo ben ben enegli occhi e dirgli “però sappi che per metà serie, e forse qualcosa di più, non sarai in grado di etichettare niente, e se come me hai la fissa dell’ordine, andrai in sbattimento”.
Ma alla fine i ragazzi sono così, bisogna dargli il tempo di decidere cosa vogliono diventare.

Perché seguire Ragazzo Divora Universo: Per la ricchezza di una storia di formazione capace di toccare tante corde diverse.
Perché mollare Ragazzo Divora Universo: Perché tutta questa varietà può risultare disordinata.



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